Il 13 marzo 1989, quando era ancora cardinale, Joseph Ratzinger prese parte a una conferenza dedicata a «La fede nel mondo contemporaneo» che un centro culturale lombardo aveva organizzato presso il Teatro San Rocco di Seregno. Al termine del suo intervento, che verteva su altri temi, il cardinal Ratzinger accettò di rispondere alle domande del pubblico; e uno dei presenti prese la parola domandandogli quale fosse il suo pensiero circa il gran numero di santi che negli ultimi anni erano stati canonizzati. Era evidente a tutti gli osservatori che papa Wojtyła avesse impresso un’improvvisa accelerata ai processi di canonizzazione grazie alla costituzione apostolica Divinus perfectionis Magister (1983): ma qual era il pensiero di cardinal Ratzinger? Non si stava forse esagerando, nel dichiarare santi una tale moltitudine di testimoni?
In quell’occasione, rispondendo a braccio a una domanda che probabilmente non s’aspettava, Joseph Ratzinger usò parole precise e misurate. Certamente, negli ultimi anni la Chiesa aveva visto un significativo aumento del numero di testimoni che avevano raggiunto la gloria degli altari. E poi aggiunse la sua opinione personale: se proprio avesse dovuto indicare un elemento che, di tanto in tanto, gli dava qualche perplessità, non si sarebbe focalizzato sul numero, quanto più sulle caratteristiche dei nuovi santi. Ratzinger aveva l’impressione che, in alcuni casi, venissero canonizzate «persone che forse dicono qualcosa a un certo gruppo, ma non dicono troppo alla grande moltitudine dei credenti»: a suo parere, la Chiesa avrebbe dovuto lavorare per proporre all’attenzione dei fedeli innanzi tutto quei santi la cui vita fosse stata davvero in grado di “parlare” agli uomini d’oggi fornendo loro modelli di vita attuali e facilmente imitabili. E, a titolo d’esempio, fece i nomi di due santi che sarebbero stati canonizzati a breve: Niccolò Stenone, scienziato del XVII secolo, ed Edith Stein, mistica e filosofa di squisita raffinatezza morta ad Auschwitz negli anni del nazismo. Ratzinger non aveva dubbi che il loro esempio sarebbe stato frutto di grande edificazione per tutta la cattolicità.
I santi della porta accanto: quelli che, meglio di ogni altro, testimoniano il Vangelo nella quotidianità
In quel lontano giorno del marzo 1989, nella sala conferenze di Seregno, alcuni giornalisti erano presenti in sala. Udite le parole del cardinal Ratzinger, ritennero di poterle trasformare in una notizia: e così, quel suo veloce commento finì su tutti i giornali italiani e rimbalzò persino su testate internazionali come il New York Times. La cosa destò all’epoca in un certo scalpore: molti vollero (o temettero di dover) leggere nelle parole di Joseph Ratzinger una critica al pontificato di Giovanni Paolo II; a quel punto, comprensibilmente, il cardinale s’affrettò a chiarire il suo pensiero attraverso un’intervista che concesse di lì a poco a 30 Giorni, una rivista italiana di geopolitica ecclesiastica.
Sviluppò in questi termini la sua argomentazione: partendo dal presupposto per cui, senza dubbio, esistono al mondo molti più santi di quelli che vengono ufficialmente dichiarati tali, Ratzinger riteneva importante riflettere sui motivi per cui solo alcuni dei molti potenziali candidati vanno incontro a un processo di canonizzazione. La sua impressione era che, talvolta, questi motivi fossero del tutto casuali o comunque determinati da cause esterne, non strettamente legate all’effettiva bontà della testimonianza del soggetto. Per esempio, a suo giudizio, era statisticamente più probabile che venisse aperto un processo di canonizzazione per gli individui che a vario livello erano stati legati a un ordine religioso (che ha certamente la dimestichezza e le risorse umane necessarie per portare all’attenzione della Chiesa gli individui che ritiene meritevoli). Per contro, Ratzinger riteneva più difficile veder salire alla gloria degli altari quei fedeli che avevano vissuto una “normale” vita di parrocchia dando prova della loro santità di fronte a una ristretta cerchia di conoscenti, nell’intimità delle loro mura domestiche: eppure, a giudizio del cardinale, erano proprio queste le «figure che, meglio di ogni altre, rendono visibile la Santa Chiesa, sulla cui santità si levano tanti dubbi».
La sua riflessione si concludeva con un auspicio: sarebbe stato bello se la Chiesa avesse trovato modo di dare un sempre maggior spazio a questi “santi della porta accanto”; e sarebbe probabilmente stato opportuno cominciare a lavorare in tal senso, per l’edificazione delle future generazioni di fedeli.
E così Benedetto XVI normò i processi di canonizzazione
Qualche lettore si potrebbe giustamente chiedere come mai si stia dando tanto rilievo a un’intervista risalente al 1989, a fronte di documenti ben più complessi e meditati nei quali Joseph Ratzinger, poi papa Benedetto XVI, affrontò il tema della santità. Ebbene: queste dichiarazioni d’antan mi sono parse degne di attenzione perché in esse il cardinal Ratzinger esprimeva (e con la libertà di chi non è papa) un pensiero e una linea d’azione a cui effettivamente tenne fede anche nel corso del suo pontificato.
Il 24 aprile 2006, a poco più d’un anno dalla sua elezione al soglio di Pietro, papa Benedetto XVI sentì il bisogno di convocare la Congregazione delle Cause dei Santi per rimodulare in alcuni punti i criteri secondo cui si svolgevano i processi di canonizzazione, specie nella fase iniziale che viene tenuta a livello diocesano.
Il pontefice volle innanzi tutto ribadire che le cause di canonizzazione non debbono avere «altra finalità che la gloria di Dio e il bene spirituale della Chiesa e di quanti sono alla ricerca della verità e della perfezione evangelica»; profittò poi dell’occasione per chiarire alcuni punti che evidentemente riteneva degni di attenzione. Dando prova di una certa concretezza, ribadì che i miracoli attribuiti ai candidati santi devono necessariamente essere di natura fisica, per poter essere valutati (ed eventualmente giudicati scientificamente inspiegabili) tramite una indagine concreta e misurabile; i «miracoli morali», come per esempio le conversioni-lampo, sono qualcosa di troppo aleatorio per poter essere analizzato su base scientifica. Inoltre, suggerì una certa cautela nell’utilizzo del termine “martirio”: è dolorosamente evidente che, oggigiorno, molti cristiani vengono uccisi in odium fidei; e tuttavia, sono mutati «i contesti culturali del martirio e le strategie “ex parte persecutoris”, che sempre meno cerca di evidenziare in modo esplicito la sua avversione alla fede cristiana o ad un comportamento connesso con le virtù cristiane, ma simula differenti ragioni, per esempio di natura politica o sociale». Papa Ratzinger fu fermo sul punto: affinché un santo potesse essere definito martire, era indispensabile che l’indagine sulle circostanze della sua morte facesse affiorare, «in modo moralmente certo, l’“odium Fidei” del persecutore. Se difetta questo elemento, non si avrà un vero martirio secondo la perenne dottrina teologica e giuridica della Chiesa».
I santi e i beati di papa Ratzinger: un variopinto esercito di 914 aurole
Alcuni temettero all’epoca che l’intervento di papa Ratzinger fosse preludio a un suo “voler mettere i paletti” ai processi di canonizzazione in divenire. Alla prova dei fatti, questi timori si rivelarono del tutto infondati: nel corso del suo pontificato, pur non lunghissimo, Benedetto XVI portò all’attenzione dei fedeli 870 nuovi beati e 44 nuovi santi (di cui uno proclamato per via equipollente).
I martiri furono di gran lunga il numero più nutrito, con 773 beati (perlopiù vittime del nazismo, del comunismo e della guerra civile spagnola) e un santo, Pietro Calungsod, missionario gesuita del XVII secolo.
Guardando alla totalità degli individui canonizzati sotto il pontificato di papa Ratzinger, emerge una percentuale del 36% dedicata, per così dire, alle “quota rosa”; e fu proprio una donna l’unica santa che Benedetto XVI volle canonizzare per via equipollente (intervenendo cioè personalmente per approvare, con apposito decreto, un culto spontaneo che esisteva da tempo). Si tratta di Ildegarda di Bingen, mistica benedettina e poliedrica intellettuale vissuta nella Germania del XII secolo, ormai divenuta giustamente celebre in tutta la cattolicità grazie alla speciale attenzione che Joseph Ratzinger volle tributarle.
In linea con quanto era già accaduto nel corso del pontificato di Giovanni Paolo II, la presenza laicale comincia a farsi significativa, costituendo circa il 25% dei beati (e il 7% dei santi). Per contro, scorrendo i nomi di chi si guadagnò l’aureola conducendo una vita interamente votata a Dio, troviamo tra i beati un papa, tre cardinali, sette vescovi, 59 sacerdoti diocesani e 586 membri di istituti di vita consacrata maschili o femminili; tra i santi si notano quattro vescovi, quattro sacerdoti e 33 fra religiosi e religiose.
Effettivamente, scorrendo le biografie di questi testimoni del Vangelo, si ha l’impressione che Joseph Ratzinger sia riuscito a tener fede a quell’auspicio che aveva espresso in tempi non sospetti, nel lontano 1989: gli individui saliti alla gloria degli altari nel corso del suo pontificato sono portavoce di testimonianze variopinte e multi-sfaccettate, senza dubbio capaci di parlare al fedele del XXI secolo.
Beninteso: essere latori di un messaggio “attuale” non vuol necessariamente dire essere vissuti in epoche vicine nel tempo; tra i santi canonizzati da Benedetto XVI troviamo per esempio Kateri Tekakwitha (+ 1680), la prima nativa americana a essere salita alla gloria degli altari nella semplicità di una vita quotidiana fatta di lavoro e di preghiera; oppure Nuno Álvares Pereira (+ 1431), che nel Portogallo del XV secolo fu politico e valente militare (oltre che sposo e padre di famiglia): ruoli delicati e non facili da ricoprire, ma sempre vissuti alla luce del Vangelo. Gli ultimi santi di cui Joseph Ratzinger annunciò l’imminente canonizzazione furono i martiri di Otranto, uccisi nel 1480 per aver rifiutato di abbandonare la fede cristiana dopo la caduta della loro città, conquistata dalle milizie di un intollerante pascià ottomano che aveva imposto l’abiura a tutti i nuovi sudditi: una testimonianza lontanissima nel tempo, eppure tristemente attuale se la si paragona a quella di molte recenti vittime del terrorismo islamico. Era l’11 febbraio 2013 quando Joseph Ratzinger presentò questi nuovi-futuri santi ai cardinali riunitisi in concistoro; ma oltre alla canonizzazione dei martiri di Otranto, c’erano evidentemente altri temi all’ordine del giorno. Dopo aver fissato la data per la loro cerimonia di canonizzazione, Benedetto XVI annunciò ai cardinali di dover dire «una cosa importante per la vita della Chiesa» alla luce della sua «ingravescente aetate»… ma questa è un’altra storia. Anzi: è Storia con la S maiuscola.