È difficile avere fiducia in sé stessi quando agli occhi dei propri genitori si esiste solo attraverso i risultati scolastici. Confronti con i fratelli, punizioni e verdetti che feriscono, sono tutti “rimedi” che possono rivelarsi distruttivi.“Un bel disastro!” Quando Filippo parla dei suoi anni di studio, è con l’amarezza di aver mancato la sua strada: “Sono un manuale e ho sempre sognato di avere una mia falegnameria, ma era impensabile in famiglia! Ho dovuto frequentare la scuola di medicina, senza passione… Ed eccomi qui, a 40 anni, frustrato di esercitare una professione, certamente gratificante agli occhi di chi mi circonda, ma che non mi rende felice”. Quante infanzie sprecate e quante vocazioni mancate a causa dell’ossessione per l’eccellenza? La performance a tutti i costi è un veleno che genera nelle case rivalità malsane e relazioni burrascose. E se ci prendessimo il tempo di accogliere i voti dei nostri figli in modo diverso e allentassimo la pressione? Al di là dello studente in sé, cresce un essere la cui realizzazione a scuola non è solo una questione di voti.
A genitori preoccupati, figli… perfetti?
Disoccupazione, malessere sociale e paura del futuro, gli adulti mancano di fiducia e fanno pesare le loro preoccupazioni sui loro figli. Sempre di più, sempre meglio: nell’inconscio dei genitori si impone la convinzione che bisogna eccellere per sopravvivere ed avere successo in un mondo di prepotenti. Marco lo riconosce volentieri: questo padre pretende dai suoi tre figli pagelle brillanti, convinto di dover insegnare loro, fin dalle elementari, ad essere i migliori: “È vero, a volte mi trovo duro con loro, ma dovranno lottare nel mondo professionale e voglio che abbiano un posto in esso”.
A genitori preoccupati, figli perfetti? La paura del domani provoca in molti genitori un perfezionismo educativo che scivola verso l’ossessione. Gli adulti sono così ansiosi che vogliono organizzare tutto per il loro figlio. Questo culto della performance che intrappola i bambini nella loro vita scolastica pesa anche sul loro tempo libero: tornei di tennis o trofei di scherma, la competizione si estende fino alle attività extra scolastiche, a scapito del relax gratuito e del tempo libero. “I bambini hanno un’agenda da ministro”, lamenta un insegnante. Esigere sempre il meglio per il proprio figlio non è forse intrattenere il mito del figlio ideale, un’estensione narcisistica del genitore che ha la missione di realizzare ciò che l’adulto ha mancato?
La scolarità di un figlio suscita inevitabilmente nell’adulto dei ricordi, non sempre piacevoli. Quaderni disastrosi, avversione per un insegnante o bullismo, tante sofferenze sepolte che riemergono e che il corpo insegnante conosce bene. In vent’anni di insegnamento, Francesca ha rassicurato generazioni di ansiosi: “Fin dai primi giorni, ricevo genitori sovraeccitati: il loro figlio non è nella classe giusta oppure non do abbastanza compiti a casa…” Troppo stress sui nostri angioletti e così è l’implosione. Cristina è medico scolastico, riceve continuamente bambini stremati: “Una fiammata di eczema prima di un controllo in classe, perdita del sonno o dell’appetito, e ho recentemente diagnosticato un’ulcera allo stomaco ad un ragazzo di 15 anni”. Come una pianta priva di luce appassisce, un bambino intrappolato nell’ombra dei genitori non riesce a connettersi con il suo desiderio profondo. O si mette da parte, senza gioia di vivere o volontà propria, incapace di decidere qualcosa per sé, poiché i suoi genitori lo fanno per lui; oppure si precipita nell’ultra performance come Antonio che, all’età di 10 anni, fa la cartella e rilegge il suo libro di testo dieci volte prima di andare a letto per non dimenticare nulla, ha attacchi d’ansia e non accetta di fallire. Che dire dell’allievo modello che subisce la pressione senza battere ciglio ed esplode nell’adolescenza? “Sono andato in tilt l’anno scorso, all’ultimo anno di liceo, stanco di esistere solo per il lavoro! Per tutta la mia infanzia, i miei genitori mi hanno spinto, ma oggi sono saturo”, si sfoga amaramente Gregorio.
Fare un passo indietro, non mettersi sotto pressione e porsi le giuste domande
È ora che i genitori diventino… adulti. “Appena entrano a scuola, i genitori diventano genitori di studenti”, nota la psicologa Béatrice Copper-Royer. Fare un passo indietro e dare a ciascuno il proprio ruolo differenzia il figlio dallo scolaro, e guarisce dalle ambizioni tormentate. Perché voglio così tanto che mio figlio vada alla scuola di ingegneria? È perché vedo in lui una vera attitudine o è per lusingare il mio ego di genitore meritevole? È un percorso logorante, ma il gioco della verità è fruttuoso per il genitore che vi si presta con sincerità.
È l’esperienza vissuta da Chantal e Giovanni, il figlio maggiore orientato nel settore alberghiero sotto le pressioni pesanti della famiglia. “Davanti ai nostri amici, ci vergognavamo di parlare di Battista. La sua scelta disturbava i nostri piani, ma riconosciamo che ha trovato la sua strada”. Non tutti i bambini hanno le stesse capacità intellettuali e per molti genitori è un’amara ammissione di fallimento. Insiste: “So bene che Barbara ha difficoltà a stare al passo con la classe, ma deve farlo come tutti gli altri”.
Di fronte al giovane che fatica nel percorso scolastico, dobbiamo intestardirci o rinunciare? Data la delicatezza e la conoscenza intima di ciò che è bene per il figlio, il discernimento presuppone una convinzione: i piani di riuscita per un giovane sono legittimi se si mettono all’ascolto del suo desiderio profondo… che non è necessariamente quello dei genitori! Ho ragione a spingere mio figlio negli studi quando ha sempre sognato di fare l’orticoltore? Crescere un bambino significa accompagnarlo verso l’alto, il punto è quello di crederci e di ritrovare la fiducia che rassicura. Credo nella Provvidenza e prendo il tempo di affidare i miei figli a Dio che vuole il meglio per ciascuno? “Per molto tempo ho voluto gestire tutto da sola”, confida Mariella. “Finché un giorno, vedendomi esausta, un mio amico sacerdote mi ha chiesto semplicemente: preghi ogni giorno per i tuoi figli? Ho accettato di consegnare le mie preoccupazioni chiedendo al Signore la pace del cuore”.
Dimmi il tuo voto, ti dirò quanto ti voglio bene…
Non fossilizzarsi su ciò che il giovane fa, ma considerare quello che è: questa è la via da percorrere. Anche se gli adulti hanno lasciato i banchi di scuola da molto tempo, se vogliono sono liberi di trovare un posto vicino a quello dei loro figli, incontrare il preside e stabilire un dialogo amichevole con l’insegnante, partecipare all’associazione dei genitori o accompagnare nelle gite scolastiche, sono tutti legami intessuti tra la scuola e la famiglia, per il bene del figlio che sente che i suoi genitori sono interessati. “Da quando mia madre è rappresentante dei genitori e partecipa ai consigli di classe, conosce i miei insegnanti e s’interessa a quello che succede in classe… Prima, vedeva solo le mie pagelle!”.
L’affetto dei genitori si misura in voti? Dimmi che voto hai avuto nel compito di francese, ti dirò quanto ti voglio bene! È difficile avere fiducia in sé stessi quando si esiste solo, agli occhi dei propri genitori, attraverso i propri risultati. Paragoni che generano forti tensioni tra fratelli, punizioni e verdetti dolorosi, altrettante derive che portano a situazioni distruttive. Cambiare lo sguardo sul proprio studente significa non più vederlo attraverso la lente d’ingrandimento dell’obiettivo scolastico, ma ampliare la propria visione per includere il figlio nella sua pienezza. Sabina guarda con una distratta attenzione i voti delle sue figlie: “Trovo più importante sapere che sono felici a scuola e che si sentano bene nella propria pelle.”
Pascale Albier