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Attenzione al “Pinocchio” di del Toro: il suo guazzabuglio religioso può provocare confusione

PINOCCHIO
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Vidal Arranz - pubblicato il 08/02/23
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L'ultima versione animata del classico di Carlo Collodi è visivamente abbagliante, ma reinterpreta l'originale in modo molto discutibile

Viviamo in un'epoca di grande confusione. Siamo così abituati al fatto che il cinema e le serie più popolari ignorino tutto ciò che ha a che vedere con la religione, e specialmente ciò che è cristiano e cattolico, che quando i nostri simboli compaiono in un'opera audiovisiva non interpretiamo sempre in modo adeguato il loro uso da parte dell'artista.

Questo rischio mi sembra evidente nel caso del Pinocho di Guillermo del Toro, l'ultima versione animata del classico di Carlo Collodi. Il film presenta un notevole guazzabuglio religioso, come riflessioni sulla morte e la vita eterna che non solo negano la trascendenza, ma anche la sua bontà, e rivendicano che la vita ha senso solo perché ha un termine. “Quello che accade accade, e poi ce ne andiamo”, conclude il racconto. Esiste solo il qui e ora, e bisogna approfittarne.

Questo immanentismo non è nuovo, né nel cinema, né nella cultura popolare contemporanea. In questo caso, però, viene servito da una pellicola che gioca con i riferimenti religiosi cattolici (la croce, la preghiera, il rosario...), il che può suscitare confusione. Bisogna poi aggiungere che tutti questi momenti sono assenti dall'opera originaria, pubblicata come libro nel 1893, e sono apporti personali del cineasta messicano. 

PINOCCHIO

Inquadriamo però la chiave del problema. Pinocho inizia con un prologo inventato, estraneo all'opera originaria, in cui vediamo Geppetto felice con suo figlio Carlo. Con lui prega la sera, in una casa presieduta da un crocifisso, con lui va a Messa, in una chiesa con un'imponente immagine di un crocifisso che il falegname sta riparando...

Addio alla visione cristiana della vita

Questa prima parte mostra un mondo felice, sicuramente associato alle convinzioni cattoliche. Questo mondo, però, crolla quando degli aerei lanciano le loro bombe sul paese di Geppetto e una di queste distrugge la chiesa e uccide suo figlio mentre si trovava dentro. Il tempio viene quasi completamente raso al suolo, tranne l'immagine del Cristo, danneggiata ma che rimane in piedi.

Questa associazione idilliaca dell'aspetto religioso con il mondo felice di Geppetto, con cui è facile identificarsi se si ha una certa età, è ciò che ha spinto molti all'empatia nei confronti del film. Ma non conviene fermarsi a questo, perché in realtà del Toro, in qualche modo, non fa altro che dar fede della morte della civiltà cristiana, che appare trasformata in una maceria di quello che è stata, come la chiesa della storia.

Possiamo affermarlo perché nulla di quello che verrà dopo, nulla di quello che fa parte della vita del burattino di legno, si adegua minimamente ai parametri di una cosmovisione cristiana, piuttosto è il contrario.

Del Toro sostituisce le fate del racconto di Collodi, ispirate, come tutte le fate delle favole, agli angeli, con degli esseri dall'apparenza mitologica chiaramente pagana. 

Si inventa poi una specie di aldilà piuttosto strano, in cui Pinocchio si reca ogni volta che viene ucciso, perché essendo una marionetta di legno è immortale.

Perché inserire Mussolini?

Bisogna insistere sul fatto che nulla di tutto questo si ritrova nel racconto originale, ma il risultato è una riflessione che ci presenta l'immortalità come qualcosa di francamente indesiderabile. Ci si deve godere il qui e ora di questo mondo.

PINOCCHIO

Va aggiunto poi che il rapporto di Guillermo del Toro con la religione cattolica sembra ambivalente. C'è un certo affetto nel modo di trattare le prime scene, come se ritenesse il mondo delle convinzioni popolari rispettabile, ma si è poi molto critici con la Chiesa come istituzione, rappresentata dal sacerdote del paese e presentata come un'istituzione repressiva e al servizio dei poteri del municipio. Ogni volta che appare, lo fa nella figura del leader fascista locale, servilmente legittimatrice di questa ideologia.

L'inserimento del contesto fascista nel racconto di Pinocchio – con l'apparizione di Mussolini stesso, oggetto di scherno da parte della marionetta – è un altro intervento del regista messicano, perché Collodi ha scritto la sua opera 40 anni prima che sorgesse il movimento fascista, che quindi non ha conosciuto, come ignorava il mondo che ne era sorto.

L'immagine di Cristo viene usata da del Toro in modo ingannevole in un altro momento, quando Pinocchio, respinto dagli altri bambini, guarda il crocifisso e dice: “È di legno, come me. Perché Lui viene amato e io rifiutato?”

Un essere disadattato

Ci troviamo di fronte a una di quelle manipolazioni dei sentimenti che hanno successo perché ci soffermiamo a malapena a rifletterci su.

Se lo facessimo, ricorderemo che non amiamo le immagini di Cristo perché sono di legno, aspetto del tutto secondario, ma perché evocano la Persona in carne e ossa, il Messia.

Anche se forse c'è un'altra chiave di lettura. Nei commenti alla sua opera, Guillermo del Toro riconosce che il suo approccio al personaggio di Pinocchio parte dalla sua considerazione di un essere strano, un disadattato, che attenta contro l'idea di normalità.

Ed è molto probabile che l'interpretazione della figura di Cristo da parte del cineasta messicano sottolinei anche questi aspetti della Sua dimensione umana e di predicazione, per cui per del Toro, se c'è qualcosa in comune tra Cristo e Pinocchio, al di là del fatto di essere di legno, è la loro condizione di disadattati, di persone estranee al mondo e alle convenzioni.

Questa interpretazione distorce ovviamente molto la visione del Gesù evangelico, ma non ha neanche nulla a che vedere con il Pinocchio di Collodi, il cui problema non è non essere adatto alla società, ma l'immaturità. È un bambino che non è stato ancora “addomesticato” dall'educazione ed è guidato solo dai propri impulsi.

Non c'è dietro una visione cristiana

In qualche modo, e seguendo l'interpretazione che Diego Blanco fa dei racconti popolari e del loro legame profondo con il Vangelo, potremmo interpretare il legno di Pinocchio come una metafora della condizione peccaminosa dell'uomo. Uno stato che bisognerebbe cercare di superare, pur non riuscendo mai a vincerlo del tutto.

Nulla di tutto questo, però, appare nell'apparentemente abbagliante pellicola del cineasta messicano, come neanche l'idea della perfettibilità dell'uomo, che deve imparare a migliorarsi e a rafforzare la sua volontà, che a volte risulta troppo debole, specialmente quando deve affrontare la tendenza innata degli esseri umani al piacere.

Il Pinocchio di Guillermo del Toro non è, in realtà, un bambino che deve imparare, o adattarsi alle aspettative degli altri o della società.

“So chi sei, ti amerò come sei”, dice alla fine del film Geppetto al suo figlio di legno. Pinocchio, però, come possiamo immaginare, è un bambino, e quindi dovrebbe preoccuparsi maggiormente di cercarsi e definirsi che di autoaffermarsi in un'identità fragile e necessariamente provvisoria, per la breve vita sperimentata.

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