Ricordo che quando ero piccolo la gente veniva da me e mi chiedeva: “Allora, cosa vuoi fare da grande?”
Non ho mai detto “Non lo so”. Sarebbe stato imbarazzante, e allora dicevo cose come “il pompiere”, o “il netturbino” (amavo guardare i camion della spazzatura). In realtà non avevo idea di quello che volevo diventare.
È così per tanti bambini, incluso uno che una volta cresciuto sarebbe diventato santo, Giuseppe Benedetto Cottolengo. Anche lui non sapeva che direzione avrebbe preso la sua vita, ma quando alla fine ha saputo cosa fare si è lasciato dietro un'eredità che continua a crescere e a ispirare e a salvare vite umane.
Giuseppe era nato il 3 maggio 1786 a una cinquantina di chilometri da Torino. Era il primo di 12 fratelli, figlio di Giuseppe Antonio Cottolengo e Benedetta Chiarotti. Purtroppo, sei dei bambini morirono durante l'infanzia. La famiglia di Giuseppe apparteneva alla classe media, e conduceva una vita austera ma confortevole.
Gentilezza innata
Fin da bambino, Giuseppe dimostrava una cortesia innata. Era gentile con gli animali - portava spesso a casa gli uccellini feriti - e cercava sempre di aiutare la mamma in casa. Sembrò ovvio che facesse domanda per entrare tra i Francescani per diventare membro laico. Il 2 ottobre 1802, venne accettato come terziario francescano ad appena 16 anni.
Nel 1805 entrò nel seminario di Asti. Il seminario chiuse due anni dopo, ma Giuseppe non si scoraggiò e decise di continuare gli studi da casa. Venne ordinato sacerdote l'8 giugno 1811, a 25 anni. Sapeva di voler diventare sacerdote e di voler servire gli altri, ma non era sicuro di come procedere.
La storia di San Vincenzo de' Paoli
Giuseppe venne assegnato come curato a una comunità della cittadina di Corneliano d’Alba, dove rimase per vari anni e completò i suoi studi di teologia, conseguendo la laurea nel 1818. Venne poi assegnato alla basilica del Corpus Domini a Torino, dove rimase per alcuni anni come parroco, donando tutto ciò che riceveva a livello economico – stipendio e donazioni – ai poveri. In seguito si imbatté in un libro che raccontava la vita di San Vincenzo de' Paoli. Dopo aver letto la storia del santo, capì che doveva concentrarsi sui poveri e sui bisognosi. Non tornò mai sui suoi passi.
Torino si stava ancora riprendendo dall'occupazione francese. L'immigrazione clandestina riempiva la zona di analfabetismo, pauperismo, nascite illegittime, malattie sconosciute e povertà. La città era un luogo tremendo. Fu lì che a padre Cottolengo venne chiesto di aiutare una famiglia che viaggiava da Lione a Milano. La donna era incinta e molto malata, e aveva già vari figli.
Nessuno l'aiutava, e morì partorendo
L'ospedale locale rifiutò di aiutarla perché aveva la tubercolosi. Il reparto maternità la respinse per la febbre alta. Le regole stabilivano che non potesse entrare nessuno che fosse potenzialmente contagioso. La donna morì partorendo. Padre Cottolengo le diede l'unzione dei malati e battezzò il bambino, che morì come la madre. Gli altri figli rimasero lì a piangere e a guardare la scena terribile che si svolgeva davanti ai loro occhi.
Padre Cottolengo rimase addolorato per quella storia. Era scioccato per il fatto che nessun ospedale o struttura in alcun luogo potesse aiutare persone di quel tipo. Vendette tutto ciò che aveva, compreso il cappotto, e affittò due stanze. Il 17 gennaio 1828 offrì alloggio gratuito a un paralitico anziano e povero. Il suo ministero iniziò a gettare radici.
Papa Francesco ha parlato di questo santo alla fine del 2022, sottolineando che l'“inquietudine” che lui e altri santi hanno provato è un catalizzatore del loro discernimento della volontà di Dio:
“Una serenità perfetta ma 'asettica', senza sentimenti, quando diventa il criterio di scelte e comportamenti, ci rende disumani. Noi non possiamo non fare caso ai sentimenti: siamo umani e il sentimento è una parte della nostra umanità; senza capire i sentimenti saremmo disumani, senza vivere i sentimenti saremmo anche indifferenti alla sofferenza degli altri e incapaci di accogliere la nostra. Senza considerare che tale 'perfetta serenità' non la si raggiunge per questa via dell’indifferenza. Questa distanza asettica: 'Io non mi mischio nelle cose, io prendo le distanze': questo non è vita, questo è come se vivessimo in un laboratorio, chiusi, per non avere dei microbi, delle malattie. Per molti santi e sante, l’inquietudine è stata una spinta decisiva per dare una svolta alla propria vita. Questa serenità artificiale, non va, mentre è buona la sana inquietudine, il cuore inquieto, il cuore che cerca di cercare strada. È il caso, ad esempio, di Agostino di Ippona o di Edith Stein o di Giuseppe Benedetto Cottolengo o di Charles de Foucauld. Le scelte importanti hanno un prezzo che la vita presenta, un prezzo che è alla portata di tutti: ossia, le scelte importanti non vengono dalla lotteria, no; hanno un prezzo e tu devi pagare quel prezzo. È un prezzo che tu devi fare con il tuo cuore, è un prezzo della decisione, un prezzo di portare avanti un po' di sforzo. Non è gratis, ma è un prezzo alla portata di tutti. Noi tutti dobbiamo pagare questa decisione per uscire dallo stato di indifferenza, che ci butta giù, sempre”.
La nascita della Piccola Casa della Divina Provvidenza
le due stanze divennero presto un piccolo ospedale. Un medico offriva volontariamente il suo tempo, seguito da un farmacista che avrebbe poi aiutato ad acquisire i medicinali. Una ricca vedova, Marianna Nasi, organizzò 12 donne delle Donne della Carità perché facessero visita ai malati e facessero del proprio meglio per tenere le cose in ordine. Il piccolo ospedale continuò a esapndersi, e divenne noto come Piccola Casa della Divina Provvidenza.
Arrivarono le donazioni, e fu acquistata una casa a Valdocco, fuori Torino. Due suore iniziarono a lavorarci, e venne ammesso il primo paziente malato di cancro. L'ospedale si ampliò poi con un orfanotrofio.
Lo zelo di padre Giuseppe per aiutare i poveri non lo faceva mai stare fermo. Fondò i Fratelli e le Sorelle di San Vincenzo de' Paoli, che lavoravano nell'ospedale, le Suore di Thais, che offrivano rifugio alle donne penitenti, e i Sacerdoti della Santissima Trinità, che svolgevano il proprio ministero con orfani, malati di epilessia e persone affette da disabilità o malattie mentali.
Il tifo
Nel 1842 padre Cottolengo contrasse il tifo lavorando con i malati. Morì il 30 aprile 1842, lasciandosi indietro una rete di assistenza sanitaria con più di 1.300 operatori sparsi nel Regno di Savoia. Vide sempre il volto di Gesù nei poveri, e non li trattò mai se non con rispetto e dignità massimi. Si sentiva spesso dire:
“I poveri sono Gesù, e dobbiamo sempre servirli. Se pensaste e capiste bene chi rappresentano i poveri, li servireste continuamente in ginocchio”.
Padre Giuseppe Benedetto Cottolengo è stato beatificato da Papa Pio XI nel 1917 e canonizzato dallo stesso Pontefice nel 1934. È patrono di chi soffre di malattie contagiose.
San Giuseppe Benedetto Cottolengo, prega per noi!