A 23 anni il futuro fratel Biagio Conte - scomparso di recente per un cancro al colon - si sentiva un fallito: aveva disturbi dell’alimentazione, aveva fatto delle visite da psicologi e psichiatri per curare il suo stato di inquietudine che lo tormentava. Si sentiva un fallito sia come studente, visto che non aveva completato gli studi, sia come imprenditore, poiché non aveva seguito le orme paterne. Era giunto nel periodo più buio della sua vita.
Il desiderio di incontrare Cristo
Lo ha raccontato lui stesso nel libro “La città dei poveri” (edizioni Pozzo di Giacobbe). In quel periodo da Palermo si era spostato a Firenze, per poi tornare nuovamente, dopo poche settimane, nel capoluogo siciliano. Biagio Conte non riusciva a star bene da nessuna parte. «Passavo ore in silenzio a guardarmi dentro. Non era mai successo così intensamente. Era bisogno di perdermi tra i pensieri sotto lo sguardo pietoso del Cristo. Cominciavo a cercare in una dimensione diversa le risposte che la società non mi aveva dato. Gesù poteva aiutarmi, ma non sapevo come chiederglielo».
“Soffrivo per i guasti della società”
Forse questo è stato il primo vero e proprio “contatto” tra fratel Biagio Conte e il Signore. «Nessuno riusciva a curarmi, io non ero malato, soffrivo per i guasti della società. Non era un problema mio, erano i mali del mondo a non lasciarmi in pace. Ero fuori gioco. Avrei digiunato fino alla morte per scuotere le coscienze degli uomini e costringerli a guardarsi attorno».
Le immagini dei funerali a Palermo di fratel Biagio Conte
Il volto che lo ha “salvato”
E’ stesso lui ad ammettere che «mi ha salvato il volto di un Cristo in croce che, da una parete della mia stanza, mi puntava misericordioso e sofferente. Era lì da sempre, e io lo guardavo ora per la prima volta. Nei suoi occhi ho riconosciuto la disperazione dei bambini poveri di Palermo, le ferite del costato trasudavano pene e offese. Ma pure salvezza e riscatto».
La “prima volta”
A quel punto fratel Biagio Conte maturava la decisione più difficile della sua vita: «Dovevo uscire allo scoperto, era giunto il momento di buttare in faccia alla gente il mio smarrimento. Con un cartello al collo ho girato per la città tutto il giorno. Sul petto oscillava un manifesto con la mia requisitoria. Un pugno nello stomaco contro l’indifferenza, i disastri ambientali, le guerre, la mafia, i caos, la corruzione».
La voglia di “fuga”
Le gente era ancora troppo indifferente, nonostante la sua protesta plateale. Allora il futuro missionario chiese a Dio di «indicarmi la strada». Una notte il Signore lo accontentò. Fratel Biagio Conte ebbe come una illuminazione. «Una forza strana si impossessava di me a tradimento», così la definisce questa voglia improvvisa di rompere completamente con la sua vita. In lui c’era una voglia come non l’aveva mai avuta di andare via, di fuggire, di allontanarsi da tutto e tutti. Era la strada indicata dal Signore.
L’illuminazione: l’incontro con Gesù
Così scrisse una lettera d’addio ai genitori e si avvio verso le montagne palermitane. Vagò per un mese cibandosi di bacche, fave ed erbe selvatiche. Un giorno si sentì male. «Stavo morendo. Ho raccolto le ultime energie e ho pregato Dio di non abbandonarmi se era veramente lui ad avermi spunto fuori di casa. Un calore incredibile ha attraversato il mio corpo, una luce mi ha abbagliato così violentemente da farmi alzare per trovare riparo. Freddo, fame, stanchezza di colpo erano spariti. Stavo bene e potevo ricominciare a camminare. Tutto il mondo mi aveva abbandonato - dice fratel Biagio Conte - ma Gesù era accanto a me. La sua forza aveva cancellato la sofferenza. Mi aveva guarito. Lo so, è difficile crederci, ma è andata proprio così».
L’inizio di una lunga missione
E’ iniziato in quel momento il percorso da eremita laico di Biagio Conte. Un percorso fatto di incontri, soste, preghiere, conversioni, prima del suo ritorno tra la gente palermitana e l’avvio della più grande missione di solidarietà mai avuta a Palermo: quella di “Speranza e Carità”, dei centri d’accoglienza per i poveri e bisognosi che ogni giorno donano, ancora oggi, un piccolo “bagliore” nella vita di centinaia di persone in difficoltà.