Fino all’ultima sera ha voluto fare da confessore ad un penitente: san Leopoldo Mandić è salito alla gloria degli altari come uno dei più grandi confessori della storia della Chiesa scrive Pina Baglioni nel libro “Leopoldo Mandić – Il fraticello che voleva tutti in Paradiso” (edizioni Ares).
La sua vita è tutta racchiusa in una celletta-confessionale di due metri per tre, afosa d’estate e gelida d’inverno, ad ascoltare le storie dei penitenti per oltre trent’anni. Nel libro della Baglioni i racconti dei penitenti e gli aneddoti dei frati che sono vissuti con san Leopoldo Mandic a Padova.
Quella volta che diede del “delinquente”
Rarissime volte perdeva la pazienza, tra cui quella volta che, in confessionale, diede del “delinquente” a un uomo che aveva tradito la moglie. «Non c’è tradimento che si uguagli al tradimento dell’affetto nel matrimonio», avvertiva.
Lascia la cena e torna a confessare
Una sera del 1933, erano ormai le ore 22, padre Leopoldo si trovava ancora nel confessionale e fuori dalla stanzetta in attesa c’era ancora tanta gente. Il padre guardiano, padre Marcellino, spazientito, lo mandò a chiamare, incaricando fra Gaudenzio di dirgli di andare a mangiare e, per quella sera, di smettere. Padre Leopoldo ubbidì prontamente, ma il pensiero di quei penitenti non gli permetteva di ingoiare nemmeno un boccone. Allora chiamò il confratello dicendogli: «Va dal padre guardiano e pregalo che, per amore di Dio, mi lasci ritornare al confessionale!». Quando fra Gaudenzio tornò con il permesso del padre guardiano, il viso di padre Leopoldo si illuminò e se ne tornò al suo amato confessionale.
Troppo zelo verso i penitenti?
Qualche confratello lo rimproverava spesso e volentieri per il troppo zelo nei confronti dei penitenti. «Ma come si può lasciare il confessionale per il cibo! Noi, poi, siamo nati per faticare» rispondeva. «Ci riposeremo in cielo. I signori stanno a letto per un raffreddore, ma noi poveri dobbiamo lavorare anche con la febbre. E come posso stare a letto mentre fuori ci sono tante persone bisognose della mia assistenza».
Gioco d’azzardo
Accadeva che il fraticello, in confessionale, San Leopoldo Mandic favorisse legami spirituali con i penitenti che non si sarebbero più spezzati e che in quel piccolo spazio si aprissero spazi naturali per il miracolo. Una volta gli si presentò una donna disperata che cercava il suo aiuto: il marito giocava d’azzardo al Casinò di Venezia, perdendo denaro e trascinando alla rovina sé stesso e la famiglia. «Stia tranquilla, la cosa non si ripeterà più», la rassicurò Leopoldo. Tornata a casa, la donna trovò il marito contrito: le chiese perdono e le fece la solenne promessa di non mettere più piede in una sala da giochi.
Un aneddoto divertente: il fuggitivo!
Non mancano episodi divertenti, come quello di un padovano che, in occasione della Pasqua, si era messo in coda per farsi confessare da padre Leopoldo. In realtà non ne aveva nessuna voglia e attendeva l’occasione buona per svignarsela. Nel frattempo, il primo dei penitenti della solita lunga fila aveva concluso ed era uscito dal confessionale. Ed ecco che padre Leopoldo fa subito cenno al fuggitivo di avvicinarsi e di accomodarsi. Quello, sbalordito, ubbidisce, ma non sa cosa dire. Il frate lo incoraggia e gli fa l’elenco dei peccati: «Le dirò io cosa ha fatto... È questo... è quest’altro?». L’uomo crolla, esce felice dal confessionale, assolto.
La “confessione” di san Leopoldo
Tra il 1940 e il 1941, il fraticello cominciò ad accusare dolori molto forti allo stomaco. Non poteva più nutrirsi e le forze lo stavano abbandonando. Disse un giorno a un penitente: «Ora sento anch’io che Leopoldo ormai ne ha pochi da spendere, però sento l’anima ancora bambina!». Sostenuto da una fortissima volontà, egli continuò a confessare e a pregare giorno e notte ancora per qualche tempo, ma poi dovette prendere atto di non farcela più e cedette a farsi visitare in modo accurato. Non poté più scendere in confessionale.
La ripresa e il tumore
Nel 1942 però San Leopoldo Mandic si riprese a seguito di trasfusioni. Dopo un mese di degenza in ospedale ritornò in convento. Sembrava guarito, potendo reggersi e camminare. Purtroppo, le cose andarono diversamente. Durante la degenza in ospedale, accurate radiografie avevano rivelato un tumore all’esofago, incurabile. A lui non dissero nulla e tornò in convento continuando a confessare in infermeria. Pareva essere rinato.
“Non ci rivedremo più”
La cosa durò poco, perché il male cominciava a mordere: dolori lancinanti da farlo svenire, impossibilità di alimentarsi se non qualche briciolina di pane e qualche goccia di caffè. Eppure, indomito, continuava ad accogliere penitenti. Scrive Giuseppe Rampazzo: «Il 30 giugno, andai a confessarmi da padre Leopoldo nella sua celletta dell’infermeria. Era tanto sofferente, ma volle lo stesso accompagnarmi sino alla porta del convento, dandomi segni della più grande affezione. Arrivati alla porta, io lo ringraziai del gesto, ma egli con uno sguardo triste, come non avevo mai visto in lui, mi disse: “Sa perché l’ho accompagnata? Perché non ci rivedremo più”. “Ma io tornerò al più tardi tra un mese”. “Va bene, ma non ci rivedremo più”. Io tornai dopo un mese, ma padre Leopoldo era già partito per il cielo».
L’ultima confessione
Nella sera del 29 luglio, dopo una giornata caldissima, padre Leopoldo si fece accompagnare in giardino per respirare un po’ d’aria fresca. Se ne stette per un po’ seduto su una panchina, accanto al pozzo sormontato da un muricciolo rivestito di edere. Per tutto il giorno aveva confessato una cinquantina di sacerdoti. L’ultima notte della sua vita terrena, il padre la passò in preghiera e a confessare.
L’ultimo penitente fu fra Barnaba Gabini, morto a novantasei anni a Conegliano qualche tempo fa. Morì alle ore 7,00 del 30 luglio 1942.
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