Giornali e reti televisive si sono occupate in questi giorni di una terribile vicenda che ha visto il suicidio di due uomini accomunati "solo" dal legame virtuale stabilito attraverso il web: un rapporto "disincarnato" che li ha però condotti, a distanza di poco più di un anno l’uno dall’altro, a scegliere di togliersi la vita.
Il 23 settembre 2021, Daniele, un ragazzo 24enne di Forlì si è impiccato per un amore nato in chat che poi si è rivelato fasullo. Roberto, un uomo di 64 anni di un paese vicino (Forlimpopoli), spacciandosi per Irene che si dichiarava 20enne, nel giro di 12 mesi si è scambiato con il giovane forlivese oltre 8 mila messaggi amorosi nei quali si parlava anche di matrimonio e figli.
La storia è finita quando il ragazzo ha scoperto che la foto dell’innamorata era identica a quella di una modella di Roma. I genitori e il fratello di Daniele, venuti dopo il suicidio del congiunto a conoscenza di questa relazione virtuale, sono risaliti all’uomo che si spacciava per la ragazza e lo hanno denunciato ai carabinieri.
In seguito alle indagini la Procura di Forlì ha richiesto l’archiviazione per l’ipotesi di morte come conseguenza di altro delitto, in quanto gli inquirenti non hanno rinvenuto un nesso causale tra il comportamento del 64enne e la morte del giovane, emettendo unicamente un decreto penale di condanna per sostituzione di persona, commutato in una pena pecuniaria di 825 euro.
A questo punto la famiglia del ragazzo si è rivolta alla trasmissione televisiva Le iene per raccontare la vicenda, e il padre ha indirizzato una lettera al Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Nella missiva scriveva:
In questi giorni si sta parlando tanto di Daniele, grazie al servizio mandato in onda alle "Iene" qualche giorno fa, ripreso successivamente da molti quotidiani nazionali e locali. Mio figlio è stato vittima di quello che oggi è chiamato "catfishing", una relazione virtuale nata sui social con una ragazza, dietro la quale si celava la figura di un uomo di 64 anni. Questa relazione virtuale ha portato alla morte di mio figlio. Ciò che è accaduto è di una gravità immane e molti altri ragazzi e ragazze sono vittime di questi inganni. Tanti riescono a salvarsi, tanti altri no. Non si utilizzano solo le armi, intese come oggetti, per uccidere; le parole, le illusioni, le sostituzioni di persona possono avere lo stesso potere di un’arma e provocare la morte.
La lettera si chiudeva con:
Ad oggi l’uomo responsabile di tutto questo si trova a piede libero, si sveglia ogni mattina e se ne va per le vie del suo Paese, come se nulla fosse accaduto. Non avrò più indietro Daniele, nel frattempo, colui che ritengo responsabile di questo tragico evento è libero e i carabinieri hanno addirittura scoperto che ha continuato con questo gioco sporco. Spero vivamente che questa storia possa servire a rivedere alcune leggi e far sì che chi commette questi reati venga punito severamente. Ecco il motivo che mi ha spinto a scriverle.
I giornalisti delle Iene, nel servizio messo in onda alcuni giorni fa, avevano raggiunto l’uomo in strada per chiedergli conto del suo comportamento, riprendendolo con il volto oscurato.
Nell’occasione egli aveva semplicemente commentato:
È stato uno scherzo, se aveva problemi di testa non è colpa mia.
Benché oscurato il 64enne era stato riconosciuto da molte persone di Forlimpopoli, e a detta del suo legale nei giorni successivi alla trasmissione sarebbero comparsi in città manifesti che mostravano il viso di Roberto con scritto: "Devi morire", "Devi marcire all’inferno". La mattina del 6 novembre scorso Roberto è stato trovato morto nella sua abitazione: le indagini sono ancora in corso, ma non sembra ci siano dubbi sul fatto che l’uomo si sia tolto la vita.
Come porsi di fronte a questa storia così tremenda che nella sua tragicità rischia di annichilire ogni parola che tenti di uscire dalla nostra bocca? Ci viene in aiuto l’articolo sobrio e al tempo stesso profondo di padre Maurizio Patriciello apparso nell’edizione di ieri 7 novembre di Avvenire.
Vi si può leggere:
(...) questo mondo invisibile, - riferendosi al web - e per tanti innocuo e inesistente, può essere avvertito come e più del mondo reale, portando con sé decisioni, delusioni, sofferenze vere. Individuato e messo sotto i riflettori da una trasmissione televisiva, Roberto, l’uomo che aveva irresponsabilmente e pericolosamente giocato con i sentimenti di Daniele, aveva detto: «Sono stanco, mi stanno rovinando la vita». E anche lui ha preso la più drastica delle decisioni. Tragedia nella tragedia. Non ha avuto, Roberto, la forza di chiedere perdono ai genitori di Daniele, ammettere le proprie responsabilità, redimersi. Non sapremo mai se a portarlo alla decisione estrema sia stata la vergogna, il rimorso o altro. L’unica cosa che con certezza possiamo dire è che anche lui, Roberto, è rimasto vittima di questa trappola virtuale, fredda, falsa, ambigua.
Fin qui il lucido commento "laico" del sacerdote, che termina l’articolo con un forte richiamo etico a credenti e non credenti:
L’unica lezione che possiamo imparare da questa tristissima e incomprensibile storia è che tutti dobbiamo farci custodi e sentinelle di tutti, sia nel mondo reale che in quello virtuale. Che negli spazi online è facile imbattersi in persone che vivono situazioni di disagio, sofferenza, fragilità. Fratelli e sorelle che cercano aiuto. E noi dobbiamo esserci. La messe di cui parla Gesù nel Vangelo si allarga sempre di più. Dobbiamo abitare gli spazi che la modernità ci offre. Dobbiamo esserci, ed esserci come discepoli, seminando parole che consolano, aiutano, rincuorano. Senza stancarci, senza pretendere di arrivare a risultati immediati e concreti. Seminare, seminare con la convinzione che niente va perduto. Occorre fare più attenzione a questo mondo aleatorio, invisibile ma terribilmente vero nelle conseguenze.