Per il coniuge abile è spesso una sfida trovare il proprio ruolo. Molte coppie danno testimonianza della loro vita quotidiana, fornendo preziosi consiglidi Olivia de Fournas
Nella foto del suo matrimonio, Sofia, 25 anni, in abito bianco, appare raggiante accanto a Eric. Ben preparati per il matrimonio, sembrano avere tutto per avere successo nella loro vita matrimoniale. Otto mesi dopo, Eric si scontra con una macchina: trauma cranico. La giovane donna scopre allora un marito diverso, con la sua prosaica processione di realtà: sedia a rotelle, amnesia, disturbi spazio-temporali, dipendenza, mancanza di iniziativa, ossessioni… Come milioni di persone nel mondo, questa donna condivide la vita di un adulto disabile. Oltre al dolore di vedere sminuita la persona amata, questi coniugi abili ereditano quasi tutte le responsabilità. Una vita trasformata in lunghe attese dai medici, dove a volte si deve superare anche la vergogna di un coniuge che gestisce male le proprie emozioni in pubblico. Non è facile preservare il proprio ruolo di coniuge quando l’altro ha cambiato carattere con la disabilità e richiede cure particolari.
Alice, sulla cinquantina, pensava che non ce l’avrebbe fatta quando a suo marito fu diagnosticata la schizofrenia e la depressione dopo otto anni di matrimonio. Cosa fare quando lui rifiuta la sua condizione, quando sottopone il coniuge ad una certa schiavitù, costringendolo ad una presenza quasi permanente, ricattandolo persino col suicidio quando si assenta? Per tutti questi che vivono con un coniuge disabile, la prima reazione è un misto di stordimento, di disperazione e d’impotenza. “Come posso accettare mio marito dal momento che non corrisponde più a chi ho scelto? È cambiato così tanto, come posso amarlo ancora? Come prendermi cura di lui senza trasformarmi in un’infermiera?” Quando l’incidente o la malattia si verifica dopo molti anni e la coppia è stata sufficientemente costruita, la tenerezza, la lealtà nell’evidenza del loro passato è più presente. Ma molti confessano che l’accettazione della disabilità, almeno all’inizio, deriva soprattutto da una decisione della volontà. “Non potevo abbandonarlo, ma ammetto che la tentazione è esistita”, ricorda Alice.
“La cosa più difficile è la vita sociale”
Anche se i problemi logistici, di educazione dei bambini, affettivi e sessuali occupano un posto importante nella loro nuova vita quotidiana, sono tutti unanimi nell’affermare che la solitudine diventa la maggiore preoccupazione. In un’epoca in cui il diritto alla felicità individuale sta diventando un valore primario, ad Alice è stato detto: “Perché non divorziate, restare è assurdo, masochista!” L’assistente sociale di Sofia le ha persino consigliato di rifiutare la tutela di Eric, di “rifarsi una vita”. “La cosa più difficile è la vita sociale”, conferma la quarantenne. “L’entourage fugge. Tra i coraggiosi che “non hanno la forza di vederti così” e i mondani che non trovano più alcun vantaggio nell’incontro, gli inviti sono sempre più rari per la coppia. “Di regola, solo i veri amici e i veri cristiani insistono!” constata Alice.
Il più delle volte l’entourage si concentra sul coniuge malato. “Come sta Andrea? Tutti iniziano con questa domanda”, si rammarica Alice. I coniugi abili possono finire ad avere la sensazione di non esistere. D’altra parte, altri possono essere tentati di fuggire, di ribellarsi al coniuge, e di amareggiarsi per le coppie sane. “Ero gelosa della felicità degli altri”, spiega Alice. “A gennaio mi veniva voglia di piangere davanti alle foto dei biglietti d’auguri che contrastavano con la mia famiglia sbilenca”.
Alcune persone vogliono vivere come se tutto fosse normale. “Avevo paura di parlare della mia sofferenza, non volevo disturbare i miei figli, e soprattutto avevo voglia di parlare di qualcos’altro con le mie amiche”, spiega Alice, che aveva bisogno di momenti di svago e, osa dire, di attività superficiali per non deprimersi. “Erano l’orgoglio e la leggerezza che mi hanno tagliato fuori da me stessa e da Dio. Ma avevo bisogno di assimilare, di propormi in modo diverso”, analizza.
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Tornare ai fondamenti del sacramento del matrimonio
Ribellarsi fa parte, infatti, del percorso del coniuge di un disabile o di un malato di mente. Perché, di fronte alla sofferenza, “non c’è risposta alla domanda “Perché?” afferma il Padre François Potez. Eppure, Dio dà sempre la grazia di superare questa prova, a condizione che ci si appoggi a Lui”. I discepoli di Emmaus non si sono forse ribellati al pensiero che Gesù fosse morto? Così è stato anche per Alice, che “ha preso male l’handicap di Andrea.” “Lo disprezzavo, mi mancava colui che era stato”. Anche per Sofia questo tempo di “lutto” è stato necessario: “Bisognava che Eric si accettasse e che io lo accettassi, mi ci è voluto tempo per ammettere ciò che non potevo cambiare”.
In queste coppie ferite, il coniuge abile si ritrova al servizio del malato. L’arte di essere presenti senza gravare sull’altro si basa sulla visione corretta di cosa sia essere un marito o una moglie. Tuttavia, sapere come avere un legame coniugale chiaro è spesso una sfida per questi coniugi. “Non è facile conservare l’ammirazione e l’amore quando la gente si rivolge a voce alta a mio marito, come se fosse un idiota, o solo a me quando lui è lì”, spiega Sofia.
Questo può essere un problema anche nei confronti dei bambini. Il capofamiglia può avere delle idee strambe e delle esigenze educative incoerenti. Come posso dargli un ruolo, senza penalizzare l’educazione del figlio? Per non essere sommerse da contingenze materiali, Sofia e Alice hanno anche cominciato a tornare ai fondamenti del loro sacramento del matrimonio. Padre Potez conferma che in questo possono trovare un concreto conforto. “I pilastri del matrimonio, libertà, indissolubilità, fedeltà, fecondità, sono una grazia del sacramento del matrimonio, non un vincolo imposto dall’esterno. L’indissolubilità, in particolare, è un dono di Dio in risposta al carattere transitorio del sentimento d’amore”. Una risorsa gradita per Alice, soprattutto in quei momenti in cui “voleva lasciare Andrea e andare in giro per il mondo…”.
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Ricaricare le batterie e fare la differenza tra l’aiutante e l’innamorato
Il ricaricarsi, necessario a qualsiasi coppia, in questi casi è una questione di sopravvivenza. Per Alice, un lavoro che le piace, un aiuto psicologico e una vita di preghiera più intensa sono stati decisivi. “Senza Dio, non avrei potuto farcela”, ammette anche Sofia, per la quale la Messa quotidiana “è vitale”, oltre al Sacramento della Riconciliazione, un ritiro annuale… e le telefonate alla sorella. Quando la routine quotidiana è troppo pesante, Sofia recita a sé stessa questa frase: “Fai quello che devi e stai a quello che fai” e delega: prende un aiuto in casa e conserva qualche ora per attingere energia nella scultura. Spiega: “Per non perdermi, per essere in forma quando torno a casa e per meglio prendermi cura di Eric”, Alice, da parte sua, si è messa a fare jogging, e non esita a dire che la soluzione per lei è stata anche quella di dormire in una stanza separata perché suo marito la svegliava ogni notte.
I coniugi di persone con disabilità hanno così imparato a vivere in modo diverso. Sofia, visto che le uscite stavano diventando sempre più rare, ha deciso di invitare gli amici a casa sua invece di aspettare di essere invitata. Alice ha deliberatamente lasciato la presa, accettando la creatività degli altri: “All’inizio pensavo di sapere cosa fosse buono per Andrea. Quando mi è stato offerto di portarlo al cinema, suggerivo con forza che preferiva un tête à tête, ma mi sono presto resa conto che così facevo il vuoto intorno a noi”. Da allora gli amici hanno preso più iniziativa, Alice e Sofia si sentono vita, anche coltivando il senso dell’umorismo ed “educando i loro amici”. Allorché si soffermano con troppa insistenza sulle difficoltà legate alla disabilità di Eric, Sofia sta lavorando appunto per non soffermarsi su di essa, ma piuttosto ad meno sole ed evitano una grande tentazione femminile: diventare la mamma del marito. In effetti, Sofia è riuscita a rimanere incinta dopo sei anni di matrimonio, quando ha smesso di occuparsi delle cure assidue del marito e dunque ha lasciato il suo ruolo materno per quello di sposa.
Entrambe le donne hanno adattato il loro stile di andare avanti. “All’inizio, quando Eric diceva delle stupidità davanti a tutti, pensavo tra me e me: la mia vita è una tragedia, ma ho imparato ad aggirare la sua collera, e lui ha progredito”, ricorda. Lei trova delle alternative e impara a sdrammatizzare.
Accettare la propria fragilità e assaporare le piccole parentesi di felicità.
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Alice ora si apre di più con le sue amiche, purché osino anche condividere con lei domande e dubbi. “Prima nessuno mi parlava. Mi dicevano: “Povera, con quello che stai vivendo, non te ne aggiungeremo altre con i nostri piccoli problemi di coppia. Ma anch’io sono come le altre!” I sacerdoti sono anche interlocutori preziosi, con la distanza e una visione della sofferenza unica e santificante. Una frase di uno di loro ha aiutato molto Alice: “Noi chiediamo al Signore di allontanare le prove, crediamo che la felicità ci sarà quando tutto andrà bene, ma no, Lui agisce proprio nel cuore della vita”. Dopo la rabbia è arrivata l’accettazione. “Anche se è difficile, ogni giorno ho imparato ad assaporare le piccole parentesi di felicità che mi vengono offerte. La felicità è qui e ora, con il mio coniuge disabile”, conclude Alice. “Il nostro nemico comune è esteriore, sono le sue disabilità e non lui”, analizza Sofia.
Questi uomini e queste donne, per preservare la loro coppia, hanno dovuto, più di altri, discernere e riflettere sul senso del loro matrimonio. “Vedo anche l’umorismo, la delicatezza, dei frammenti dell’Eric di prima. Come me, ha i suoi talenti e i suoi limiti”, precisa Sofia, che sa vedere la bellezza nel marito al di là dell’handicap. La persona disabile può anche rivelare al coniuge il meglio di sé: la pazienza, il dono di sé e la generosità si diffondono poi a coloro che lo circondano.