Dio è un fuoco divorante. Egli solo può raffinarci come oro, separarci dalle scorie e dai rifiuti delle nostre individualità egoistiche per fonderci in quella pienezza di perfetta unità che rifletterà per sempre la Sua Vita Trina ed Una.
Il Purgatorio è un “luogo” lontano o uno stato dell'esistenza a cui tutti siamo chiamati, a cominciare da adesso?
San Giovanni Paolo II ha creato un po' di scompiglio durante un'udienza del 1999 nella quale ha affermato durante una catechesi sulle cose ultime che il Purgatorio “non è un luogo fisico”, bensì “uno stato dello spirito dopo la morte”.
“Coloro che dopo la morte vivono in uno stato di purificazione sono già nell'amore di Dio, il quale li solleva dai residui dell'imperfezione” (Udienza generale del 4 agosto 1999).
In precedenza, in Varcare la soglia della speranza, aveva scritto:
“La ‘viva fiamma d’amore’, di cui egli parla (ndr San Giovanni della Croce), è prima di tutto una fiamma purificatrice. Le notti mistiche, descritte da questo grande dottore della Chiesa per propria esperienza, sono in un certo senso ciò a cui corrisponde il purgatorio. Dio fa passare l’uomo attraverso un tale purgatorio interiore di tutta la sua natura sensuale e spirituale, per portarlo all’unione con Sé. Non ci troviamo qui di fronte a un semplice tribunale. Ci presentiamo davanti alla potenza dell’Amore stesso […] E’ l’Amore a esigere la purificazione, prima che l’uomo maturi per quella unione con Dio che è la sua definitiva vocazione e il suo destino” (pp. 202-203).
La Bibbia è ricca di immagini che ritraggono l'amore di Dio come un fuoco, e un tema chiave è che il fuoco dell'amore per Dio brucia ciò che tocca senza distruggerlo (Esodo 3, 2; Ebrei 12, 28).
Papa Benedetto XVI ha spiegato questo concetto con grande acume dicendo:
“Gesù non viene per renderci la vita comoda, scaglia fuoco sulla terra, il grande fuoco vivo dell’amore di Dio, lo Spirito Santo, il fuoco che arde. Origine riporta un versetto apocrifo contenente alcune parole di Gesù: ‘Chi si avvicina a me, si avvicina al fuoco’. Chi quindi gli si accosta, deve essere pronto a lasciarsi avvolgere da quel fuoco […] Essere cristiani significa perciò osare consegnarsi a questo fuoco ardente” (Dio e il mondo, p. 200).
Si potrebbe dunque dire che la purgazione è l'esperienza in cui si viene immersi nel fuoco dell'amore di Dio, e l'effetto è che qualsiasi cosa non sia di Dio, ad esempio tutto ciò dentro di noi che non è coerente con il suo amore, viene bruciato. Come cattolici, possiamo accettare prontamente che sperimenteremo questa purgazione dopo la morte. Quello che però spesso non prendiamo in considerazione è che lo stesso amore che incontreremo dopo la morte vuole purificarci anche ora che siamo ancora in vita. Il grado in cui permettiamo al fuoco dell'amore di Dio di purificarci in questa vita determinerà di quanta purgazione abbiamo bisogno in quella che verrà.
E allora avanti con il fuoco, giusto?
Beh, non è tanto semplice. Visto che la purificazione implica il dolore della sofferenza e della morte, la maggior parte di noi farebbe di tutto per evitarla.
Cosa c'è esattamente dentro di noi che dev'essere purificato per poterci avvicinare a Cristo? Per San Paolo era “la carne”, mentre per il monaco trappista Thomas Merton era il “falso io”, che a suo avviso è la persona illusoria proiettata dall'ego umano “che vuol vivere fuori dal raggio della volontà di Dio e dell'amor di Dio... l'io che esiste solo nei miei desideri egocentrici” (Nuovi Semi di Contemplazione, n. 35).
È l'io che trova la sua identità nel piacere, nella popolarità, nel potere, nell'orgoglio anziché nell'amore autentico; l'io costruito dall'ego che ci offre un'identità creata da noi stessi anziché quella che Dio ci invita a scoprire solo attraverso l'amore per Lui. Questo io deve morire perché possiamo vivere davvero. Bisogna permettere che venga allontanato per diventare reali e veri nell'amare Dio, se stessi e gli altri.
Il Purgatorio ora? Magari fosse così. Preghiamo:
Santifica anche, Signore, le nostre anime e i nostri corpi; scruta le nostre coscienze e allontana ogni cattivo pensiero, i desideri impudichi e le sensazioni turpi, le parole volgari, l’invidia, la superbia e l’ipocrisia, l’inganno e le distrazioni di questo nostro mondo, l’avarizia e la vanagloria, i vizi e i rancori, le ire e il ricordo delle offese, le bestemmie, ogni sporcizia e tutti i moti della carne e dello spirito contrari alla tua volontà, e concedi, Sovrano Signore amico degli uomini, che con fiducia, senza condanna, cuore puro, anima illuminata, volto risplendente, labbra santificate, osiamo chiamare Padre te, Dio che sei nei cieli (dalla Divina Liturgia di Giacomo il Fratello del Signore).
[Traduzione dall'inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]