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Cos’è il rito zairese, e cosa significa per la Chiesa?

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i.Media per Aleteia - pubblicato il 25/01/23
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Quando il Papa andrà in Africa, celebrerà la Messa usando alcuni elementi di questo rito

Uno dei momenti forti del viaggio di Papa Francesco nella Repubblica Democratica del Congo sarà la Messa celebrata il 1° febbraio alla presenza di almeno 120.000 persone all'aeroporto Ndolo di Kinshasa. La liturgia comprenderà alcuni elementi del rito zairese, come permesso dal Concilio Vaticano II.

Il suo sviluppo ha richiesto quasi vent'anni di lavoro e dialogo tra Roma e l'episcopato dello Zaire. Se in certe diocesi esistono alcuni riti liturgici locali in virtù di tradizioni più antiche, come nel caso del rito ambrosiano a Milano, il rito zairese rappresenta, per il momento, un esempio unico di inculturazione della liturgia cattolica su scala nazioanle.

Le melodie di questo rito, che integrano nella liturgia cattolica romana elementi specifici della cultura africana, hanno risuonato due volte nella basilica di San Pietro: il 1° dicembre 2019 e più di recente il 3 giugno 2022, durante una Messa celebrata per la comunità congolese a Roma per compensare il rinvio della visita papale a causa delle condizioni di salute del Pontefice.

Il 20 giugno 2022, il segretario del Dicastero per il Culto Divino, l'arcivescovo Vittorio Francesco Viola, ha menzionato il legame evocato di frequente da Papa Francesco tra “l'impegno per la nuova evangelizzazione” e “l'inculturazione della liturgia”. Il presule ha espresso i suoi commenti durante una conferenza per presentare l'edizione francese del libro di suor Rita Mboshu Kongo “Papa Francesco e il Messale Romano per le Diocesi dello Zaire”.

Il francescano italiano ha spiegato che “pur essendo totalmente romano, questo Messale presenta adattamenti particolari: l'evocazione degli antenati all'inizio della celebrazione, l'atto penitenziale dopo l'omelia e il rito della pace dopo l'atto penitenziale”.

In un messaggio inviato in occasione della presentazione di questo testo, Papa Francesco ha descritto il rito zairese, chiamato anche “rito congolese”, come un “modello per altre Chiese che cercano un'espressione liturgica appropriata per portare a maturità i frutti dell'iniziativa missionaria di evangelizzazione delle culture e di inculturazione del Vangelo”.

Echi fino in Amazzonia

L'arcivescovo Viola ha tracciato un parallelismo tra lo sviluppo del rito zairese e l'idea di un rito proprio dell'Amazzonia, tema sollevato nel Sinodo del 2019. Nella sua esortazione Querida Amazonia, ha ricordato, il Papa ha chiesto che “l'eredità culturale sia messa a frutto nella ricerca di una liturgia che possa operare in uno sforzo di inculturazione dei popoli indigeni”.

Per il presule, l'inculturazione è la “nuova frontiera” della riforma liturgica uscita dal Concilio. Durante il Vaticano II. La Costituzione Sacrosanctum concilium ha infatti aperto alla possibilità di adattare la liturgia delle culture locali, specificando che la Chiesa “non intende imporre, neppure nella liturgia, una rigida uniformità; rispetta anzi e favorisce le qualità e le doti di animo delle varie razze e dei vari popoli”.

“Salva la sostanziale unità del rito romano, anche nella revisione dei libri liturgici si lasci posto alle legittime diversità e ai legittimi adattamenti ai vari gruppi etnici, regioni, popoli, soprattutto nelle missioni; e sarà bene tener opportunamente presente questo principio nella struttura dei riti e nell'ordinamento delle rubriche”, specificavano i Padri Conciliari nel testo, approvato con ampio consenso (2.158 voti a favore e solo 19 contrari).

Per il momento, il rito zairese resta l'unico esempio concreto di questa inculturazione liturgica. L'elaborazione di un potenziale “uso amazzonico” resta “in alto mare”, ha riconosciuto l'arcivescovo Viola, menzionando come azione concreta finora la semplice istituzione di una commissione per riflettere sulla fattibilità di questo passo. 

Rimanere in comunione con Roma per evitare di diventare una setta

Negli anni del tumulto intellettuale e liturgico seguito al Concilio Vaticano II, l'episcopato congolese ha fatto attenzione a mantenere la piena comunione con il Successore di Pietro. “Per essere cattolici, la liturgia eucaristica che celebriamo nello Zaire deve giustificare la sua origine apostolica. In caso contrario, diventeremmo una setta”, hanno affermato i vescovi del Paese, coinvolti nella promozione del rito zairese.

Il dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha quindi giocato – e gioca tuttora –un ruolo centrale nell'accompagnamento di questi sforzi. Dal 1969 al 1988 è stato condotto un dialogo intenso e frequente sotto l'impulso del cardinale Joseph-Albert Malula (1917-1989), per 25 anni arcivescovo di Kinshasa. Figura centrale della Chiesa post-coloniale in Africa, è stato nominato da Papa Giovanni XXIII membro della commissione liturgica preparatoria per il Concilio Vaticano II, e ha poi determinato con i suoi confratelli congolesi un metodo per “cercare una cornice africana e zairese” nell'adattamento del Messale Romano promulgato da Papa Paolo VI.

Un lento processo durato quasi due decenni ha avuto luogo tra la richiesta dell'episcopato locale nel 1969 e l'approvazione di questo Messale Romano per le diocesi dello Zaire nel 1988. I dicasteri per il Culto Divino e per la Dottrina della Fede hanno studiato le celebrazioni condotte ad experimentum. Negli anni Ottanta, il cardinale Joseph Ratzinger si è recato nello Zaire per osservare l'implementazione di questa liturgia e avanzare osservazioni.

Suor Rita Mboshu Kongo ha affermato che il suo studio “della recezione e dell'adattamento della liturgia conciliare nella Repubblica Democratica del Congo” è stato per alcuni “fonte di curiosità”, per altri “un'occasione di risveglio”.

In alcune parrocchie e diocesi, il rito zairese è stato abbandonato, soprattutto per via della complessità etnica e linguistica di questo Paese immenso.

“Il rito è evoluto, come un corpo umano che nasce e ha poi bisogno di svilupparsi”, ha aggiunto la teologa congolese, notando che “è questo carattere evolutivo che ci immerge nella storia, per comprendere che si tratta di un lavoro laborioso della seconda evangelizzazione del Congo”.

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