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Alla scoperta dei “peccati di lettura” (per azione e per omissione)

LIBRAIRIE
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Henri Quantin - pubblicato il 13/01/23
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Dalle nostre letture dipende non solo ciò che pensiamo, ma ciò che siamo. Tra il possibile veleno di un libro scelto male e le sciocchezze che atrofizzano il pensiero, bisogna ricordarsi che la bellezza – splendore della verità – può nascondersi in angoletti insospettati.

Cosa leggere? Talvolta la domanda non attende risposta alcuna: rimanda al disfattismo del pigro davanti a una bibliografia imposta («Non avrò mai il tempo di leggere tutta questa roba!») o al contrario alla stanchezza del poeta alla ricerca di novità («La carne è triste, ahi lasso!, e ho letto tutti i libri!»). 

In questi giorni di propositi più o meno tenaci, e di voti più o meno pii, tale domanda permette di interrogarsi sui criterî che dettano le nostre letture. Dipenda dalle idee degli autori, dall’estetica o dalla morale, raramente tali criterî filano lisci e senza contraddizioni. Che diremo? «Prega per noi lettori»? A cinquant’anni di differenza, due romanzieri assai diversi tra loro – François Mauriac e Patrice Jean – possono aiutarci a un esame di coscienza, eventualmente a un Confiteor, per due tipi di peccati di lettura – uno per azione e l’altro per omissione. 

Il labirinto dei nostri sogni 

Per azione. Mauriac, benché abbia sofferto per tutta la vita degli anatemi clericali inflitti alla sua opera, giudicata immorale, segnala nondimeno il possibile veleno di un libro scelto male. Nell’ora del distacco, quando era in procinto di varcare la soglia della morte, con uno scrupolo che molti qualificheranno di giansenista (per potersene più rapidamente sbarazzare), egli si interroga sulla parte di responsabilità delle sue letture nei sogni che fa. Tentato di vedere in questo territorio notturno una zona di non-diritto in cui tutti sfuggono completamente all’occhio della coscienza, Mauriac finisce con lo sfumare la neutralità morale del sogno: 

Il sollievo provato al risveglio è legato, per il cristiano, al fatto che il sonno incatena quella guardia che – nella vita  della Grazia – è la paura di peccare, foss’anche solo col pensiero e col desiderio. A dire il vero, la sua vigilanza non è incatenata se non a metà: una mano invisibile lega talvolta il dormiente. Nel sospiro del cristiano che si risveglia – «Era solo un sogno…» – entra il sollievo di non aver fatto alcun male. Ma davvero non ha fatto alcun male? Uno scrupoloso non si libera d’impaccio tanto facilmente. Il libro che prima di dormire credeva di star leggendo senza connivenza, il film a cui non ha rinunciato col pretesto che “bisognava averlo visto”… egli sperava di averne scongiurato i demonî: il sonno invece li sguinzaglia tutti insieme attraverso il labirinto del sogno. 

Le nostre letture, come i nostri sogni, sono una parte di noi stessi. L’uomo interiore, che esse contribuiscono a modellare a immagine della nostra intima biblioteca. Criterio morale e spirituale utile, se viene dato da un romanziere che non argomenta mai a partire dalla potenza della grazia per passare sotto silenzio il nero marciume del male che corrode. Dalle nostre letture dipende non solo ciò che pensiamo, ma ciò che siamo: il paesaggio mentale in cui viviamo, l’aria spirituale che respiriamo. 

Ci guarderemo bene dal sottomettere l’estetica a una morale angusta, e dal leggere in Mauriac un invito a non nutrirsi se non di romanzi edulcorati, schiettamente manichei e dal sostenuto didatticismo – quel “paté debilitanti” che Bloy biasimava, che uccidono la grandezza delle anime più sicuramente dei libri apparentemente meno raccomandabili. Mauriac denunciava volentieri, del resto, «l’eresia della frivolezza». C’è un peccato di lettura per omissione, in colui che non legge se non ciò che già pensa o sa. 

La bellezza in angoletti insospettati 

E dunque l’esame di coscienza a cui ci invita Patrice Jean, sposando criterî letterarî più che morali, può completare quello di Mauriac. Al seguito di Cyrille Bertrand, l’eroe de La Poursuite de l’idéal (NRF, 2021), bel romanzo che coniuga alla farsa di Flaubert l’energia di Balzac e la desinvoltura di Stendhal, il narratore pone questa domanda: 

Esistono ancora dei lettori che amano i libri al di là delle loro inclinazioni poetiche e religiose? Ciascuno guardi in sé stesso, nella propria anima e coscienza. 

La domanda di Patrice Jean maschera un’idolatria estetizzante del libro, nell’indifferenza al suo contenuto? No, piuttosto ci ricorda che la bellezza, splendore della verità, può trovarsi in molti angoletti insospettati, così come il vento soffia dove vuole. Preferire sistematicamente opere “della vostra squadra”, che non vi confrontino mai al possibile genio di un autore le cui idee vi ripugnano, restringe considerevolmente la vostra capacità di ammirare l’azione dello Spirito in ogni uomo. Allo stesso modo, porre la minestrina di un gruppetto di lode-pop al di sopra di una Passione di Bach – col pretesto che la prima sarebbe cattolica mentre la seconda protestante, non dispone affatto ad essere testimoni di un Dio la cui bellezza illumina il mondo. 

Un consiglio paterno 

Nutriti al contempo dall’inquietudine di Mauriac e dall’avvertimento di Patrice Jean, un esame di coscienza del lettore può dunque fondarsi su una constatazione bifronte: alcuni libri, certo, sporcano il vostro immaginario e vi inquinano l’anima, ma altri atrofizzano il vostro pensiero, rendono micragnosa la vostra percezione del reale, vi abituano poco a poco a ridurre la bellezza a una zuccherosa compostezza e a ricondurre l’analisi intellettuale alla balbuzie dei “nostri valori”. «Hanno le mani pulite – scriveva Péguy dei kantiani –, ma non hanno mani». Si è tentati di adattare la formula ad alcuni lettori, gongolanti del fatto di leggere libri che – come si suol dire – «possono essere messi in tutte le mani»… 

Va bene: è raramente consigliabile di far leggere Houellebecq a otto anni, ma può essere parimenti nocivo per la vita spirituale non leggere, a quindici anni, che romanzi sponsorizzati da jesus-is-my-love-com. Pensiamo piuttosto al bel consiglio che Cristina Campo ricevette da suo padre, al quale lei aveva chiesto il permesso di leggere gli autori russi: 

A mo’ di augurio per l’anno nuovo, ecco un consiglio paterno prezioso per orientare le letture del 2023. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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