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Ogni vita è un miracolo sacrosanto 

BABY
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L’ergoterapeuta Élisabeth de Courrèges è attualmente in missione con l’Œuvre d’Orient in un reparto di cure palliative a Erevan, in Armenia. Gli attuali dibattiti sul fine-vita sembrano ignorare la dignità propria di ogni essere umano, ma il confronto con la realtà (e più precisamente coi piccoli pazienti armeni) ricorda alla giovane che ogni vita è indisponibile.

Appena apro gli occhi li butto sul telefono per aggiornarmi sulle attualità: «È stata creata la commissione sul fine-vita». Ecco un dibattito che sarebbe stato costipato di argomenti ideologici. 

Poi mi sono fatta un giro sui social, e in particolare sulla pagina dell’ADMD (Association pour le droit de mourir dans la dignité [Associazione per il diritto a morire dignitosamente, N.d.T.]): gli argomenti che questi partigiani dell’“aiuto attivo a morire” vi avevano pubblicato mi sembravano così lontani dalle realtà che avevo incontrato tramite il mio mestiere. 

Poi ho letto una tribuna in cui si scriveva che i cattolici non hanno voce in capitolo nelle discussioni a venire, poiché il loro contributo avrebbe potuto pregiudicare gravemente la laicità… (laddove semmai essi cercano di ricordare che ogni individuo ha una coscienza, e che questa ha bisogno di essere rischiarata). 

Poi sono incappata in un video che annunciava che la proposta di legge in favore dell’iscrizione dell’aborto nella Costituzione sarà dibattuta in Senato a febbraio. 

Mano a mano che avanzavo in questa rassegna, cominciavo ad essere turbata. Mi sono allora domandata perché si rimproverasse tanto alla vita umana il suo comportare periodi di fragilità, e perché si cercasse di evacuare con ogni mezzo siffatti periodi. 

Poi mi sono chiesta se valesse ancora la pena di impegnarsi al fianco di persone in condizione di vulnerabilità, tanto lo stato dei dibattiti lasciava intendere che tali accompagnamenti non hanno più senso: ormai si parla di queste vite fragili come di un peso per le famiglie, per chi le cura, per la società. Tali persone vengono considerate come spoglie di ogni utilità e di ogni dignità. 

Poi mi sono chiesta se valesse ancora la pena continuare a testimoniare, laddove i messaggi che cercavo di trasmettere non sembravano essere considerati dalla stragrande maggioranza dei miei contemporanei. 

Poi mi sono chiesta se valesse la pena di alzarsi, quella mattina. 

Mi sono alzata, ho fatto (come ogni mattina) i dodici gradini che mi conducevano nel reparto di cure palliative pediatriche, coi suoi dodici pazienti, e mi sono messa il camice. 

Mentre somministravo le prime cure e praticavo i rituali della giornata, ho spalancato gli occhi ed ho contemplato. 

Ho contemplato Christian, neonato trisomico sopravvissuto a un aborto, che ci ha sempre fatto piangere dal ridere quando, facendo il bagentto, cerca di canticchiare e muove a tempo la testolina. 

Poi ho contemplato Matthieu, che già tre volte dall’inizio dell’anno ci avevano dato per spacciato, e che benché estremamente fragile e sottoposto a sorveglianza continua, reagisce sempre con dolci sorrisi ai massaggi che gli faccio. 

Poi ho contemplato Tigrai, il bambino non desiderato, il bambino che non era nato al momento giusto, il figlio di una prostituta. Un bambino che dieci tra medici, infermieri e religiose oggi ancora verranno a circondare, abbracciare, baciare. 

Poi ho contemplato Arsène, un dolce ometto diagnosticato in stato pauci-relazionale (come Vincent Lambert qualche anno fa). Benché cieco e muto, Arsène sente quando un altro bambino viene messo di fianco a lui. Lo sente e lo sa. Un sorriso si disegna allora sul suo viso e sembra illuminarlo tutto. Nessuno dubita che egli cerchi di entrare in relazione e di comunicare. È come se vigilasse sui suoi fratellini in umanità. 

Poi ho contemplato Sophia, che non ha ancora 6 mesi ma il cui pronostico vitale è già compromesso. Tenendo il suo fragilissimo corpicino tra il gomito e il polso le ho mormorato: 

Oh, Sophia, se tu sapessi! Se sapessi come tutti noi, qui, vorremmo che non ti mancassero mai amore e amicizia, anche se la tua vita non dovesse durare che un anno, un mese, un giorno! 

Poi ho contemplato il ritratto di Madre Teresa e mi sono ricordato delle parole che a suo tempo aveva pronunciato, come se mi fossero state rivolte proprio questa mattina: 

Quel che è importante per noi è l’individuo. Per amare una persona, bisogna avvicinarsi a lei. Se aspettiamo che ci sia il numero, ci perderemo nella quantità. 

Poi ho aperto la porta della cappella e ho contemplato Gesù nel Santissimo Sacramento esposto. Discretamente, ai piedi dell’altare maggiore, i primi elementi di un presepe erano stati disposti. 

Questa mattina d’Avvento mi è allora sembrata un richiamo: ogni vita è un miracolo sacrosanto. Sarà questo il mio convincimento di Natale, per tutti i miei risvegli a venire e per ogni volta che mi alzerò: ogni vita umana porta in sé un’infinita dignità. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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