Fare penitenza non vuol dire necessariamente “tirare la cintura” o fare “la faccia contrita”. La chiamata alla conversione, fortunatamente, può essere vissuta nella gioia e nell’amore, in uno stato d’animo e con delle finalità da coltivare e ricordare. di Yolande Bésida
Delle “piccole risoluzioni” ci permettono di sperimentare, attraverso le nostre difficoltà, che siamo poveri davanti a Dio e che tutto viene da Lui. È l’occasione per introdurre nella preghiera serale un canto alla misericordia: “Ti ho detto no, Signore, perdona!”, l’atto di contrizione o il Confesso a Dio.
Fino a che punto dobbiamo sacrificarci?
La Quaresima è anche l’occasione per eccellenza per rimettere ordine nella propria vita, soprattutto là dove la famiglia è ferita: rompere un rapporto senza futuro, ridurre gli eccessi (fumo, smartphone, PlayStation, orari di lavoro se possibile…). Perché non decidere anche di consumare meno, di navigare meno sui social network? È importante identificare “non quello che non possiamo fare, ma quello che possiamo fare in più per Dio”.
Possiamo rinunciare alla nutella, agli sciroppi e ad altre prelibatezze se poi tutti si lamentano? Scegliamo insieme l’alimento a cui rinunciare, magari l’astinenza sarà meno eroica, ma unisce la comunità, invitandola a fare uno sforzo insieme, e comunque ognuno è libero di fare di più se lo desidera.
A stomaco vuoto ci si arrabbia e ci manca l’energia? Bisogna sapere come comportarsi… I vincoli familiari impongono il buon senso e probabilmente è meglio fare uno spuntino per evitare di urlare e di essere aggressivi. La preghiera non ci coinvolge? La formula deve essere rivista e adattata ascoltando e implicando gli uni e gli altri.