Un piccolo cruccio di Joseph Ratzinger? Quello di non aver mai avuto il tempo necessario per studiare seriamente la teologia di Ildegarda di Bingen, mistica benedettina vissuta nella Germania dell’XI secolo. Fu lo stesso Benedetto XVI a confidare quel piccolo rimpianto al suo biografo Peter Seewald: «è una figura che mi ha sempre accompagnato ed è sempre stata preziosa per me. Mi sono occupato di lei, ma non sono mai arrivato ad approfondirla come mi ero riproposto».
Diciamo pure che, per altre vie, a Benedetto XVI non mancò l’occasione per onorare la santa. Il suo intervento fu determinante per portare finalmente a conclusione il processo di canonizzazione della santa renana, che era stato avviato nel lontano 1228 per volontà di papa Gregorio IX e non era mai giunto a conclusione a causa di banali traversie burocratiche. Per sbloccare la situazione, Benedetto XVI non esitò a sfruttare la sua autorità di pontefice dando ordine di procedere a una canonizzazione equipollente, che non segue cioè il normale iter ma si limita a riconoscere la santità di un individuo attorno al quale, lungo i secoli, si è sviluppata una venerazione ininterrotta. E torneremo su questo più avanti; per il momento, sarà invece il caso di porsi un’altra domanda: ma a che si deve il particolare interesse che Benedetto XVI nutrì nei confronti di santa Ildegarda?
Tutto cominciò con un libro per ragazzi
Il suo è un interesse di vecchia data. Il futuro pontefice scoprì la figura di questa santa nella sua prima adolescenza; e lo fece grazie a La luce vivente, un romanzo per ragazzi che fu dato alle stampe da Wilhelm Hünermann nel 1941, quando Joseph Ratzinger era un ragazzino. A farglielo conoscere era stato Georg, suo fratello maggiore, che aveva probabilmente avuto modo di sfogliare il libro in seminario; profittando di una delle vacanze a casa, aveva voluto portare con sé il romanzo leggendolo ad alta voce a tutta la famiglia, come intrattenimento serale. «Fu una lettura edificante che aiutò molto entrambi», ebbe a dichiarare Benedetto XVI nelle sue Ultime conversazioni con Seewald: un commento che certamente riempirebbe di giusto orgoglio l’autore del libretto, Wilhelm Hünermann, un sacerdote che aveva fatto della scrittura una vera e propria forma di apostolato, dando alle stampe una miriade di biografie romanzate dedicate alle vite dei santi o comunque a personaggi che avevano avuto un ruolo importante nella Storia della Chiesa.
Formalmente, i suoi testi si rivolgevano a quella categoria di lettori che oggi chiameremmo young adults, ma in realtà la loro estrema accuratezza storica, combinata a una narrazione accattivante, li rendevano molto popolari anche tra i lettori adulti, e soprattutto tra quelli che coglievano tra le righe del testo insegnamenti profondi e coraggiosi. Uno dei suoi libri più popolari fu un romanzo che l’autore diede stampe nel 1940 e dedicò a Pierre Coudrin: grazie alla vita di questo sacerdote, vissuto ai tempi della Rivoluzione Francese e fermo oppositore del regime di terrore instauratosi nella sua patria, Hünermann forniva ai suoi giovani lettori un modello (neanche troppo velato) di resistenza antinazista. Ed è significativo pensare che fossero proprio i testi di questo autore ad accompagnare la formazione dei giovani fratelli Ratzinger!
1964: l’incontro tra Ildegarda e un giovane teologo
Ma torniamo alla protagonista di quel romanzo che incantò Joseph Ratzinger quando era un ragazzino: torniamo cioè a Ildegarda. Dopo aver scoperto la figura di questa badessa, il futuro Benedetto XVI cercò di acquisire «almeno una conoscenza di base della sua opera», per citare le parole che utilizzò con Peter Seewald. Verrebbe da dire che la sua conoscenza non dovesse essere poi così basica, tenuto conto del fatto che, nel marzo 1964, il professor Ratzinger fu invitato a tenere un intervento sulla figura di Ildegarda nell’ambito di un convegno ecumenico che era stato organizzato su di lei tra le mura del monastero di Bingen. E non ci stupisce venire a sapere che una delle monache presenti alla conferenza annotò sulla cronaca di comunità che «tutti gli spettatori rimasero colpiti dall'elevatezza del discorso spirituale, dalla chiarezza di pensiero e dalla personalità modesta del sacerdote».
Chissà: probabilmente, il giovane teologo aveva davvero creduto che quel suo intervento potesse essere il primo passo verso uno studio più approfondito della materia; ma di lì a poco, la sua nomina a professore presso l’università di Tubinga gli impose ritmi di lavoro frenetici, forse costringendolo ad accantonare quel proposito.
E così, l’esempio di Ildegarda aiutò Benedetto XVI (e tutti noi) ad affrontare lo scandalo degli abusi
Nel corso del suo pontificato, Benedetto XVI citò più volte gli scritti di Ildegarda di Bingen. La prima occasione in cui pronunciò il nome della badessa renana fu il 1° settembre 2010, nel corso di una udienza generale. Presentando la figura della monaca, volle innanzi tutto specificare che questa oscura badessa altomedievale, pur provenendo da epoche così remote, era comunque capace di parlare «con grande attualità anche oggi a noi, con la sua coraggiosa capacità di discernere i segni dei tempi, con il suo amore per il creato, la sua medicina, la sua poesia, la sua musica, che oggi viene ricostruita». Ma non solo: a giudizio di Benedetto XVI, l’esempio di Ildegarda di Bingen era prezioso anche (e soprattutto?) nella misura in cui la santa non venne mai meno al suo grande «amore per Cristo e per la Sua Chiesa, sofferente anche in quel tempo, ferita anche in quel tempo dai peccati dei preti e dei laici, e tanto più amata come corpo di Cristo».
Un commento non casuale, quello di Benedetto XVI: il 2010 fu l’anno in cui la Chiesa fu scossa e duramente provata dall’emergere di gravi scandali legati alla pedofilia. Ebbene: anche la monaca di Bingen fu chiamata a vivere in un’epoca non facile; e a una settimana di distanza da quel suo primo intervento, tornando a rifarsi agli scritti della badessa, Benedetto XVI sottolineò che «Ildegarda contrastò il movimento dei cátari tedeschi», che «propugnavano una riforma radicale della Chiesa, soprattutto per combattere gli abusi del clero». Ebbene: la monaca «li rimproverò aspramente di voler sovvertire la natura stessa della Chiesa, ricordando loro che un vero rinnovamento della comunità ecclesiale non si ottiene tanto con il cambiamento delle strutture, quanto con un sincero spirito di penitenza e un cammino operoso di conversione». Eloquentemente, Benedetto XVI osservò che «questo è un messaggio che non dovremmo mai dimenticare», senza permettere tuttavia che l’esempio della monaca potesse trasformarsi in una difesa a oltranza dello status quo.
Anzi. Papa Ratzinger tornò a citare Ildegarda di Bingen una terza volta: e lo fece il 20 dicembre 2010, tracciando un bilancio di quell’annus horribilis e riferendosi esplicitamente allo scandalo degli abusi, emerso «in una dimensione per noi inimmaginabile». Di fronte alla curia romana, Benedetto XVI volle leggere un lungo stralcio di una lettera che Ildegarda di Bingen aveva destinato a Werner di Kirchheim e ai suoi sacerdoti e che, a giudizio del papa, descriveva «in modo sconvolgente ciò che abbiamo vissuto quest’anno». La mistica dichiarava di aver avuto una visione nella quale la Chiesa stessa le appariva, prendendo la forma di una donna «di uno splendore sublime» vestita «di una veste luminosa e raggiante di seta bianca», che però era coperta di macchie e strappata in più punti. E, nella visione, la Chiesa spiegò alla mistica che i responsabili di tutta quella lordura erano proprio i sacerdoti peccatori: «essi stracciano la mia veste poiché sono trasgressori della Legge, del Vangelo e del loro dovere sacerdotale. Tolgono lo splendore al mio mantello, perché trascurano totalmente i precetti loro imposti. Insudiciano le mie scarpe, perché non camminano sulle vie dritte, cioè su quelle dure e severe della giustizia, e anche non danno un buon esempio ai loro sudditi». Il quando era desolante, e al tempo stesso non così catastrofico da togliere ogni speranza per una redenzione: «tuttavia trovo in alcuni lo splendore della verità», diceva, in visione, la Chiesa sofferente.
2012: Ildegarda è finalmente santa. Per via equipollente!
Furono senza dubbio queste ripetute citazioni a spingere le monache dell’abbazia di Bingen a prendere carta e penna per indirizzare a Benedetto XVI una richiesta accorata. Clementia Killwald, badessa del monastero, contattò direttamente Joseph Ratzinger per chiedergli umilmente di valutare la possibilità di nominare Ildegarda Dottore della Chiesa; una richiesta senza dubbio forte, ma che non arrivava come un fulmine a ciel sereno: in quei mesi, la Santa Sede aveva già reso manifesto il suo interesse per la figura della santa, e la Congregazione per le Cause dei Santi aveva preso contatto con le monache di Bingen e la Conferenza Episcopale Tedesca per verificare la possibilità di portare finalmente a termine il processo di canonizzazione avviato ottocento (!) anni prima. La causa si era arenata per una serie di cause di ordine pratico d’una banalità disarmante, fra cui (incredibile ma vero) lo smarrimento del plico di documentazione con cui, nel XIII secolo, le monache di Bingen avevano dato conto della fama di santità e dei miracoli attribuiti a Ildegarda: a quanto pare, nessuno aveva pensato di fare una copia (!) di alcune di queste carte, che si persero nel nulla lungo la strada per Roma imponendo uno stop al processo.
La situazione era particolare a dir poco; e papa Ratzinger fece sentire la sua voce per incoraggiare la Congregazione per le Cause dei Santi a riesaminare il caso con una certa celerità. Nel corso del 2011, due incontri furono organizzati a Bingen per raccogliere testimonianze circa la santità di Ildegarda e la venerazione che i fedeli tedeschi le avevano sempre tributato nei secoli. Le testimonianze giunsero numerose; mancava però la documentazione su miracoli recenti (e dunque analizzabili in termini scientifici) che fossero stati attribuiti dall’intercessione di Ildegarda; a quel punto Benedetto XVI, dopo aver ottenuto parere positivo dai cardinali, scelse di firmare personalmente un decreto di canonizzazione equipollente, ripetendo un gesto che fu fatto per la prima volta da papa Urbano VII (+1644). La canonizzazione equipollente è quella che, per così dire, viene proclamata “d’ufficio” per tutti quegli individui che hanno dato prova di virtù eroiche e attorno ai quali si è sviluppata una venerazione che è proseguita ininterrotta attraverso i secoli, e per i quali tuttavia non era mai stato avviato (o comunque non era mai giunto a termine) un “normale” processo di canonizzazione. Tra i santi canonizzati per via equipollente troviamo – fra i molti – Pietro Nolasco, Margherita di Scozia e Stefano di Ungheria.
E così, Ildegarda di Bingen fu proclamata santa il 10 maggio 2012. All’epoca, ci fu una certa sorpresa quando la Santa Sede annunciò che, date le circostanze particolari che avevano portato al riconoscimento della sua santità, non sarebbe stata celebrata alcuna Messa di canonizzazione. Ma la possibile delusione scemò rapidamente quando, a pochi giorni di distanza, Benedetto XVI scelse la domenica di Pentecoste per proclamare Ildegarda di Bingen Dottore della Chiesa (in questo caso sì, ricorrendo a tutta la solennità liturgica opportuna per tale evento). A oggi, Ildegarda è una delle sole quattro donne a far parte di questa ristrettissima cerchia di intellettuali (in buona compagnia di Teresa d’Avila, Caterina da Siena e Teresa di Lisieux): ed è facile immaginare la soddisfazione con cui Benedetto XVI inscrisse il nome di lei in questa lista.
Sarà pur vero che – per citare le sue parole – Joseph Ratzinger non ebbe tempo di dedicarsi allo studio di Ildegarda col grado di approfondimento che avrebbe voluto, ma senza dubbio ebbe l’enorme merito di portare su di lei l’attenzione globale. E allora spetterà noi raccogliere il testimone: Benedetto XVI se ne compiacerebbe senza dubbio.