«Fare il bene, ricercare la giustizia» (Is 1,17): dal 1908, la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ci obbliga, ogni anno, a interrogarci sulla forza del nostro desiderio di lasciarci riunire dallo Spirito che raccogliere, e che esaudisce la preghiera di Gesù – «che tutti siano uno» (Gv 17,21).
Dall’enciclica Mortalium animos redatta da Pio XI nel 1928, alla Ut unum sint di Giovanni Paolo II nel 1995, passando per il decreto del Concilio Vaticano II Unitatis redintegratio, i testi ufficiali puntellano questo cammino, e aprono, per poi confermare, un desiderio crescente nell’autocoscienza storica della Chiesa.
Un itinerario di unità
Dalla grande diffidenza iniziale di Pio XI, e dalla pressoché istintiva incapacità (da parte cattolica) di pensare il dialogo senza postulare l’apostasia, la Chiesa cattolica incoraggia ormai i suoi figli ad operare, agire, volere che la fraternità che lega tutti i battezzati possa permettere un cammino di riconciliazione e dunque di unità. Alcuni, pochi, si rabbuiano ancora, e si preoccupano della “dislocazione” che per la fede cattolica provocherebbe un dialogo disteso e benevolo con riformati e ortodossi. Costoro forse dimenticano un po’ troppo rapidamente la constatazione fatta da Giovanni Paolo II aprendo la sua enciclica, quella sui tanti e tanti battezzati (di tutte le Chiese) che nel secolo scorso hanno versato il sangue per amore a Cristo. Il Pontefice osservava che vale indubbiamente la pena di soffermarsi su questo e di cogliere l’occasione per acconsentire a rimettere gli anatemi. Il Concilio invita a leggere «i segni dei tempi» senza aver paura ri rilevare quel che appare come una formidabile sfida in cui ciascuno deve convertirsi.
Siamo fatti per Dio
A tal proposito, è sempre utile rileggere queste righe del cardinale Hollerich, del Lussemburgo:
Nella nostra lingua e nel nostro modo di concepire le cose, il passato sta dietro di noi e l’avvenire ci sta davanti. Ora, nell’antico Egitto era il contrario: il passato era davanti, precisamente perché lo si conosceva e lo si vedeva; l’avvenire, che non si poteva vedere perché non lo si conosceva, era dietro. La Chiesa cattolica mi sembra avere ancora tendenza a ragionare come gli Egizi, ma questo non funziona più. Dio ci apre l’avvenire, […] e quel che condusse la civiltà egizia alla sua caduta fu il fatto che a un tratto esaurì la sua capacità di riformarsi.
L’immensa rivoluzione che Cristo inaugura nella storia degli uomini è precisamente il rendere visibile il nostro futuro: siamo fatti per Dio. Nella sua risurrezione, egli ci ha fatto leggere il nostro av-venire, espellendo così i demonî della paura di una storia tutta fatta di imprevisti e inattesi. No: l’imprevisto c’è e resta, è vero, ma l’esito è ormai noto. Esso è quella Gerusalemme celeste verso la quale accorrono i discepoli di Emmaus, i quali sanno ormai dove si va – poiché il Compagno di strada che ha spezzato il pane con e per loro non li lascerà mai.
Rendere possibile l’incontro
Oggi viviamo in una società dalla quale la religione è, per così dire, scomparsa. L’immensa maggioranza dei nostri contemporanei non si riferisce più a Dio, e neppure all’idea di Dio. Essi ritengono di vivere in maniera più adulta cercando di «prendere in mano le loro vite», e negano a chiunque il diritto di intervenire in materia – in qualsivoglia maniera. È un poco sciocco immaginare che ogni essere umano, dal fondo della sua incredulità, cerchi Dio, talvolta senza saperlo. Sarebbe come prendere l’altro per un bambinetto a cui non prestare fede nel suo attestare il contrario. No: bisogna constatare che molti tra noi fanno a meno di Dio, e che questo non sembra costare loro molto caro.
«Come far avvenire la possibilità di incontrare Cristo in una società divenuta irreligiosa?», s’interrogava negli anni 1940 il teologo luterano Dietrich Bonheffer. Ecco la sfida del battezzato: non cercare di ricostruire un sistema religioso in riferimento a un passato ricco ma trascorso; bensì rendere possibile l’incontro tra chiunque e Colui che si rivela come prossimo a ciascuno. Non è operando così, che i battezzati di tutte le Chiese impareranno a conoscersi e a riconoscersi, e così facendo si scopriranno fratelli? Nel servizio di una umanità che non riconosce più alle religioni un potere su di sé, ma che comunque non è indifferente al Messaggio dell’Evangelo – quello in cui le si rivela che la Storia non è il tempo dell’angoscia, bensì quello della Speranza.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]