Non è esattamente quel tipo di dolce che assoceremmo al periodo di Natale. Anzi, diciamolo pure: il piatto che vi presentiamo oggi ha un aspetto opportunamente inquietante, che meglio assoceremmo a una festa di Halloween a tema macabro: si tratta di un grosso serpentone di pasta frolla, arrotolato su stesso a celare un ripieno saporito, con la pelle resa scura da una copertura di cioccolato fondente. Insomma: un grosso bestione che se ne sta lì a centrotavola, appoggiato sul vassoio, fissando sinistramente i commensali con due piccoli occhietti di candito.
Davvero vien difficile immaginare il legame tra un’immagine così tetra e la lieta atmosfera delle feste: eppure, La Serpe (così si chiama il dolce) ha una simbologia così profonda e sfaccettata da renderlo una specialità natalizia decisamente degna d’esser riscoperta.
Il dolce di Natale delle Clarisse di Falerone
La patria di questo dolce è Falerone, un piccolo comune marchigiano non lontano dalla città di Fermo. Fin dal XIII secolo, il villaggio si caratterizzò per una forte devozione francescana, avendo dato i natali a Pellegrino di Falerone, uno dei primi discepoli del Poverello (nonché uno dei suoi compagni di viaggio durante quel celebre pellegrinaggio in Terra Santa): oggigiorno, il martirologio lo ricorda il 27 marzo col titolo di beato. In virtù di questo legame coi Frati Minori, il comune di Falerone coltivò a lungo il desiderio di accogliere tra le sue mura una comunità francescana: un sogno che si realizzò nel 1681, quando un piccolo gruppo di clarisse si insediò nel monastero di san Pietro apostolo che era stato appositamente costruito pochi anni prima.
Ed è proprio il convento delle clarisse di Falerone ad aver dato i natali a questo strano dolce a forma di serpente, in un’epoca che pare difficile datare con precisione. Alcuni autori parlano di un dolce dalle origini antichissime la cui preparazione avrebbe attraversato i secoli; la storica Sebastiana Papa, autrice di uno dei primi ricettari dedicati a La cucina dei monasteri (Il Formichiere, 1978) dichiara più prosaicamente di aver consultato gli archivi del convento trovando la prima traccia scritta di questo dolce in un documento datato 10 dicembre 1951. V’è poi la testimonianza di Nicola Pezzotta, autore del travel blog Con in faccia un po’ di sole, che intervistando una delle religiose del monastero di Falerone si sentì raccontare la genesi di questo piatto, collata in un passato non remoto: «una Sorella nel tempo della ricreazione, propose di fare un dolce per la festa della Madonna Immacolata e pensò di fare il serpente, cui Ella schiacciò il capo con il suo calcagno».
Insomma: sembra di poter dire che La Serpe di Falerone non sia un dolce particolarmente antico. Ciò non di meno, è oggi molto diffuso nella zona del Fermano; e chissà, forse anche qualcuno dei nostri lettori vorrà riproporlo a casa sua, quest’anno.
Quante simbologie, in questo dolce di Natale!
Nelle intenzioni delle monache di Falerone, esplicito era il richiamo al passo biblico di Genesi 3, 15 in cui Dio punisce il serpente tentatore promettendogli: «io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». Non a caso, le più antiche versioni della ricetta raccomandavano alle massaie di portare in tavola il serpentone avendo cura di sagomare la sua testa per darle una forma schiacciata, come quella di chi ha appena preso botte: un richiamo evidente all’immacolata concezione di Maria e alla lotta della Vergine contro Satana.
Da tradizione locale, il dolce viene portato in tavola non prima dell’8 dicembre (e quanto è simbolico festeggiare l’Immacolata decapitando, con un colpo netto di coltello, il malefico serpente tentatore!). Ma, da quel giorno in poi, ogni momento è buono per gustare questo dolce delle feste, che continua a essere mangiato fino al giorno di Natale: in fin dei conti, fu proprio la venuta di Gesù a Betlemme a cambiare per sempre le sorti dell’umanità, gravata dal peccato originale.
Negli ultimi anni, molti hanno voluto poi associare a questo dolce una nuova simbologia, di carattere (apparentemente) più laico. Per antica tradizione, questo dolce ha l’aspetto di un serpente arrotolato su se stesso: probabilmente, un banale accorgimento di natura logistica, dato dal fatto che la maggior parte dei vassoi ha una forma circolare. Ma, in anni recenti, l’immagine di questo biscione arrotolato su se stesso è parsa fortemente suggestiva ad alcuni autori di cucina, che (non del tutto a torto) ne hanno evidenziato la somiglianza con l’uroboro, il serpente che si morde la coda, antico simbolo di rinnovamento e di rinascita.
Effettivamente, la somiglianza è resa ancor più suggestiva dal fatto che questo dolce venga consumato nelle ultime settimane di dicembre, e cioè in quel periodo in cui un ciclo si chiude in attesa del nuovo anno che inizia. E se il richiamo all’uroboro potrebbe far storcere il naso a molti credenti (a causa delle sue associazioni con l’esoterismo, che effettivamente fece largo uso di questo simbolo), non farà male ricordare che anche i cristiani fecero propria questa immagine antichissima. Per citare un esempio eclatante, un serpente che si morde la coda attorcigliandosi attorno a un cristogramma appare sulla tomba del cardinal Consalvi, segretario di Stato di papa Pio VII: a volerlo lì fu proprio il religioso, che nel simbolo dell’uroboro aveva sempre visto la promessa cristiana di una vita nuova dopo la morte, nel mondo che verrà.
E, riflettendo sul ciclo di vita del serpente che muta la sua pelle a intervalli regolari, gli autori cristiani dei primi secoli colsero numerosi spunti di riflessione. Si leggeva per esempio nel Fisiologo (operetta composta nel III secolo in ambiente gnostico, ma in realtà molto popolare lungo tutto il corso del Medioevo e decisamente ben accolta anche dal clero cattolico): «se il serpente vuole ridiventare giovane, rimane a digiuno per quanta giorni e quaranta notti finché la sua pelle non si affloscia; a quel punto, cerca una fessura stretta, vi si infila dentro e vi comprime il corpo. In tal modo, si spoglia della vecchia pelle e torna di nuovo giovane. Allo stesso modo anche tu, o uomo, consuma e mortifica il tuo corpo se vuoi spogliarti della tua vecchia pelle attraverso la via angusta e stretta, vale a dire per mezzo del digiuno e della temperanza»: è questo il modo migliore per rinascere a vita nuova.
Vogliamo prenderlo come un buon proposito per l’anno nuovo?
La ricetta della Serpe di Falerone
La Serpe di Falerone ha una ricetta complessa, che richiede un po’ di tempo libero e una buona organizzazione a monte. Qui riportiamo la ricetta basandoci su quella apparsa sul periodico Sale e pepe del dicembre 2021; naturalmente, la preparazione sarà notevolmente più breve se decideremo di aiutarci con prodotti già pronti (ad esempio per la pasta frolla e le glasse).
Per il ripieno:
250 gr. di zucchero
250 gr. di mandorle tritate
200 gr. di amaretti
50 gr. di cacao amaro in polvere
5 gr. di cannella in polvere
2 uova intere + 3 albumi
la scorza di 2 limoni e 1 arancia
1 bicchierino di liquore amaretto
Per la pasta frolla:
600 gr. di farina
300 gr. di burro
300 gr. di zucchero
5 gr. di cannella in polvere
2 uova intere + 1 tuorlo
la scorza di 1 limone
Per la glassa al cioccolato:
50 gr. di cioccolato fondente
50 gr. di cacao amaro in polvere
50 gr. di zucchero
Per guarnire e decorare:
80 gr. di zucchero a velo
1 albume
2 ciliegie candite
Preparazione:
Dedichiamoci innanzi tutto al ripieno, mescolando in una ciotola ben capiente tutti gli ingredienti che lo compongono: dovremo ottenere un composto morbido ma non troppo liquido, che possa facilmente essere lavorato con le mani. Facciamolo riposare in frigorifero per una notte.
Prepariamo poi la pasta frolla, lavorando tutti gli ingredienti finché il composto non sarà liscio: anche in questo caso, lasciamo a riposare in frigorifero per una notte.
Il giorno dopo, stendiamo la frolla in sfoglie rettangolari dallo spessore di circa 1 cm.
Modelliamo il ripieno con le mani fino a formare un salsicciotto a forma di serpente arrotolato (dunque, avendo cura di lasciare un’estremità più grossa per la testa e un’altra più sottile per la coda). Avvolgete interamente nella sfoglia la vostra serpe, avendo cura di sigillare bene il dolce e rifilare la pasta in eccesso. A quel punto, per il serpente è giunta l’ora di finire in forno: mettetelo in una teglia imburrata e infornatelo a 170° gradi per 30 minuti circa.
Quando il dolce si sarà raffreddato, sarà il momento di decorarlo. Prepariamo la glassa al cioccolato portando a ebollizione in 2,5 dl d’acqua gli ingredienti indicati sopra e mescolando fino a ottenere un composto liquido e omogeneo. Versiamo la glassa sul serpente aiutandoci con un pennello da cucina per spargere meglio la copertura, e lasciamo asciugare.
Per gli ultimi ritocchi, prepariamo una glassa di colore bianco montando l’albume d’uovo e lo zucchero a velo, nelle quantità indicate, e aiutandoci con una sac à poche. Seguendo il nostro estro, potremo decorare il serpente disegnando su di lui tante piccole scagliette: per gli occhi, applichiamo un po’ di glassa sulle ciliegie candite e attacchiamole al muso della serpe. Che è ormai pronta per essere portata in tavola!