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Perché l’ultima frase prima della comunione è tanto importante? 

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Padre Peter John Cameron, O.P. - pubblicato il 20/02/23
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Durante l’elevazione, e prima di comunicarsi, il prete dice una frase che invita tutti i fedeli a stupirsi.

Durante la messa, prima di ricevere la comunione, il prete dice davanti all’assemblea, mostrando l’ostia elevata tra le mani: 

Sono le parole che san Giovanni Battista a aveva pronunciato perché quanti lo ascoltavano riconoscessero Gesù come il messia (Gv 1,29). È interessante notare che Giovanni non dice: «Ascoltate l’agnello di Dio»; dice invece “ecco”, che è un invito a guardare, a fare attenzione, a vedere. L’abate cistercense Gilberto di Terrasanta, nel XII secolo, lo comprese bene: 

La ragione umana desidera qualcosa di più che il solo credere. Essa desidera vedere. 

Un “ecco” che invita alla contemplazione 

San Gregorio Magno diceva che «quando l’amante vede l’oggetto dell’amore si infiamma ancora di più per lui». Gli uomini hanno (giustamente) bisogno di vedere, e questo “ecco” invita alla contemplazione. L’“ecco” invita anche a prestare attenzione: essere attenti significa guardare per vedere quel che c’è, davanti agli occhi. L’attenzione, comunque, è anche la capacità di guardare al di là di quel che l’uomo vede e conosce per andare incontro a qualcosa di più

Dicendo “ecco”, il prete ci incoraggia alla contemplazione, alla meraviglia e a entrare in un mistero più grande, lasciando dietro di noi ogni distrazione o preoccupazione. Egli invita a contemplare Dio, per diventare a sua immagine e somiglianza. Sant’Ireneo di Lione diceva: 

Come quanti vedono la luce sono nella luce e partecipano al suo splendore, così quelli che vedono Dio sono in Dio e partecipano alla sua gloria, splendore vivificante, e dunque quelli che vedono Dio avranno parte alla Vita. 

Gesù desidera dare all’uomo la propria vita, soprattutto nell’Eucaristia. 

L’offerta più perfetta 

Perché guardare un agnello, e non un leone, o un’aquila, o qualche altra creatura formidabile? Il teologo americano Scott Hahn sottolinea l’ironia: 

Il titolo “agnello” sembra quasi comico, nel suo carattere inappropriato. Gli agnelli non figurano bene, generalmente, nelle liste degli animali più ammirati: non sono particolarmente forti, intelligenti, rapidi o belli. Altri animali sembrerebbero più degni: eppure è l’Agnello che dirige un’armata di centinaia di migliaia di uomini e di angeli, seminando la paura nel cuore dei malvagi (Ap 6,15-16). Quest’ultima immagine, dell’Agnello feroce e spaventoso, è quasi troppo incongrua per essere immaginata restando impassibili. 

Il certosino Ludolfo di Sassonia, del XIV secolo, approfondisce l’immagine dell’agnello: 

Dicendo “ecco l’Agnello di Dio”, Giovanni Battista vuole dire che Gesù è stato inviato da Dio per essere l’offerta più perfetta. Cristo è identificato in modo particolare con l’agnello, più che ad ogni altra bestia, perché l’agnello Pasquale prefigura più espressamente il Cristo innocente che si offre in sacrificio. L’agnello è stato condotto al macello ma non ha aperto la sua bocca. 

È cruciale guardare e contemplare costantemente, nella fede, l’adorazione e l’azione di grazie, l’Agnello che dona la vita per amore di ogni uomo. 

Il monaco benedettino tedesco del IX secolo, Haymo di Halberstadt, aggiunge: 

Ecco l’Innocente tra i peccatori, il Giusto tra gli empi. Nessun peccato poteva essere trovato in Lui, ed è per questo che Egli ha preso i peccati del mondo. 

Il certosino Ludolfo di Sassonia ci mostra un modo perfetto di contemplare Gesù: 

O Agnello di Dio, possa tu riconoscermi, povero peccatore, tra le pecore che porrai alla tua destra. Ma prima perdona i miei peccati e le mie offese, perché tu possa meglio riconoscermi. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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