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Da abortista a cattolica, pro-life e madre di sette figli. Erika Bachiochi racconta la sua conversione

Erika Bachiochi
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Emiliano Fumaneri - pubblicato il 13/01/23
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La testimonianza di una intellettuale americana che si è aperta alla vita grazie a incontri decisivi e all’esperienza della maternità.

Mettere insieme parole come femminista, pro-life, intellettuale, cattolica e madre di sette figli è, come dire, cosa assai complicata. Un paradosso, molti sarebbero tentati di dire una contraddizione inabitabile, unire universi morali che appaiono inconciliabili.

Ma quando dalla teoria si passa alla vita come pratica e esperienza, si sa, le cose spesso cambiano. Viene infatti alla mente un pensiero di Bergson («La vita è sempre creazione, imprevedibilità e, nello stesso tempo, conservazione integrale e automatica dell'intero passato») davanti all’esperienza di Erika Bachiochi, ex femminista socialista e pro-choice (dunque abortista).

Femminista e pro-life

Anni fa l’incontro con Cristo e la conversione alla fede cattolica hanno cambiato per sempre anche il suo approccio alla questione dell’aborto. Da allora Bachiochi, formazione giuridica (ma si è occupata anche di women’s studies e sociologica), è passata al lato pro-life. Senza con questo rinnegare le istanze più valide del femminismo. Poi è arrivata per lei anche l’esperienza della maternità, rinnovata per sette volte.

Madre di sette figli, Erika Bachiochi, lavora presso l’Abigail Adams Institute, un istituto educativo di arti e filosofia dell'Università di Harvard. È qui che dirige il Wollstonecraft Project, che forma ed educa su «uguaglianza e libertà sessuale, metafisica realistica, etica basata sulla virtù» e ai «diritti costruiti sulle responsabilità».

I difficili anni dell’adolescenza

Intervistata dal National Catholic Register, la vediamo raccontare gli anni non facili della sua adolescenza. Anche se battezzata alla nascita, non è cresciuta in una famiglia religiosa. La difficile situazione sentimentale della madre (con tre divorzi alle spalle) e il suicidio di due amici la fanno cadere nel tunnel della dipendenza. Si lascia andare, diventa sempre più introversa.

Da questo periodo buio esce con fatica quando, a 17 anni, comincia a frequentare il programma dei dodici passi, un percorso di recupero da dipendenze, compulsioni o altri problemi comportamentali adattato dall’esperienza degli Alcolisti Anonimi. Inizia anche a coltivare una vita di preghiera e riesce così a riprendere in mano le redini della propria vita.

Va a studiare nel Vermont, al Middlebury College, dove si occupa di women’s studies e sociologia. «Mi definivo una femminista socialista», confida al National Catholic Registe. Un’estate fa anche volontariato per Bernie Sanders, l’unico membro del Congresso dichiararsi apertamente socialista (per otto anni sindaco a Burlington, nel Vermont).

Di Dio, a parte la preghiera, ammette d non aver saputo molto allora. Ma pregare, sottolinea, la aiutava a conservare un equilibrio molto precario. La guarigione dalle ferite familiari, il graduale recupero dalla dipendenza la portano a smettere di costruire la propria vita sul risentimento, un atteggiamento che se assecondato finisce per avvelenare tutta l’esistenza: «Ho smesso di incolpare tutti intorno a me, specialmente mia madre», racconta spiegando come abbia cominciato a pregare con costanza, affidandosi a Dio anche per la sua salute mentale.

La gioia di un incontro

Quanto all’aborto, in quel periodo Erika è «convintamente pro-choice». Quando va a studiare a Washington inizia però a interessarsi al lavoro di alcune studiose cattoliche nel campo del diritto. Scopre così la professoressa Mary Ann Glendon, un mostro sacro del pensiero pro-life, docente di legge ad Harvard che nel 1995 capeggiò la delegazione della Santa Sede alla Conferenza mondiale sulle donne dell’Onu a Pechino, poi ambasciatore statunitense in Vaticano (la seconda donna della storia americana).

Altro fatto che suscita l’interesse di Erika è la critica di Glendon all’individualismo estremo, di matrice libertaria, in favore di robuste comunità. Se la scoperta della Glendon comincia a sciogliere i suoi dubbi sul piano intellettuale, il suo cuore rimane colpito dalla gioia e dall’affetto con cui un’altra professoressa di diritto cattolica, Helen Alvaré, portavoce dei vescovi Usa sui temi pro-vita, descrive la posizione pro-life nelle classi in cui è chiamata a esporla.

La conversione davanti al crocifisso

Il “colpo di grazia” è l’incontro con gli studenti cattolici del Newman Club di Middlebury, che la affascinano per profondità d’animo, umiltà di cuore, amore di Dio. Erika ha la sensazione di trovarsi nella giusta direzione, ma è ancora disorientata da tutto quel «Catholic talk» che la fa sentire a disagio. «Così - racconta – sono tornata nel mio dormitorio, mi sono inginocchiata – com’era mia abitudine – e ho chiesto a Dio se avesse un figlio. E quello è stato l’inizio della mia conversione religiosa».

Poco dopo si ritrova a messa e rimane come catturata. «Non so se è perché ero stata battezzata da bambina che c’era come una sorta di radicamento o se è stato il crocifisso a parlare al mio cuore». In quel momento sa solo una cosa: di essere finalmente a casa. Questa epifania, questa manifestazione intensa di una presenza è l’esperienza spirituale alla base della conversione di Erika Bachiochi.

Dopo la conversione incontra anche l’uomo, un cattolico, che diventerà suo marito. Si sposano mentre Erika studia per laurearsi in giurisprudenza e al terzo anno di corso nasce il primo dei loro sette figli. Inizialmente, spiega, l’idea era quella di fare la mamma a tempo pieno. Ma ben presto si è accorta di come alla fine il suo «intelletto iperattivo» avesse bisogno di uno sbocco. Tanto più che la famiglia aveva anche bisogno di soldi. Dalla combinazione tra il desiderio di esprimersi e le necessità del bilancio famigliare nasce così The Cost of Choice (Il costo della scelta), una serie di saggi scritti tra un pisolino e l’altro dei bimbi.

Una femminista contro l’aborto

Seguirà anche un secondo libro Women, Sex and the Church (Le donne, il sesso e la Chiesa). Nel 2011 trova la sua vocazione intellettuale scrivendo un articolo per una rivista giuridica che dà corpo «alle intuizioni di molte femministe pro-life» sfatando l’architrave di un certo femminismo: l’idea che per essere uguali agli uomini le donne abbiano bisogno dell’aborto.

Il tentativo di Erika Bachiochi è quello di mostrare, attraverso la riflessione filosofica, la bontà delle conquiste professionali e civili delle donne e al tempo stesso l’impatto devastante dell’aborto, delle forme tecnologiche di contraccezione e della rivoluzione sessuale sul benessere femminile, oltre che sullo sviluppo delle virtù.

A ispirare la sua riflessione era il «dovere del momento», una frase che in quel periodo per lei non era teoria: era esperienza di vita. Erika ha imparato che conciliare lavoro professionale e domestico con la cura dei bisogni dei suoi bimbi aiutava i figli a maturare un senso di indipendenza e al tempo stesso di solidarietà, spingendoli a sviluppare «la capacità di provvedere e prendersi cura l’uno dell’altro».

Puntare al cuore per attraversare il ponte

Partire dai doveri di cura dei genitori verso i figli – e verso l’altro coniuge – è anche l’approccio (che sarebbe piaciuto a Simone Weil) che Bachiochi suggerisce ai pro-life nel suo ultimo libro (The Rights of Women: Reclaiming a Lost Vision). Questo perché «i diritti sono il correlativo delle nostre responsabilità reciproche» e «adempiere virtuosamente alle nostre responsabilità è ciò che ci rende felici come esseri umani. Dà inizio un circolo virtuoso di sollecitudine reciproca».

Anche il matrimonio, spiega Erika, è stata una formidabile palestra per sviluppare assieme, in famiglia, le virtù: spendersi come genitore per i bimbi più piccoli, dando loro ciò di cui hanno bisogno «dà saggezza e può diventare la croce necessaria» per perfezionarsi e crescere nelle virtù.

Come studiosa, Erika Bachiochi ha la grande capacità, dice la sua collega Alexandra DeSanctis, di fare da ponte per cercare di aiutare a passare da una posizione pro-choice a una pro-life, «proprio come lei è stata aiutata ad attraversare il ponte». Il tutto senza mai dimenticare di tenere sempre il cuore aperto. Come sanno fare particolarmente bene le donne, capaci di guardare alla persona in un modo che «va dritto al cuore».

In fin dei conti la nostra mente «cerca il vero e i nostri cuori aspirano al bene». Mai dimenticare, insiste Erika Baiochi, che «dobbiamo incontrare altri esseri umani in quanto esseri umani». «La carità va anteposta a qualunque discussione».

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