Stando a un messaggio letto di sfuggita sul mio iPhone, sembra che in certi ambienti parrocchiali si dicano cose come “la Chiesa non ha bisogno di un sinodo – ha bisogno di Dio”. Soffermiamoci un attimo su questa affermazione… e sul suo presupposto: “la Chiesa non avrebbe bisogno di questo ma di quello”… Non ho mai ben compreso perché alcuni cattolici, ponendosi a babordo o a tribordo della barca di san Pietro, si diano tanto da fare per parlare di una Chiesa… che in fondo non esiste! Che non è mai esistita, anzi, se non nelle loro teste – interpretazioni teologiche, storiche, ideologiche… tutti fantasmi!
Che cosa giustifica tanto aplomb? Cosa fonda un’affermazione così poco ponderata? Una rivelazione dal Cielo? Fosse questo il caso, bisognerebbe proclamarla ai quattro venti, gridarla dai tetti! Ma non è Mosè, né Elia, a essere in questione. Chi dunque può presumere così di sapere cosa sia “buono e giusto” per la Chiesa? In filigrana, in fondo, suona un po’ come denunciare il tradimento della Chiesa: quest’ultima preferirebbe occuparsi di sé stessa, invece di consacrarsi all’unica cosa necessaria – l’adorazione di Dio.
Un remake del Vaticano II?
La frecciatina contro il sinodo sulla sinodalità avviato da papa Francesco nella Chiesa universale fa sicuramente vede rincarare abbondantemente la dose tra i detrattori del pontificato. I più spinti vogliono vedervi un “remake” del concilio Vaticano II (che respingono): il suo appello al dialogo simboleggia per loro la prostrazione della Chiesa davanti al mondo; gli stessi si fanno comunque molti meno scrupoli nell’usare e nell’abusare del diritto al disaccordo, strappato ai difensori di una cristianità evaporata dappertutto fuorché nelle loro nostalgie.
«La Chiesa non ha bisogno di un sinodo – ha bisogno di Dio». Quanti pensano ciò e lo dicono con queste parole – ne hanno certamente diritto – non sanno forse che queste frasi possono suonare strane, alle orecchie di chi non ha la memoria corta: le stesse parole, infatti, sarebbero state pronunciate dall’arcivescovo Marcel Lefebvre, capofila dell’opposizione tradizionalista al concilio Vaticano II, fino alla sua morte (1991). L’autore dell’ultimo scisma nella Chiesa cattolica aveva infatti dichiarato:
Il grande messaggio della Chiesa al mondo è il ritorno al buon Dio. È questo ciò di cui vive la Chiesa, ciò di cui essa ha bisogno.
Marcel Lefebvre seppe abilmente agitare come una scimitarra la difesa della messa in latino, laddove aveva votato anch’egli per la riforma liturgica (come la quasi-unanimità dei Padri conciliari). Per contro, aveva votato contro i decreti sulla libertà religiosa e sull’ecumenismo. Per quel prelato secessionista, era tatticamente più giudizioso incitare alla fronda i cattolici sul dossier pasionario della messa che sui due altri punti di frizione (che pure sono all’origine dello scisma del 1988, intervenuto dopo la consacrazione illecita di quattro vescovi tradizionalisti, ma pure a seguito della riunione di preghiera interreligiosa per la pace, convocata ad Assisi da Giovanni Paolo II nel 1986 e tacciata da mons. Lefebvre di “abominevole congresso delle religioni”).
Un’assemblea di preghiere
Perché questo promemoria storico? Altri tempi, altri costumi – si potrebbe obiettare. Certo. Però bisognerebbe essere sordi o ciechi, per non constatare che il cammino sinodale avviato da papa Francesco ha riattivato dei timori, da un lato, e delle attese dall’altro – cose che si sentivano già durante il Concilio, e poi durante il periodo post-conciliare. Come abbiamo visto, esse impiegano una semantica e delle forme espressive analoghe. Per evitare che tra cattolici scoppi una nuova “guerra civile”, il relatore generale del Sinodo, il cardinale lussemburghese Jean-Claude Hollerich, ha messo in guardia contro la tentazione di «fare politica».
Non è oggetto del sinodo, ha ricordato, polarizzarsi sul sacerdozio alle donne o sull’omosessualità: «Si tratta di raccogliersi per andare verso l’avvenire, per andare ad annunciare Cristo insieme e servire il mondo». «Il più piccolo dei cristiani che ama Dio – scriveva François Mauriac nel suo famoso Bloc-Notes – è una cattedrale vivente». Questa citazione ci rimanda a una realtà ecclesiale sempre vera: quella del popolo di Dio, che continua a fare della Chiesa, oggi come ieri, ciò che essa è sempre stata fin dalla nascita il giorno di Pentecoste – «un’assemblea di preghiere». E dovrebbe essere questo, va da sé, il senso del sinodo sulla sinodalità prolungato fino al 2024.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]