Marthe Robin è la mistica morta nel 1981 a 79 anni in un villaggio francese tra le Alpi e il Rodano. Figlia di contadini, fondò oltre sessanta «focolari della carità» dove tutti potevano ricevere aiuto e conforto. Di lei si disse che sia vissuta senza mai nutrirsi né bere per cinquant’anni (si sarebbe alimentata solo dell'Eucarestia, anche se la questione è controversa), rivivendo ogni venerdì i tormenti della Passione di Cristo, della quale portava le stimmate sul dorso delle mani e dei piedi. Su di lei il filosofo cattolico e accademico di Francia Jean Guitton (1901 – 1999), che andò a trovarla per quaranta volte, ci ha lasciato una testimonianza preziosa confluita nel libro Ritratto di Marthe Robin.
Il senso di Marhe per l’aborto
Si è scritto tanto di questa donna che Guitton ha definito «incredibile», vissuta nell’immobilità assoluta, con un braccio sul petto e l’altro steso lungo il corpo. Un aspetto meno noto della vita di Marthe Robin è la sua sensibilità per la piaga dell’aborto. Possibile che una mistica tutta concentrata sul venerdì, il giorno della Passione, specialista di stati eccezionali tra «cielo e terra», racconta sempre Guitton, potesse interessarsi di cose del genere, cosi «carnali»?
Ilpunto è che l’interesse di Marthe Robin è una prova vivente della verità, cara a Péguy, secondo cui «lo spirituale è anch'esso carnale». Ma oggi lo abbiamo dimenticato, abituati come siamo a vivere nell’astrazione. Péguy aveva ragione: astratto e spirituale non sono per nulla sinonimi.
Lo spirito è vivezza concretissima
Basterebbe prendere in mano le straordinarie pagine del Romano Guardini delle Lettere dal Lago di Como per rendersene conto: lo spirito è vita, l’astratto e il concettuale non sono «spirituali». «Lo spirito – scrive Guardini – vede l’oggetto vivente nella sua unicità». «Lo spirito è vita: lo spirito è concreto». Lo spirituale «non è una generalità astratta» ma una «generalità vivente», ribadisce il pensatore italo-germanico. Questo vale tanto più per l’uomo concreto, che agli occhi di Dio non è un «caso» tra i tanti: non è soltanto un individuo, ma anche una persona. Non è solo «natura umana»: non porta solo un’essenza universale ma anche un «nome» che gli dà l’impronta dell’unicità.
Dio vede, dice Guardini: non ha bisogno di concetti. Per questo nessun essere vivente ha più senso pratico del mistico che vede ciò che per noi rimane un mistero. Ma c’è di più, spiega Guitton. Marthe Robin vedeva una misteriosa parentela tra la sua condizione e quella dei bimbi abortiti.
Chi intacca la vita intacca Dio
Vediamo infatti scrivere Jean Guitton: «Marthe, che amava i bambini, aveva giudicato crudeli e nefaste le leggi sull’«interruzione volontaria della gravidanza». Era più severa nei riguardi dei legislatori che verso le povere donne, disperate e traumatizzate». Si sa del resto che apprendendo della legalizzazione dell’aborto aveva commentato: «Povera nazione. Quando s’intacca la vita, s’intacca Dio».
Così facendo del resto non faceva che riecheggiare le parole del libro della Sapienza, che promette «un giudizio severo» a «coloro che stanno in alto» poiché «l'inferiore è meritevole di pietà, ma i potenti saranno esaminati con rigore» (Sap 6, 5-6)
Quei bimbi uccisi che pregano
All’origine della sua attenzione per i bimbi abortiti c’era una percezione del significato osiamo dire mistico di quelle uccisioni legalizzate. Lo spiega ancora Guitton dilungandosi sulla solennità e sulla «sicurezza severa che raramente avevo visto in lei» con le quali Marthe Robin affermava «che i bambini uccisi nel seno delle madri pregano Dio nell’aldilà per il loro perdono». Il fatto è, prosegue il filosofo amico di Paolo VI, «che dal suo punto di vista quei bambini erano in una situazione analoga alla sua: la situazione della vittima innocente, ma per questo redentrice».
Marthe Robin, paradosso dei paradossi, era una guerriera dello spirito. Dal suo letto combatteva immobilizzata nel corpo la battaglia decisiva: quella contro la miseria, ci dice Guitton. Ma quale miseria? Quella del dolore umano, della fame, della povertà? Tutto l’inferno di questo mondo che nessun progresso è ancora riuscito ad abolire?
Anche. Ma soprattutto, agli occhi di Marthe c’era un altro inferno contro cui combattere. Credeva nel dramma della salvezza, dove l’uomo è chiamato a scegliere tra la vita e la morte, tra il paradiso e l’inferno. L’uomo ha peccato. Ma c’è anche la legge che permette all’innocente di sostituirsi al peccatore per riscattarlo. Come ha fatto Cristo: l’assoluto innocente, il primo e l’unico.
Stare davanti alla porta dell’inferno
Ecco cosa faceva Marthe Robin: accettava di prendere il posto dei peccatori. Prendeva su di sé il dolore altrui. È il mistero della sostituzione redentrice della vittima innocente. Scrive Guitton: «Marthe stava davanti alla porta dell’inferno, perché l’inferno rimanesse vuoto. Pensava che questo fosse il suo compito, il suo ruolo, il suo mestiere».
Una delle parole chiave della mistica era prendere, ricorda l’accademico di Francia. Prendere per lei significava ben altro che la parola inflazionata e quasi priva di significato a cui siamo abituatati. No, per Marthe Robin prendere voleva dire immedesimarsi, stringere, abbracciare. Al punto di pagare i debiti altrui, prenderli su di sé, farsene carico: «Mi metto al tuo posto, prendo la tua disperazione e la faccio mia. Te ne libero. Pagherò io il tuo debito. Ciò che soffrì, lo soffrirò anch’io».
Una solidarietà infrangibile e sconvolgente
Parole di una profondità impressionante, pressoché incomprensibili a noi poveri cristiani della domenica. Marthe Robin, col suo sguardo da mistica, vedeva tutto sub specie aeternitatis. Come se l’uccisione in grembo di quei bimbi non spezzasse il legame con le loro madri. Come se anche la soppressione fisica fosse incapace di infrangere la sconvolgente solidarietà con quelle piccole vittime immolate.
Così per lei «il bambino privato della vita per la disperazione della madre, proiettato dalla madre nell’eternità, salva la sua stessa madre dal peccato». Dall’abisso del male vedeva uscire un bene maggiore, capace di riscattare il primo.
L’aborto? Un mattatoio
Che Marthe Robin fosse «molto sensibile» alla questione dei bimbi abortiti lo conferma anche padre Bernard Peyrous, il postulatore della causa di beatificazione della mistica francese. Nella sua Vita di Marthe Robin sottolinea come fin dagli anni ‘70 si fosse sempre più confrontata con la questione dell’aborto.
E quando le avevano spiegato che un grande ospedale di Lione aveva equipaggiato un intero reparto per praticare aborti, aveva detto: «È un vero mattatoio…Ci si indigna davanti a tutti questi morti della guerra e si lasciano massacrare questi piccoli innocenti. Si trova tutto ciò normale? Non si può trovare tutto ciò normale…E soffrono questi piccoli». Padre Peyrous aggiunge che Marthe «pensava molto anche ai genitori dei bambini abortiti, e credeva che in Cielo quei bimbi pregassero per loro: “Padre Mio, quei bambini sono i salvatori dei loro genitori”».
Si è detto che l’aborto è una questione politica. Marthe Robin ci suggerisce che forse c’è qualcosa anche di più profondo: una questione metafisica, mistica, spirituale. Su cui forse non abbiamo mai meditato a sufficienza.