Su questo punto si può (quasi) essere categorici: Gesù, durante l’ultima cena coi suoi discepoli, ha utilizzato del vino rosso. Anzitutto perché il bianco era raro, ma anche perché era molto caro. I Vangeli tacciono sul dettaglio, e dunque nulla induce a pensare che Gesù abbia scelto un vino diverso da quello ordinario – dunque rosso.
Allo stesso modo, nei secoli seguenti i cristiani hanno celebrato la messa con del vino rosso. Perché Cristo l’aveva fatto, senza dubbio, ma anche perché il colore rosso rimandava in maniera più evidente al simbolismo del sangue. La sola raccomandazione ricorrente era che si scegliesse un vino di buona qualità. Così Gregorio di Tours (594) se la prende con un mascalzone di suddiacono preso dalla fastidiosa abitudine di sostituire il delizioso vino rosso di Gaza offerto dai fedeli con un vinaccio forte assai (e che ovviamente si portava a casa il prezioso nettare).
Una questione di usanze?
Poco a poco, le Chiese di Occidente giunsero a privilegiare il vino bianco, per le sopra ricordate ragioni pratiche ma anche, si deve ritenere, come reazione a degli eccessi che sopraggiungevano talvolta nell’adorazione del Preziosissimo Sangue, specialmente durante il XIII secolo (età di forte devozione eucaristica).
Alcuni vescovi si lamentavano, ad esempio, che dei preti conservassero il Preziosissimo Sangue fuori dalla Messa per mostrarlo ai fedeli dentro delle ampolle di vetro, che talvolta andranno in pezzi – vittime della pietà dei fedeli. Promuovendo l’uso del vino bianco si sono voluti evitare questi eccessi, che mettevano in pericolo la conservazione adeguata delle sacre specie. Ancora oggi, tuttavia, le liturgie orientali (cattoliche o no) hanno conservato l’uso esclusivo del rosso.
Ma allora qual è la regola, oggi? Gli Ordinamenti Generali del Messale Romano, il testo normativo per la celebrazione dell’Eucaristia nella Chiesa cattolica di Rito Romano, non dispone norme specifiche. Si chiede soltanto, al nº 322, che il vino sia naturale (senza additivi e non edulcorato). In linea di principio, dunque, è ben possibile celebrare la messa col vino rosso. E allora perché mantenere eventualmente anche l’uso del bianco?
L’argomento pratico resta significativo: bisogna avere compassione delle persone che lavano i sacri lini. Se ne può però evocare anche un altro, che ci aiuta a comprendere più in profondità il senso della celebrazione eucaristica. Quando celebriamo la messa, è forte la tentazione di pensare che “recitiamo di nuovo la Cena”, cioè che imitiamo esteriormente i gesti e le parole di Gesù la sera del giovedì santo. Se la messa non fosse che questo, allora si avrebbe ragione a ritenere più opportuno consacrare vino rosso invece che bianco.
Non è “recitare Gesù”
Allora però dovremmo celebrare la messa anche seduti per terra, attorno a una tavola, vestiti con tunica e sandali – cose che (perlomeno in alcuni posti del mondo) potrebbero suscitare qualche inconveniente, malgrado il global warming. La celebrazione dell’Eucaristia non è una messa in scena della Cena, non è una teatralizzazione esteriore dell’ultima cena di Cristo. Mediante i simboli che la Chiesa ci trasmette, offrendoceli; mediante le preghiere che Essa pone sulle nostre labbra, abbiamo accesso alla realtà celebrata più infallibilmente che se ci accontentassimo di riprodurre esteriormente come degli automi gli atti e le parole di Gesù.
Non c’è bisogno alcuno di “recitare Gesù”, non c’è necessità di utilizzare i medesimi strumenti o il medesimo vino perché il suo ministero salvifico ci venga reso presente. Conta soltanto la preghiera della Chiesa, che è in obbedienza al comandamento di Cristo e fa questo in memoria di Lui, aprendoci così l’accesso al Mistero pasquale.
Se vi si presta attenzione, poi, ci si rende conto che la Chiesa si fa carico della propria responsabilità rispetto a questo tesoro, cioè del doverlo trasmettere a ogni uomo e a ogni donna della storia, che non solo si prende la libertà di cambiare il vino rosso con quello bianco… ma arriva anche a ritoccare le parole di Gesù sul calice. Lo diciamo a titolo di esempio, ma è (solo) dal IV secolo che la liturgia romana fa dire a Gesù: «Questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza…». Cercate nelle vostre Bibbie, in tutti e quattro i racconti dell’istituzione contenuti nel Nuovo Testamento: vi sfido a trovare l’espressione “nuova ed eterna” riferita ad “Alleanza”.
La Chiesa ha la responsabilità di fare “questo” in memoria di Cristo, ma non bisogna confondere il memoriale con una imitazione mimetica. L’uso del vino bianco (oltre al suo interesse pratico) offre a tutti l’occasione di ricordarsi che assistere alla messa non significa essere spettatori di un evento del passato che viene recitato davanti a noi, ma entrare veramente, personalmente, nel mistero di un Dio tanto innamorato di noi da versare il proprio sangue per noi – e che continua a darci accesso al proprio potere salvifico mediante il sacramento del suo Corpo dato e del suo Sangue versato.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]