Il vescovo Giuseppe Sciacca, che ha ricoperto l’incarico di Segretario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e attualmente ricopre quello di Presidente dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, è un canonista da sempre impegnato nelle ricerche e negli studi. Questa sua ultima fatica si chiama, in maniera molto interessante perché riconosce un problema, "Nodi di giustizia. Problemi aperti del diritto canonico", edito dal Mulino e con una preziosa prefazione del cardinale Walter Kasper.
Perché è importante il diritto canonico?
Ed è proprio il cardinale Kasper, che da teologo di razza ammette la sua scarsa conoscenza del diritto, ma ne riconosce l'importanza per la vita della Chiesa che è la vita dei battezzati e dunque una cosa concretissima: le persone che si associano nel nome di Cristo Gesù! Ecco l'importanza del diritto canonico, che non riguarda, come molti potrebbero pensare, solo i preti o al limite le cause di nullità matrimoniale, ma i diritti e i doveri di chi vive in quella realtà storica che è la Chiesa Cattolica, molto umana ma voluta da Cristo stesso. Nessuna associazione di persone vive senza legge, senza regole, ma la Chiesa non è una associazione qualsiasi: è il Corpo vivo di Cristo, e deve dimostrarlo anche quando si tratta di applicare la giustizia. Ecco perché, il cardinal Kasper indica nell’«aequitas canonica» il motivo conduttore degli scritti di Sciacca: «Il contrasto con la chiesa della legge – scrive il cardinale Kasper – non è quindi la chiesa dell’amore, ma la chiesa dell’ingiustizia, che in alcuni suoi rappresentati fa l’ingiustizia o approva l’ingiustizia, chiude gli occhi di fronte all’ingiustizia commessa, copre l’ingiustizia fatta invece di prendere misure correttive».
Ma la legge "costituzionale" della Chiesa è il Vangelo
Ma la relazione tra Spirito e Istituzione, ministero pastorale e disciplina ecclesiastica, giustizia e misericordia ha alimentato e ancora tiene viva una discussione che attraversa l’intera storia della Chiesa. Che cosa sono la pietas o la compassione se non un sinonimo della misericordia? Cos’è l’aequitas (l'equità) se non la giustizia «dulcore misericordiae temperata» (cioè, "temperata, dalla dolcezza della misericordia", ndr)?
L’«aequitas canonica», secondo monsignor Giuseppe Sciacca, è un istituto che pervade l’intero ordinamento giuridico della Chiesa, lo anima e lo qualifica intimamente, conferendogli quell’irriducibile peculiarità ed elasticità che è propria del diritto canonico. Sciacca ricorda che il beato Contardo Ferrini (1859-1902) definiva l’«aequitas canonica» come la sostanza del diritto della Chiesa e la meta a cui tende.
I saggi raccolti nel volume di monsignor Giuseppe Sciacca invitano dunque a una riflessione profonda sul significato e sui limiti del diritto nella Chiesa, sui nodi di una giustizia che deve misurarsi con il delicato equilibrio fra la Chiesa della legge e la Chiesa dell’amore. L’esperienza giuridica della Chiesa deve da un lato contemplare il principio di legalità, dall’altro garantirne un’osservanza equa e giusta per raggiungere lo scopo ultimo della sua funzione: «salus animarum», la salvezza delle anime. Del resto le parole finali dell’ultimo canone, il 1752, del Codice di diritto canonico promulgato nel 1983 e tuttora in vigore sono inequivocabili: «La salvezza delle anime deve sempre essere nella Chiesa la legge suprema».
Un diritto quanto mai flessibile
Nella sua trattazione di monsignor Giuseppe Sciacca spiega quanto sia essenziale, per il diritto canonico conservare legittimità e legalità nel rigoroso rispetto delle garanzie, pena il suo stravolgimento. Le riforme, anche quelle per punire i reati più odiosi, non devono perdere di vista questo aspetto.
Ma proprio a bilanciare queste queste due esigenze, rapporto tra il principio di legalità e l’ordinamento canonico, Sciacca ricorda che al centro di tutto ci deve essere la missione della Chiesa che è quella di salvare le anime delle persone, e che è per questo che esiste l’istituto della «dispensatio» della legge, nonché l’ammissione del formarsi della consuetudine «praeter legem» e anche, in talune circostanze, di quella «contra legem».