Quando nasce la tradizione di scambiarsi biglietti d’auguri sotto Natale?
In effetti, questa consuetudine ha una data e un luogo di nascita ben precisi: tutto inizia in Gran Bretagna nel 1840, quando la Royal Mail divenne il primo servizio postale europeo a introdurre un metodo di spedizione low-cost pensato per quegli utenti che avevano l’esigenza di inviare buste di piccolo formato e di peso contenuto. Profittando delle nuove tariffe, decisamente economiche, molte famiglie presero l’abitudine di sorprendere parenti e amici lontani con brevi lettere di auguri in occasione di festività, anniversari e compleanni… e l’industria impiegò poco tempo a reagire a questa nuova moda.
Il primo biglietto di auguri di Natale nacque nel 1843 grazie all’inventiva di Herny Cole, che cominciò a produrre foglietti illustrati con temi festivi messi in vendita al modico costo di uno scellino (grossomodo, l’equivalente di 2 euro al giorno d’oggi). Insomma: a fronte di una spesa decisamente contenuta, diventava possibile spedire a mezzo posta deliziose cartoline illustrate, simili a piccoli quadretti festivi. In Gran Bretagna, l’iniziativa ebbe un successo dirompente, e ben presto altre tipografie in giro per l’Europa cominciarono a copiare l’idea: entro la fine del XIX secolo, i biglietti di auguri di Natale erano diventati un must immancabile delle feste di fine anno!
Einar Holbøll: un postino dal cuore buono
Non a caso, si svolge in un ufficio postale la storia che vi vogliamo raccontare oggi, veramente degna di un film di Natale (eppure assolutamente vera, per chi se lo dovesse chiedere!).
Correva l’anno 1903 e una brutta epidemia di tubercolosi colpiva ogni anno centinaia di bambini danesi, mettendo a dura prova il loro piccolo organismo. Einar Holbøll, addetto all’ufficio postale della cittadina di Charlottenlund, conosceva bene le conseguenze di una malattia non curata a dovere: in gioventù, il ragazzo aveva accarezzato il sogno di dedicarsi alla carriera militare, ma una brutta febbre reumatica l’aveva colpito lasciandogli conseguenze a lungo termine. Il suo fisico non era più tornato quello di una volta, costringendo il giovane ad abbandonare la vita militare: Einar aveva ripiegato su dignitosa una carriera di postino, ma era rimasto in lui il desiderio di risparmiare ad altri il suo stesso destino.
Il nostro amico, insomma, diventò un filantropo che lottava per far sì che tutti – anche i meno abbienti – potessero accedere a cure mediche tempestive e di qualità; la sua attenzione era rivolta in particolar modo ai bambini malati di tubercolosi e nati da famiglie povere: quelli che avrebbero certamente beneficiato di un soggiorno in sanatorio, ma che purtroppo non potevano permettersi il costoso soggiorno.
Il Sanatorio dei Francobolli di Natale
Ebbene: in quel dicembre 1903, standosene allo sportello del suo ufficio postale, Einar s’era reso conto di una cosa – a Natale la gente tendeva a essere più buona.
Di fronte alle lunghissime code che si venivano a creare nel mese di dicembre, gli avventori dell’ufficio postale tendevano a brontolare meno del solito. Quando capitava che una vecchietta poco pratica facesse pasticci allo sportello, tutti sopportavano con stoica pazienza (“non si può mica mettere fretta a una nonna che spedisce i suoi auguri ai nipotini!”). E persino i clienti più taccagni erano disposti a spendere soldi per comprare il biglietto d’auguri più ricco e decorato tra tutti quelli che l’ufficio postale esponeva in vendita.
Fu proprio l’insieme di tutte queste considerazioni a far balenare un’idea nella testa di Einar: e se lo Stato mettesse in vendita qualcosa che rende ancor più belle le buste per gli auguri… e che al tempo stesso raccoglie fondi per la cura della tubercolosi?
Sembrava un’idea campata per aria, ma il postino ragionò attentamente sulla questione e studiò un progetto che potesse funzionare. La sua idea era quella di convincere il servizio postale nazionale a emettere una sorta di francobollo da mettere in vendita a pochi centesimi: un marchio privo di valore, con una funzione puramente ornamentale, decorato con graziose immagini a tema natalizio. Il consumatore avrebbe dovuto essere libero di comprarlo oppure no, ed eventualmente appiccicarlo accanto al francobollo “vero” per dare un tocco di eleganza alla busta bianca.
Dopo qualche settimana di riflessioni, Einar presentò il suo progetto al capufficio: e, incredibile ma vero, quell’idea piacque un sacco! Il piano conquistò crescenti consensi e finì sulla scrivania di Cristiano IX, re di Danimarca, che diede il suo appoggio incondizionato: nel dicembre 1904, la raccolta fondi prendeva il via, con la presentazione del francobollo in tutti gli uffici postali della nazione.
Fu un successo travolgente. Nell’arco di trentun giorni, ne furono venduti più di quattro milioni (!): bastò quell’unica raccolta fondi a raggranellare la somma necessaria per comprare un terreno edile nei pressi della città di Kolding. Entro il 1911, veniva inaugurato un sanatorio (un letterale ospedale a più piani, equipaggiato di tutta la strumentazione medica all’avanguardia per la cura della tubercolosi), la cui costruzione era stata interamente finanziata dalla vendita di francobolli di beneficenza. Incredibile ma vero!
Il Sanatorio degli Francobolli di Natale (così come era popolarmente conosciuto all’epoca) restò attivò fino agli anni ’50, arrivando ad accogliere fino a duecento bambini contemporaneamente; il tasso di guarigione era pari all’85% (percentuale assai invidiabile, per l’epoca!). Nel secondo dopoguerra, venuta meno la minaccia della tubercolosi, il sanatorio divenne per fortuna superfluo, e l’imponente struttura fu adibita ad altri utilizzi: ma quanti bambini erano stati salvati nel frattempo, grazie all’intuizione di un postino dal cuore buono… e alla proverbiale magia del Natale, che rende tutti più buoni.
Un Centro di Aiuto alla Vita, nei progetti iniziali di Einar
Una curiosità? In origine, Einar aveva carezzato l’idea di destinare parte della raccolta fondi alla creazione di una grande casa famiglia alla quale le ragazze madri potessero affidare i figlioletti nati al di fuori del matrimonio, se non si sentivano in grado di crescerli da soli. Purtroppo, la proposta fu scartata perché il tema fu ritenuto potenzialmente troppo divisivo (chiunque si muove a compassione di fronte a un bambino tubercolotico, ma l’abbandono dei minori concepiti fuori dal matrimonio è sempre stata questione particolarmente delicata); sicché, per non rischiare di inficiare il successo dell’intera raccolta fondi, Einar preferì concentrare tutti i suoi sforzi sulla cura dei bambini malati: opera in ogni caso benemerita, va da sé.
Ma chissà cosa sarebbe successo se lui avesse portato avanti il suo piano iniziale.
E chissà cosa succederebbe oggi, se qualche centro di aiuto alla vita decidesse di copiare quell’antica idea di Einar: personalmente, sono piuttosto convinta che l’ideatore non s’offenderebbe. Anzi!