E' possibile trovare una strada per la felicità attraverso la seconda beatitudine: "Beati quelli che piangono, perché saranno consolati"? Secondo padre Anselm Grün in "Felicità beata" (edizioni San Paolo) è possibile, ma per comprenderla bisogna risalire a cosa realmente Gesù voleva indicare con questa beatitudine.
Il lutto
Chiariamo subito: coloro che piangono sono quelli che hanno subìto un lutto. E per lutto non si intende solo la perdita fisica di un caro. Sono persone che ne sono rimaste scosse e depresse dall'accaduto. Che si aggrappano all’illusione che tutto andrà per il verso giusto, che avranno sempre successo e che troveranno il lavoro ideale e la partner o il partner ideale. Se la vita non mantiene la promessa e non realizza le loro illusioni, allora si lamentano come un bambino piccolo che non ottiene quello che vuole a tutti i costi.
Sopportare il dolore
Queste persone non vogliono accettare che la vita non ha esaudito i loro sogni. La condizione per giungere a una vita felice consiste nell’essere disposto a portare il lutto per le mie illusioni e ad affidarmi alla realtà. Porta-re il lutto è una via per confrontarmi con la realtà e diventare libero dalle illusioni con cui mi sbarro da solo la strada verso la realtà. Nel lutto non evito il dolore. Solo se sono disposto ad ammettere e a sopportare il dolore e le preoccupazioni divento anch’io capace di felicità.
Rischio nevrosi
La psicologia ha riconosciuto l’importanza del lutto per una vita riuscita. Nessuno può realizzare tutte le possibilità di vita. Chi non è sposato rinuncia al matrimonio come modo di vita molto appagante. Il celibato o il nubilato possono essere vissuti in pienezza solo se si porta il lutto per la mancata possibilità di un matrimonio. Se si evita il lutto e nel proprio celibato o nubi- lato si guardano gli altri dall’alto in basso, allora si svilupperanno sintomi nevrotici. Ciascuno deve elaborare il lutto per quello che non può vivere. Se non si elabora il lutto, sorgono conflitti nevrotici, che poi vengono espressi mediante determinati sintomi.
Fuga dalla sofferenza
Ma «Beati coloro che piangono» non si riferisce solo a coloro che sono in lutto per qualche motivo e che non riescono a vivere questo lutto, ma anche alla sofferenza. La sofferenza sembra essere il contrario della felicità. Troppo spesso una grande sofferenza ci priva della felicità a cui aspiriamo. Ma se ci limitiamo a fuggire dalla sofferenza, che qualche volta ci coglie, allora siamo anche incapaci di essere davvero felici. Infatti, dobbiamo sempre vivere nella paura che la felicità ci venga strappata.
La vera consolazione
La felicità che Gesù promette a coloro che piangono è la consolazione: «Perché saranno consolati». Se la sacra Scrittura esprime promesse di felicità futura in forma passiva, in questo modo vuol dire che è Dio stesso colui che consola. I teologi ebrei parlano di passivum divinum come di una descrizione di Dio fatta nella fede. Gli antichi Padri della Chiesa riferiscono questo passivum a Cristo stesso. Cristo stesso è colui che ci consola. Sì, lui stesso è la consolazione. Se guardiamo a lui, in mezzo al dolore sperimentiamo già la consolazione. La consolazione è saldezza.
Un nuovo punto di partenza
Chi è in lutto per la sua vita non vissuta, per i deficit e le perdite della sua vita, raggiunge un nuovo punto di partenza nella vita. Ha sotto i piedi del terreno saldo. Può tenere fede a se stesso. Ha tenacia. La parola greca che Matteo usa qui è parakaléo ̄ . Significa «chiamare a sé, assistere». Il paraclito è il soccorritore. Se si riconoscono le proprie mancanze, allora si sperimenta l’aiuto di Dio.
Dio ci assiste, perché attraverso la mancanza arriviamo a contatto con la nostra essenza, con il potenziale che sonnecchia nella nostra anima. O, detto in modo diverso: quello che non posso vivere, viene chiamato a sé dall’essere in lutto. Giunge a me da un altro lato in modo nuovo.