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Dobbiamo veramente giocare con i nostri figli?

ZABAWA Z RÓWIEŚNIKAMI
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Edifa - pubblicato il 06/12/19
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I nostri figli hanno bisogno di sentirsi dire non soltanto: “Vai a giocare!” ma soprattutto “Vieni a giocare!”. Trascorrere del tempo con loro infatti è molto importante ed è uno dei punti fondamentali dell’educazione. di Christine Ponsard

Per molti adulti convinti che bisogna sempre essere seri, il gioco è troppo spesso sinonimo di distrazione, futilità ed infantilismo. Per altri invece, il gioco implica automaticamente l’idea di un guadagno (il lotto, l’azzardo…). Ma in realtà il gioco non è nulla di tutto ciò, non è né futile né utile. È serio e gratuito al tempo stesso… in fin dei conti giocare non “serve” a nulla, eppure è indispensabile.

Per un bambino, il gioco è fondamentale

Il bambino impara e si forma giocando. Ha bisogno di giocare non solo per occuparsi o distrarsi (aspettando “finalmente” l’età per potersi dedicare a delle attività più importanti). Infatti, è l’adulto che gioca per distrarsi e divertirsi, mentre il bambino gioca perché è il suo modo d’imparare, di conoscere e di scoprire il mondo. Il gioco lo conquista, attira tutta la sua attenzione e monopolizza tutte le sue energie. Giocare con pieno impegno è un privilegio della piccola infanzia, ma che può durare ben oltre… e di questo bisogna rallegrarsi.

Inoltre saper giocare, giocare per davvero, è una grande ricchezza non solo per i bambini piccoli ma anche per gli adulti perché non è sufficiente rispettare questo bisogno del bambino, è necessario anche trovare del tempo per giocare con lui.

Giocare per crescere meglio

Attribuiamo spesso e erroneamente molta più importanza al lavoro scolastico e agli apprendimenti “utili” (rifare il letto, lavarsi, ecc.) piuttosto che al gioco, ma è proprio attraverso il gioco che il bambino può imparare tutto ciò che c’è da imparare. Giocare con i figli, permette loro di crescere. Giocare con loro implica anche il rifiutare di cercare prima di tutto l’efficienza, l’impegnarsi per stabilire una complicità con loro basata sul semplice piacere di stare insieme e il trovare del tempo da donare gratuitamente, anche se questo può sembrare del tempo sprecato, poiché in realtà lo è solo apparentemente.

Attraverso il gioco possiamo aiutare i nostri figli a combattere un difetto, piccolo o grande che sia, a saper perdere e vincere con la stessa semplicità, a stare attenti, a saper aspettare il proprio turno, a non essere sempre al centro dell’attenzione e ad imparare a condividere la vittoria con la sua squadra. Inoltre giocando il bambino può scoprire che papà può saltare su un piede solo o che la mamma non sa nascondersi quando si gioca a nascondino… Tutti questi non sono soltanto ricordi unici, ma sono soprattutto delle opportunità di crescita e di progresso insostituibili.

Che cosa ha a che fare questo con l’educazione della fede?

I genitori che spendono tempo con i figli per pregare insieme, per farli scoprire la Parola di Dio, farli vivere i sacramenti della Chiesa, darli un solido insegnamento religioso, ma che allo stesso tempo pensano che giocare con loro sia facoltativo, non comprendono appieno la loro missione di educatori cristiani. È vero che la Fede non è un gioco, ma non è estranea ad esso. In primo luogo, la Fede, come il gioco, è “inutile” in termini di rendimento ed efficienza. In secondo luogo, anch’essa richiede dedizione totale.

Dio, per fare dei santi, ha bisogno di persone sane. Ma naturalmente nulla è impossibile al suo Amore e anche delle persone profondamente ferite, perturbate e squilibrate possono vivere una santità autentica. In ogni caso, il nostro dovere di genitori è quello di aiutare i nostri figli a costruirsi in modo armonioso affinché la grazia del Signore possa manifestarsi pienamente in loro.

Troviamo quindi il tempo per giocare con i nostri figli: possiamo essere certi che ciò che conta non è tanto il contenuto del gioco (i cosiddetti giochi “educativi” non sono necessariamente i più formativi, anche se hanno temi religiosi), quanto piuttosto il nostro modo di giocare con loro.

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