Si può essere perdonati se si crede che nella Germania nazista la coscienza fosse morta. I crimini contro l'umanità, incluso l'Olocausto degli ebrei, hanno avuto una portata tale che coloro che li hanno concepiti, progettati e realizzati devono essere stati demoni, non uomini.
La storia di Rudolf Höss, tuttavia, mostra che perfino nella frenesia della devozione agli ideali della razza ariana e nella cieca obbedienza agli ordini è rimasto un barlume di coscienza, che rappresenta la speranza di salvezza per almeno uno degli scagnozzi di Hitler.
Purtroppo, però, nel momento in cui Rudolf Höss ha avuto questo barlume di coscienza, troppo danno era già stato fatto. Aveva costruito il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, e ne era stato il comandante. Un ebreo su sei di quelli uccisi nell'Olocausto è morto ad Auschwitz.
Dopo essere stato condannato dal Supremo Tribunale Nazionale in Polonia, Höss è stato impiccato il 16 aprile 1947. Secondo la legge dell'uomo, giustizia era stata fatta. Qualsiasi ulteriore giustizia Höss abbia affrontato nell'aldilà – e Dio è un giudice giusto –, ha mostrato pentimento alla fine della sua vita, ed è morto nella speranza di gustare la misericordia divina.
Una vita di obbedienza
Nato in una devota famiglia cattolica nella città termale tedesca di Baden-Baden il 25 novembre 1901, Höss era stato battezzato da piccolo ed era stato vicino alla Chiesa mentre cresceva. I sacerdoti erano spesso ospiti a casa Höss, e il padre di Rudolf portava il ragazzo a Lourdes e in altri santuari europei. Rudolf si confessava spesso, e suo padre sperava che un giorno sarebbe diventato sacerdote.
Un'esperienza d'infanzia, però, gli lasciò un profondo sospetto nei confronti dei sacerdoti, e questo lo portò alla fine ad abbandonare la Chiesa.
“Mentre correva giù dalle scale a scuola con i suoi compagni un sabato mattina, per sbaglio aveva spinto un altro bambino, facendogli rompere il polso”, ha affermato lo storico p. John Jay Hughes in una conferenza alla Seton Hall University nel 1998. “Rudolf era stato punito per due ore. Coscienzioso come sempre, quello stesso giorno aveva menzionato la sua trasgressione nella sua Confessione settimanale. Non aveva però riferito a casa l'incidente, non volendo “rovinare la domenica ai miei genitori”, come ha scritto in seguito.
“Quella stessa sera il suo confessore, buon amico di suo padre, andò a trovare la famiglia”, ha proseguito p. Hughes. “La mattina dopo, il padre di Rudolf lo sgridò e lo punì per non aver riferito subito dell'incidente. Visto che il telefono della famiglia non funzionava, non c'erano state altre visitate e nessuno dei suoi compagni viveva nel vicinato, Rudolf concluse che il sacerdote dovesse aver infranto il segreto del confessionale. 'La mia fiducia nella santa professione del sacerdozio andò distrutta, e i dubbi cominciarono ad agitarsi in me', scrisse Höss. 'Dopo quell'incidente, non sono più riuscito ad avere fiducia in alcun sacerdote'. Cambiò confessore, e presto smise del tutto di confessarsi”.
Piuttosto che continuare a pensare al seminario, Höss entrò nell'esercito e servì durante la I Guerra Mondiale. Nel 1922 si unì al partito nazista dopo aver sentito Hitler parlare a Monaco. Una dozzina di anni dopo, Heinrich Himmler, comandante delle SS, invitò Höss a unirsi ai suoi. Höss riveriva Himmler, e considerava tutto ciò che diceva “Vangelo”.
Scalando il potere, Höss sviluppò una “fiducia nella correttezza della causa [naziste] e un atteggiamento esteriore gelido nonostante i dubbi interiori”, ha affermato p. Hughes. Servì nei campi di concentramento di Dachau e Sachsen-Hausen, e nel 1940 venne incaricato di costruire un nuovo campo ad Auschwitz, nella Polonia occupata dai nazisti. Hughes ritiene che Höss abbia agito sulla base dell'ideologia nazista ma disprezzasse il modo crudele in cui venivano trattati i prigionieri. Ad ogni modo, eseguiva gli ordini dei suoi superiori e ordinava ai suoi subalterni di mettere in pratica la visione di Hitler.
“Ho dovuto apparire freddo e senza cuore durante questi eventi che strappano il cuore a chiunque abbia qualsiasi tipo di sentimenti umani”, ha scritto in seguito nelle sue memorie in prigione. “Freddamente, dovevo stare a guardare mentre le madri entravano nelle camere a gas con i figli che ridevano o piangevano... Non sono mai stato felice ad Auschwitz una volta che è iniziato l'annientamento di massa”.
“Non hai mai avuto scrupoli di coscienza?”, ha chiesto il procuratore polacco a Höss durante il suo processo.
“Sì, più tardi”, ha replicato l'imputato, “quando sono arrivati i trasporti di massa - specialmente quando dovevamo sterminare le donne ogni giorno. Tutte le persone coinvolte avevano la stessa domanda non formulata: Era necessario? Sono venuti da me diverse volte e ne hanno parlato. Tutto quello che potevo fare era dire loro che dovevamo eseguire gli ordini senza permetterci alcun sentimento umano”.
Aveva anche detto allo psichiatra della prigione polacca che durante gli anni del suo campo di concentramento sentiva che “qualcosa non andava”. Anche se aveva continuato a credere nell'ideologia del nazionalsocialismo, riconosceva “con certezza... che l'abbandono della moralità era sbagliato, e anche i crimini, il terrore, la diffusione dell'odio. L'ho sempre sentito”.
Disse anche: “Oggi mi rendo conto che lo sterminio degli ebrei era sbagliato, assolutamente sbagliato”.
Incrociando la strada di Karol Wojtyła
Dopo la sconfitta della Germania, Höss ha lavorato in una fattoria e per un po' è sfuggito alla cattura, ma l'11 marzo 1946 è stato arrestato dalla Polizia britannica, ed è stato processato insieme ad altri ex leader tedeschi. Ha riconosciuto la sua “piena responsabilità” come comandante del campo per tutto ciò che vi era avvenuto. Il 2 aprile 1947, il Supremo Tribunale Nazionale della Polonia lo ha riconosciuto colpevole e ha emesso una sentenza capitale. Höss è stato trasferito alla prigione di Wadowice, a poco più di venti chilometri da Auschwitz. Per chi ha familiarità con ala vita di Papa San Giovanni Paolo II, Wadowice è la cittadina polacca in cui nel 1920 è nato Karol Wojtyła.
Il giorno del suo arrivo in prigione, Höss ha chiesto di vedere un sacerdote. Un monastero carmelitano vicino offriva assistenza pastorale ai prigionieri, ma nessuno dei frati parlava bene il tedesco, e Höss non parlava polacco. I Carmelitani hanno chiesto aiuto al parroco locale, che ha a sua volta contattato il cardinale Adam Stefan Sapieha, arcivescovo di Cracovia. Sapieha, che pochi mesi prima aveva ordinato il giovane Karol Wojtyła, ha chiesto al Provinciale gesuita di Cracovia, p. Władysław Lohn, suo stretto confidente, di andare a Wadowice. P. Lohn vide Höss il 10 aprile. Era Provinciale della provincia della Polonia meridionale per la Compagnia di Gesù dal 1935. Durante la guerra, 27 Gesuiti erano stati imprigionati ad Auschwitz. 12 di loro sono morti lì. P. Lohn aveva fatto visita ai Gesuiti imprigionati il 4 settembre 1940. Il suo permesso di ingresso è ancora in possesso dei Gesuiti di Cracovia. Lohn e Höss potrebbero essersi incontrati in quell'occasione.
Anni dopo, durante la sua visita alla prigione di Wadowice, p. Lohn trascorse varie ore con Höss, che fece una professione formale della fede cattolica, tornando alla Chiesa che aveva abbandonato un quarto di secolo prima. E, cosa importante, fece una Confessione sacramentale. P. Lohn tornò il giorno dopo per dare la Comunione a Höss, che, dice p. Hughes, “era inginocchiato nella sua cella e piangeva”.
Höss è stato impiccato il 16 aprile 1947 nel campo di concentramento che aveva costruito. Lasciava moglie e cinque figli. In una lettera a questi ultimi dalla cella in cui aspettava la sua esecuzione ha scritto: “Il più grande errore della mia vita è stato aver creduto fedelmente a ciò che veniva dall'alto, e non osare avere il minimo dubbio sulla verità di ciò che mi veniva presentato”.
Höss aveva ignorato la sua coscienza ed esortava i figli a non farlo, concludendo con queste parole: “In tutto ciò che farete, non limitatevi a far parlare la vostra mente, ma soprattutto ascoltate la voce del vostro cuore”.