Passata la quarantina e dopo aver dedicato diversi anni della loro vita ai figli, alcune donne decidono di rientrare di nuovo sul mercato del lavoro. Testimoniano del loro percorso di combattenti.Nei loro CV c’è un buco di dieci, quindici, a volte anche vent’anni, durante i quali non hanno esercitato alcuna attività professionale. Un periodo che queste madri di famiglia, pur essendo tutte diplomate, hanno scelto di consacrare all’educazione dei loro figli. Fino al giorno in cui, spinte dalla voglia o dalla necessità, si mettono alla ricerca di un lavoro.
“Ho sempre avuto bisogno di avere dei progetti. Con la crescita dei bambini, i miei orari si sono alleggeriti”, spiega Isabella, madre di nove figli, che ha trovato il suo primo lavoro retribuito nel 2016 all’età di 46 anni. “Ho iniziato a fare volontariato e poi essendo passati i ragazzi all’istruzione superiore, ho pensato che una remunerazione finanziaria sarebbe stata la benvenuta”. Lorenza non ha mai avuto tempo di lavorare come assistente sociale, di cui aveva ottenuto il diploma il giorno prima del suo matrimonio, prima di dare alla luce i suoi sei figli.
“A 47 anni ho avuto voglia di rendermi utile diversamente e di sapere quanto valevo sul campo, era una sfida. E mi sono detta che se fossi rimasta a casa avrei finito per girare in tondo con il grembiule e i guanti di gomma soprattutto quando i figli avrebbero lasciato il nido!” scherza questa moglie di un marinaio. È stata soprattutto la sete di riconoscimento sociale che ha spinto Valeria, 43 anni, a considerare sul tardi una carriera professionale. “Avevo scelto di restare a casa per badare ai miei cinque figli. Ero felice, ma profondamente infastidita dalla visione negativa della società nei confronti delle madri casalinghe. Dovevo dimostrare a me stessa che ero in grado di lavorare”. Altre non hanno avuto scelta, a causa della vedovanza o di un divorzio.
“Lavorare, sì, ma cosa fare esattamente? E chi vorrebbe una neofita con i capelli grigi?” si chiedeva Valeria. Nonostante la sua grande motivazione e un diploma di diritto pubblico, questa donna non si sentiva adatta a mettere piede nel mondo del lavoro. “Per me era “Un appuntamento al buio”, non avevo mai lavorato prima. Alle cene, mi sentivo come se fossi un pesce fuor d’acqua. Non riuscivo a capire una parola delle conversazioni di lavoro che erano piene di abbreviazioni e parole in “ing”: closing, signing, reporting… Mi piaceva scrivere, divoravo la stampa, quando un amico mi ha suggerito di diventare giornalista, e mi son detta: “Perché no?” Avevo 38 anni”.
Cominciare con umiltà e non essere schizzinose
Prima tappa: scrivere un CV. Prima difficoltà anche: “Mentre vivevo a cento all’ora dalla nascita del mio figlio maggiore, la mia vita si riassumeva in cinque righe!” Su consiglio del marito, Valeria ha aggiunto i suoi vari impegni: delegata in un’associazione di genitori, redattrice di articoli nel giornale della scuola, capogruppo degli Scout … Una sua amica che lavorava nelle risorse umane le ha fatto passare una simulazione di colloquio di lavoro in un bistrot: “Non ero molto tranquilla! Non avendo esperienza professionale, mi ha consigliato di mettere in evidenza le mie qualità personali e mi ha aiutato a identificarle: laboriosa, puntuale, organizzata, socievole e motivata. Mi ha dato anche questo prezioso consiglio: se qualcuno ti chiede qualcosa di specifico che non conosci, tu rispondi: “Non so come fare, ma posso imparare”. Sei motivata, fallo vedere!” Grazie alla sua rete di conoscenze Valeria ha ottenuto un primo stage presso un quotidiano importante. “Non potevo pretendere di firmare un contratto a tempo indeterminato, così ho iniziato dall’inizio, umilmente. Durante gli incontri di redazione, ero seduta su una panchina con gli studenti del liceo che facevano uno stage!”
Iniziare con umiltà e non essere difficili, è stata anche la politica di Sofia che ha dovuto trovare un lavoro all’età di 42 anni per motivi finanziari. Un master in management sepolto nel fondo della sua memoria, senza esperienza professionale, la certezza che nessuno l’aspettava da nessuna parte… Questa madre di quattro figli ha spinto la porta dell’Agenzia Nazionale per il Lavoro. Non si è lasciata convincere dalle loro cosiddette sessioni di “coaching”, ma ha invece consultato un nutrito catalogo di corsi di formazione finanziati dalle collettività locali. “Ho fatto un corso di aggiornamento di tre mesi in contabilità e automazione d’ufficio, seguito da uno stage pratico di tre settimane. Ho imparato ad usare Word ed Excel, perché i computer erano ancora scarsi quando ero studentessa. Soprattutto, la formatrice mi ha detto che non avevo “fatto niente per quindici anni”, che come madre di famiglia ero polivalente: sapevo gestire orari complicati e imprevisti, adattarmi a delle situazioni e personalità diverse. Mi ha ridato fiducia in me stessa”. Alla fine del suo tirocinio, bingo! La stessa formatrice la informa che una delle sue ex tirocinanti sta cercando un assistente. “Il lavoro offerto non corrispondeva alle mie ambizioni, era lontano da casa, in una struttura molto grande e piuttosto fredda, ma l’ho accettato, dicendomi che sarebbe stata sempre un’esperienza per me”. In seguito, Sofia ha trovato una posizione amministrativa “non molto interessante ma vicina a casa” in una piccola azienda di vendita per corrispondenza. In seguito ai movimenti del personale, si è gradualmente fatta strada e oggi si occupa degli acquisti. Questo è il vantaggio delle ditte piccole”, dice, “perché è più facile passare da un lavoro all’altro”.
Volontariato, una transizione graduale
Questa preziosa esperienza professionale, che manca nei loro CV, alcune donne l’hanno acquisita, spesso senza rendersene conto, nel volontariato, che è più facilmente accessibile. “È un vero trampolino di lancio per la vita professionale. La transizione è fluida, perché non si vive lo stesso stress che per un lavoro retribuito, mentre si sviluppano le proprie capacità”, dice Lorenza, che, dopo aver lavorato per un’associazione di famiglie adottive, è stata assunta da un’associazione di aiuto all’interno della Marina Nazionale. “Essendo moglie di un marinaio, mi trovavo in un ambiente familiare, il che rendeva tutto molto più facile”.
Isabella ha anche imparato a fare l’imprenditrice nel volontariato, istituendo un centro acquisti al servizio delle famiglie. “Ho tratto ispirazione dalla mia vita quotidiana di madre di famiglia. Tutto ciò che mi era mancato per crescere i miei figli, soprattutto le uniformi scolastiche, era diventato una fonte di ispirazione per il lancio della mia attività”. È un’attività per la quale gli studi infermieristici non l’avevano preparata. “Quando ho iniziato, riuscivo a malapena a mandare una mail!” si ricorda questa donna appassionata che ha lavorato duramente, fino a quaranta ore alla settimana, mentre si occupava della sua casa.
“Queste competenze acquisite nel mondo associativo mi hanno aperto a quello delle imprese. È anche vero che una famiglia numerosa si gestisce un po’ come una piccola impresa, ma non si passa dalla gestione delle spese di casa alla gestione di un’impresa, sono due mondi ben diversi. Senza la mia esperienza nel volontariato non sarei stata in grado di farlo”, assicura. Per non parlare del fatto che questi pochi anni le hanno permesso di farsi una solida rubrica, un aiuto prezioso che le ha aperto le porte di una catena di prêt-à-porter per bambini, dove ha fondato un reparto di “uniformi scolastiche”.
Di ritorno sui banchi di scuola
Per iniziare un’attività professionale, altre madri di famiglia tornano a scuola, molte di loro tentano il concorso per insegnanti di scuola. Matilda, dal canto suo, ha deciso di sostenere l’esame di magistratura a 46 anni. “Avevo lavorato come avvocato per cinque anni prima di dedicarmi ai miei quattro figli. Avrei potuto tentare di entrare di nuovo in uno studio legale, ma il superamento di un concorso mi ha permesso di sapere oggettivamente di cosa ero ancora capace. Dovevo scoprire se i miei neuroni avevano superato la data di scadenza”, scherza.
L’energica quarentenne si è iscritta a una scuola preparatoria, un anno frenetico. “Mi sentivo un po’ superata con il mio quaderno e le mie penne, mentre tutti i giovani prendevano appunti sul computer. Ma la parte più difficile era stare seduta e concentrata per ore ad ascoltare le lezioni, avevo perso l’abitudine. Mi aspettavano cinque ore di test di prova ogni sabato pomeriggio, e dato che il concorso era a settembre, ho passato l’estate a studiare, ma mi piaceva molto intellettualmente”, ricorda. Suo marito ha dovuto sostituirla a casa. “Si occupava di tutto: spese, incontri genitori-insegnanti, accompagnare i figli, era una novità per lui: fin dall’inizio del nostro matrimonio, mi occupavo di tutto io. Dopo aver superato l’esame, sono andata via a fare uno stage per otto mesi in provincia, tornavo a casa solo nei fine settimana, meno male che c’era lui! Sentivo che era orgoglioso di me, e senza il suo aiuto e il suo incoraggiamento, non sarei stata in grado di tenere il passo”.
Per coloro che hanno avuto la fortuna di avere un marito al loro fianco, il suo sostegno può essere stato essenziale. Supporto logistico, ma anche supporto tecnico (spulciare gli annunci di lavoro, aiuto nella scrittura della lettera di motivazione, consigli per il colloquio di lavoro, introduzione all’informatica), e soprattutto sostegno psicologico. Ad alcuni, tuttavia, non piace vedere le loro mogli lontano da casa. Camilla ha dovuto lottare duramente per far accettare al marito un lavoro part-time in un’agenzia immobiliare. Si giustifica: “Non era certo vitale dal punto di vista finanziario, ma ne avevo bisogno per il mio equilibrio personale”, tuttavia per lui l’argomentazione non era valida. Ho resistito grazie all’incoraggiamento di mia madre e dei miei amici. Alla fine, quando si è reso conto che la casa non stava andando a rotoli e i figli non ne erano disturbati, si è arreso”.
Prendersi cura dei propri figli e realizzarsi nel mondo del lavoro
Come quelle che hanno sempre lavorato, queste donne si preoccupano di preservare l’equilibrio familiare, ma con un’ulteriore difficoltà: il cambio di regime, che deve essere accompagnato con dolcezza. “Se lavori, è una sconosciuta che verrà a prendermi a scuola”, si scandalizzava la figlia di Carolina. Abituati alla presenza della madre, i figli devono imparare a fare da soli. Quelli di Francesca hanno cominciato a protestare: “Bisognava insegnargli nuove regole. Si sono resi conto che alcune cose non si facevano da sole, che se non sgombravano il tavolo della colazione, ritrovano le ciotole all’ora di pranzo. Ha fatto bene a loro e anche a me!” spiega la donna che ha riservato i suoi mercoledì per i suoi figli.
Come segretaria part-time che lavorava da casa, Maria ha fatto fatica a separare la sua vita famigliare da quella professionale. “Poiché ero stata sempre disponibile 24 ore su 24 per loro, i figli venivano nel mio ufficio senza preavviso. Ho dovuto imporre una regola: quando la mia porta era chiusa, non dovevo essere disturbata”. Isabella ha fatto in modo di essere presente quando i bambini uscivano da scuola e per i compiti serali, anche se doveva lavorare la sera quando erano a letto. “Rimangono la mia priorità, ma devo anche stare attenta alla mia efficienza in ufficio. Tutto questo richiede un’organizzazione militare: infatti, bisogna valutare tutte le diverse situazioni, altrimenti si pagherà, in un modo o nell’altro”.
Esatto avviso ai datori di lavoro! Poiché sono motivate e hanno dovuto lottare per ottenere ciò che volevano, queste nuove “donne attive” sono ultra-coscienziose e combattive. “Ero concentratissima per essere all’altezza della fiducia riposta in me. Ho comprato dei libri e un CD per aggiornarmi”, ricorda Chiara, che è tornata a fare l’infermiera dopo una pausa di 15 anni. “Quando sai che hai solo quindici anni per “fare carriera”, dai il massimo”, dice Valeria. E soprattutto, vanta Matilde, “abbiamo l’entusiasmo delle principianti, una certa esperienza della vita, e una grande capacità di adattamento grazie ai nostri figli”.
Entusiaste e felici. “Le donne sono fortunate ad avere diverse vite”, conclude Francesca. “Quello che non abbiamo potuto fare prima, possiamo farlo dopo. Ho avuto la fortuna di potermi prendere cura dei miei figli quando ne avevano bisogno e di continuare a realizzarmi nel mondo del lavoro. Lo apprezzo ancora di più perché le mie figlie probabilmente non avranno le stesse opportunità”.
Elisabeth Caillemer