La Chiesa s’è arricchita di sei nuovi venerabili: il 19 gennaio 2023, in udienza col prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione dei decreti che riconoscono le virtù eroiche di sei testimoni della fede. Fra di loro v’è anche Bertilla Antoniazzi, ragazza vicentina morta ventenne nel 1964, dopo una adolescenza trascorsa nella malattia. Nel commentare la notizia, il vescovo di Vicenza, Giuliano Brugnotto, ha espresso la speranza che «ben presto si giunga alla beatificazione di questa nostra sorella diocesana. La sua testimonianza semplice e forte potrà sostenere il difficile tempo della malattia delle persone, soprattutto giovani».
E, in effetti, potrà farlo davvero: perché la vita di Bertilla, nella sua serena semplicità, sembra fatta apposta per suggerire una risposta a quelle domande angosciose che, a tratti, noi tutti ci poniamo. Ad esempio: perché proprio a me? O peggio ancora: perché a un bambino innocente?
Vivere la malattia a otto anni, e col sorriso sulle labbra
Bertilla nasce nel 1944 in un piccolo paesello tra i colli vicentini. Ha un’infanzia infanzia serena e spensierata, circondata dall’affetto dei suoi otto fratelli e sostenuta dai saggi insegnamenti di mamma e papà, cristiani devoti e operosi lavoratori.
All’età di otto anni, si mette a letto per una banale influenza stagionale: o quantomeno, così sembra all’apparenza. In realtà, Bertilla rientra in quella piccola e sfortunata percentuale di pazienti fragili che, dopo aver contratto l’influenza, vanno incontro a complicazioni anche molto serie: il medico le diagnostica una grave infezione intestinale; la cura ed effettivamente la guarisce, ma la salute della bimba non è più quella di una volta. Nei mesi successivi, Bertilla sembra ammalarsi di continuo, accusa dolori alle articolazioni; nel sonno, fatica a respirare normalmente. Si alternano miglioramenti e ricadute, fino al momento in cui la bimba viene ricoverata in ospedale ricevendo finalmente una diagnosi: endocardite reumatica.
Inizia così, a otto anni, il pellegrinaggio che Bertilla sarà chiamata a compiere lungo la strada della malattia: sarà un viaggio doloroso, che finirà con lo spogliarla di tutto quello che normalmente giudicheremmo prezioso per la vita di un bambino.
I frequenti ricoveri la costringono a lunghi periodi di lontananza da casa: lei sembra comunque affrontarli bene, stringendo grandi amicizie con gli altri piccoli pazienti e con le infermiere che li assistono. Le inevitabili assenze la costringono a ritirarsi dalla scuola; ma Bertilla continua a studiare privatamente, china sul suo sussidiario nella corsia d’ospedale. Quando non è ricoverata, la malattia le impedisce di unirsi alle sue amiche in quei giochi all’aria aperta che un tempo amava tanto; ma Bertilla si contenta di stare seduta su una sedia, a guardare le compagnucce che corrono: assicura loro di starsi divertendo ugualmente, e le prega di non preoccuparsi per lei. Per contro, le altre bambine scoprono presto nuovi modi per coinvolgere Bertilla nei loro giochi; e non le fanno mancare la loro vicinanza nemmeno durante i ricoveri in ospedale, andandola a trovare periodicamente e scrivendole mille lettere piene d’affetto.
I diari spirituali della piccola Bertilla
E sono proprio le lettere e la scrittura a scandire la quotidianità della venerabile. Abituata, nei periodi di degenza, a sfruttare carta e penna per tenere i contatti con gli amici, Bertilla sente presto il desiderio di mettere per iscritto tutti i suoi pensieri. Attorno ai dodici anni, comincia ad annotare le sue riflessioni, decidendo spontaneamente di imporsi una rigida disciplina spirituale; e quello che a noi sembrerebbe forse un accanimento masochista (perché imporsi fioretti, quando già si soffre tanto a causa della solitudine e della malattia?) era cura e profilassi, agli occhi di Bertilla: «quanto più sarò generosa nel trovare occasioni di mortificazione, tanto più la mia anima si irrobustirà e accetterò con gioia le pene e le contrarietà che mi accadranno».
E le pene e le contrarietà sarebbero state numerose.
Quando Bertilla aveva diciassette anni, la malattia peggiorò bruscamente costringendola a rimanere permanentemente a letto, straziata dai dolori articolari e dalle piaghe da decubito. Mentre le sue amiche cominciavano ad assaporare le prime gioie dell’età adulta, Bertilla dovette arrendersi all’evidenza per cui lei non sarebbe mai stata in grado di condurre una vita “normale” secondo i canoni del mondo. E lo fece con serenità, scrivendo nei suoi appunti che «se Dio vuole che faccia il lavoro dell’ammalata, lo faccio volentieri, anche se qualche volta è molto duro e difficile e mi scoraggio». Insomma, la venerabile ha una vita da santa ma non da santino: in una lettera indirizzata a una delle suore che la accudivano in ospedale, confiderà per esempio di ripensare spesso a «quella mattina che mi ero messa piangere a dirotto e lei, con tanta pazienza, mi chiedeva che cosa avevo»; «a volte il lavoro dell’ammalata è molto duro, ma tutto questo avviene perché sono cattiva e poco generosa nell’accettare con amore tutto quello che Dio mi manda». Nella visione cristiana di Bertilla, la sofferenza ha sempre uno scopo, anche se non sempre se ne comprende la funzione.
La funzione della sofferenza di Bertilla? Verrebbe da dire che fu l’edificazione sua e tutti gli individui che ebbero la fortuna di starle intorno. La ragazza morì il 22 ottobre 1964, quando non aveva ancora compiuto vent’anni, dicendosi felice (per quanto possibile) di star raggiungendo l’eterno riposo, nella speranza che la sua cara mamma potesse trovare un po’ di consolazione e di ristoro dal non dover più passare le sue giornate al capezzale di una figlia straziata dal dolore.
I fedeli che l’avevano conosciuta in vita non ebbero la minima esitazione nel considerarla santa e il suo funerale si svolse in mezzo ad ali di folla che volevano darle il loro ultimo saluto. Niente male, per una ragazza che aveva trascorso gli ultimi tre anni immobilizzata a letto e che, a causa della sua malattia, “non era riuscita a combinare niente nella vita”: non un lavoro, non un’istruzione formale, non una famiglia. Ma, evidentemente, il «lavoro di malata» ripaga con tutt’altra moneta; soprattutto quando si è in grado di svolgerlo con la stessa perizia che Bertilla mostrò di avere.
Un mese di fioretti, sotto la guida di Bertilla
Come già abbiamo accennato, Bertilla scriveva un sacco. A tempo debito, i suoi quaderni di appunti divennero materiale preziosissimo per i membri della Congregazione delle Cause dei Santi, incaricati di analizzarli per valutare se ci fossero i margini per l’apertura di un processo di canonizzazione. La risposta, evidentemente, fu un netto “sì”; e davvero si resta stupiti nel leggere la profondità e la serietà delle riflessioni di questa fragile e saggia ragazzina.
Tra i tanti testi di Bertilia, ne proponiamo uno, che fu appuntato su una agenda datata 1957 (ma probabilmente usata anche in anni successivi). Si tratta di un piano di vita che la ragazza aveva messo a punto in vista del mese mariano, proponendosi di compiere ogni giorno un piccolo fioretto o un’azione spirituale con cui irrobustire la propria anima e renderla pronta ad affrontare le sfide future. Evidentemente scritto in un momento in cui la malattia concedeva ancora qualche tregua a Bertilla (che infatti allude all’essere a casa, e addirittura si propone di svolgere piccoli lavori domestici alla sua portata), questo piccolo calendarietto spirituale si mostra a noi in tutta la sua preziosa bellezza. Chissà: forse potrebbe essere utile provare a farlo nostro – se non a maggio, nel mese che sta per iniziare.
1° Maggio In questo mese dedicato alla Madonna, cercherò di essere più buona. Cercherò di vincere i miei difetti mortificandomi nei piccoli piaceri, sotto la protezione di Maria. Oggi farò di gusto la faccenduola che mi dà noia.
2 Maggio Reciterò la preghiera della mattina e della sera con più devozione del solito.
3 Maggio Mortificherò i miei occhi, specialmente per la strada.
4 Maggio Reciterò un “gloria” alla Santa di cui porto il nome.
5 Maggio Metterò la mia offerta nella cassetta per il “pane dei poveri”.
6 Maggio Offrendolo al Cuore di Gesù, trasformerò in preghiera il mio lavoro di casa.
7 Maggio Cercherò l’occasione per rendere un piccolo servizio.
8 Maggio Farò ogni sforzo per fare una Comunione in più.
9 Maggio Reciterò cinque “Angelus Dei” al mio Angelo Custode.
10 Maggio Reciterò tre “Ave Maria” per il Concilio Ecumenico.
11 Maggio Reciterò una “Salve Regina” per i poveri ammalati.
12 Maggio Reciterò un “De Profundis” per le anime del Purgatorio.
13 Maggio Reciterò un “Pater, Ave, Gloria” in riparazione dei peccati.
14 Maggio Sopporterò le mie sofferenze volentieri per amore di Gesù.
15 Maggio Offrendoli al Cuore di Gesù, trasformerò in preghiera i miei dolori.
16 Maggio Reciterò tre “Pater, Ave, Gloria” per la santificazione dei sacerdoti.
17 Maggio Reciterò la preghiera della mattina e della sera con più devozione del solito.
18 Maggio Farò una mortificazione di gola per la conversione dei peccatori.
19 Maggio Reciterò tre “Ave Maria”, per la conversione di un peccatore.
20 Maggio Farò una mortificazione per la pace nel mondo.
21 Maggio Mortificherò i miei occhi per la santificazione dei sacerdoti.
22 Maggio Farò di gusto la faccenduola che più mi da noia per dar piacere a Gesù.
23 Maggio Reciterò tre “Ave Maria” per la mia parrocchia.
24 Maggio Cercherò l’occasione per rendere un piccolo servizio.
25 Maggio Reciterò tre “Ave Maria”, per quelli che si raccomandano alle mie preghiere.
26 Maggio Reciterò cinque “Angeli Dei” all’Angelo Custode che mi illumina la strada.
27 Maggio Farò ogni sforzo per fare una Comunione in più.
28 Maggio Farò di gusto la faccenduola che più mi dà noia.
29 Maggio Offro tutti i miei dolori per la conversione dei peccatori.
30 Maggio Offrendoli al Cuore di Gesù, trasformerò in preghiera, tutti i miei dolori.
31 Maggio Reciterò un “Pater, Ave, Gloria” per il Concilio Ecumenico.