L’esperienza sensibile della presenza di Dio è una grazia. Ma perché alcuni ne sono beneficati e altri no? di Elisabeth Caillemer
Un calore che li invade, delle lacrime che sgorgano, una voce che parla loro in modo molto distinto… Mentre pregano, fanno la comunione, si confessano, o come Paul Claudel, assistono ad un ufficio liturgico senza convinzione, alcuni sentono nella loro carne, a volte in modo molto violento, la presenza di Dio. “In un istante il mio cuore è stato toccato e ho creduto. Ho creduto […] in un tale sconvolgimento del mio essere […] che da allora, […] tutti i ragionamenti […] non hanno potuto scuotere la mia fede”, scriveva Paul Claudel.
Affascinanti, queste esperienze sensibili seminano turbamento nel cuore di chi non le ha mai provate. “Dio non si preoccupa dunque per me?”, “Non so pregare, amarLo?”, “Sono sulla strada sbagliata?”. No, rassicura padre Matthieu Aine, autore di Si prega di non disturbare. Piccolo manuale per conversare con Dio. “L’esperienza affettiva non è un passaggio obbligato per andare verso Dio. Possiamo benissimo unirci a Lui in un’esperienza di fede più intellettuale o più diffusa, come una certezza che tocca il fondo della nostra anima.”
Che cos’è il sentire? Un dono, una misericordia inviata da Dio per aiutarci ad avvicinarci a Lui. San Francesco di Sales parla di un “assaggio delle delizie celesti” date da Dio a coloro che “entrano al Suo servizio, per incoraggiarli nella ricerca dell’Amore Divino”. Sant’Agostino ne ha fatto esperienza: “Ho trovato in quei primi tempi un’infinita dolcezza nel considerare la profondità dei Vostri disegni per la salvezza degli uomini, e non potevo stancarmi di rallegrarmene. Oh, che emozione ho provato, quante lacrime ho versato”, racconta in Confessioni (IX, 6). Perché alcuni ne beneficano ed altri no?
Questo sentire non è privo di pericoli
“Mio Dio, degnateVi di darmi questo continuo sentimento della Vostra presenza, della Vostra presenza in me e intorno a me!”, implorava Charles de Foucauld. “Non c’è una spiegazione razionale”, indica il padre Matthieu Aine. È una grazia che non centra con la nostra dignità o le nostre azioni. Non dobbiamo essere gelosi di chi la riceve perché ciò ci impedisce di vedere quello che abbiamo ricevuto: il Signore vuole che partiamo sempre dai Suoi doni”. Dobbiamo accoglierla quando arriva, perché stimola la nostra preghiera e la rende più facile, ma non è bene ricercarla.
Tanto più che questo sentire non è privo di pericoli. Il rischio è quello di fermarsi lì, di non andare oltre, o di abbandonare tutto quando non si sente più nulla. “Il sentire diventa l’unità di misura dell’azione di Dio, della Sua presenza e della Sua vicinanza. Tutto questo è molto sincero, ma ci guardiamo l’ombelico. […] Il giorno in cui l’emozione non c’è più, […] deduciamo troppo presto che Dio ci ha abbandonati”, avverte padre Pierre-Hervé Grosjean nel libro Donare la propria vita. Ora, “l’amore non è una questione di sentire. La dimensione sensibile, anche se si insinua sicuramente nell’amore, non è il segno indubitabile dell’amore ma è un atto di volontà. Non è la risonanza sensibile a misurarlo, ma piuttosto la volontà. Dobbiamo quindi salvare la sua gratuità”, afferma padre Michel-Marie Zanotti-Sorkine dal pulpito.
L’aridità, un invito mandato da Dio
Così, l’esperienza sensibile della presenza di Dio ha solo per scopo di essere superata. “Ciò che conta è amarLo non perché sentiamo o perché Egli ci dà qualcosa, ma perché è gratuito. Se sentiamo qualcosa, tanto meglio, se non sentiamo niente, tanto meglio, perché amiamo Dio non per quello che ne ricaviamo, ma per Lui stesso e ha dato la Sua vita per me”, aggiunge padre Matthieu.
Proprio come nell’amore coniugale, dove le coppie devono imparare a passare dalla passione ardente alla volontà amorosa. Per tenere duro nella tempesta, per dire “ti amo”, qualunque sia la temperatura interiore. A Dio, diamo senza contare, padre Grosjean ci comanda: “A volte sentiremo la Sua presenza, spesso sperimenteremo l’aridità. Ma non importa! Non è questo l’essenziale e, soprattutto, non dipende veramente da noi. Ciò che dipende da noi è essere lì. […] Il valore della nostra preghiera non dipende più dal nostro sentire, ma dalla Sua fedeltà.”
Duramente sperimentata, questa aridità, a meno che non sia la conseguenza della nostra tiepidezza, è in realtà un invito inviato da Dio per fortificare la nostra fede. “In un’esperienza più aspra, ci viene dato qualcosa di più grande”, assicura padre Matthieu. San Bonaventura lo ha spiegato molto bene: privi di grazie sensibili, dobbiamo agire con una volontà più ferma, “così l’amore diventa più forte”. E così impariamo ad abbandonarci nelle mani di Dio, a fidarci totalmente di Lui.
Scoprire la presenza di Dio in noi stessi in un modo più interiore del sentire
Il sentire, così come la sua assenza, non ci permettono di misurare con precisione la nostra vicinanza a Dio. Il sentire è sempre inferiore alla vera azione di Dio in noi, ne percepiamo solo una piccolissima parte. È come un’onda in un oceano, come illustra padre Matthieu: “può essere di 20 metri, ma rispetto alle dimensioni dell’oceano, non è niente”. E non è perché non sentiamo nulla che Dio non ci è più vicino. “È il demonio che fa questa insinuazione, tanto infida quanto suggestiva: Dio ti lascia solo”, avverte padre Matthieu che ci invita “a scoprire la presenza del Signore in noi in un modo che è più interiore di quello del sentire”. Per i gesuiti, questo è l’oggetto della rilettura e della preghiera d’alleanza alla fine della giornata: in quale momento è passato Dio oggi nella mia vita? Un difficile esercizio di discernimento che un sacerdote può aiutarci a svolgere.
Senza dimenticare che Dio è lì, in noi, sempre, in ogni momento, sia che Lo sentiamo fisicamente o meno. “Tu eri dentro di me e non lo sapevo! ”, scriveva Sant’Agostino.