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Il diavolo (devoto) veste Prada: lo (ri)conoscete?

Conscience
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Luc de Bellescize - pubblicato il 05/11/22
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Conoscete il diavolo devoto? Tentatore duro e puro che incoraggia quanti cercano il Cielo spingendoli in un’illusoria ricerca della perfezione. La sapienza non sta nell’indignarsi, ma nel dare battaglia al peccato nell’incessante conversione dei piccoli passi.

«L’eternità entra nella nostra esistenza il giorno in cui facciamo rotta su Dio», ha scritto Teilhard de Chardin in genesi di un pensiero. L’arte di vivere da cristiani, vale a dire la ricerca della santità, non consiste nel diventare uno spirito fantasmatico, né nel disincarnassi, né nel lasciare la terra per meglio innalzarsi al Cielo: la santità consiste nel lasciare che lo Spirito Santo faccia in noi la Sua dimora, mendicando ogni giorno l’umiltà del cuore, lasciando che Cristo ci influenzi mediante la sua Parola e vivendo la lotta quotidiana della preghiera, l’incessante conversione dei piccoli passi, il coraggio necessario per evitare le occasioni di caduta e per evitare di discutere col tentatore. 

Uno fa sogni in grande, poi col tempo ci si accorge che la vita si vive nelle cose piccole, come un pezzo di pane posato sul tavolo della cucina, e che bisogna scegliere l’amore del Signore in ogni cosa ordinaria. La grandezza della nostra esistenza non avrà mai la dismisura dei nostri sogni, ma la profondità del nostro amore vissuto. Più cerchiamo la vita interiore, più diventiamo noi stessi. Più riceviamo lo Spirito di Dio, più abitiamo il nostro corpo come un tempio elevato sulla terra degli uomini. 

In che senso “veste Prada”? 

Ho visto talvolta in certi religiosi, magari ancora novizi, la sottile tentazione di spiritualizzare ogni cosa in un’esistenza eterea che sembra non aggrapparsi più a nulla di tangibile e disprezza la pesantezza del mondo: «Bùttati giù! – dice il diavolo a Cristo nel deserto –: gli angeli ti porteranno!» (cf. Mt 4,6)… Il diavolo peggiore è quello devoto. Ha da parte delle frecce avvelenate apposta per quelli che cercano il Cielo, non le spreca per chi si involtola nel materialismo e nei piaceri effimeri. 

Se la prende dunque coi migliori, con quelli che hanno il desiderio di Dio e che cercano sinceramente il Regno. Gli altri gli appartengono già e lui si guarda bene dal disturbarli come che sia: li coccola, li custodisce al sicuro dietro una cortina di ripari da ogni rischio. Li accarezza dolcemente come dei teneri peluche, se li culla come dei neonati. 

Eppure è pericoloso – pericolosissimo! –, il demonio devoto! Sembra un asceta… e invece è solo magro. Volentieri si agghinda di un abito penitenziale e affetta una “distinta urbanità” (come scrisse Agostino a proposito del giovane e brillante retore che egli stesso era stato prima della conversione): è questo il diavolo che veste Prada. Non ha mai bevuto un bicchiere di troppo, né si è mai girato a guardare di dietro il passaggio di una bella ragazza. Non fa mai il bis di lasagna, né di salsicce e patate, né di genziana o di ratafià: anzi veleggia tra il vegano e la cucina macrobiotica, mentre spilucca con aria costipata pochi granelli di quinoa equa e solidale al mezzo di un piatto enorme ma ben presentato. Di fianco a lui, i demonî della carne sono dei simpatici diavoletti: lui è tutto pieno della sua superbia – disprezza il corpo accusandolo di essere la fonte di ogni concupiscenza. Non dorme, non mangia, non beve, anzi vede in Cristo un «mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Lc 7,34) e se ne va come un principe, accusatore duro e puro. 

Anzitutto, convertirsi 

Come lo si combatte? Basta tornare alla terra sulla quale il Verbo ha posto la propria tenda. «Datele un bel pezzo di carne di pollo», diceva santa Teresa d’Avila quando sentiva parlare di religiose incline ad apparizioni ed estasi: «Il Buon Dio sta sul fondo delle marmitte». Eppure la grande Carmelitana aveva conosciuto fenomeni mistici, ma era una donna radicalmente carnale – e questo la salvava. La carne ci perde, talvolta; fondamentalmente, però, ci salva. Essa ci ricorda che non siamo degli angeli. Dio ci riacciuffa per la nostra collottola di carne quando siamo sull’orlo del precipizio. «È per il basso ventre che l’uomo fatica a prendersi per un dio», scriveva Nietzsche. Quanto buonsenso, questo Nietzsche! La grande Teresa aveva imparato poco a poco, tra le cadute e le lacrime, nella contemplazione della santa umanità di Cristo, a orientare verso il Padre la propria immensa seduzione, la propria sete disordinata di essere amata e ammirata. Aveva appreso ad amare quella carne tanto pesante che Dio aveva voluto indossare… 

Non l’ho mai visto negli anziani, il diavolo devoto, né presso i vecchi monaci, né presso le madri di famiglia o presso gli sposi fedeli… Hanno vissuto la prova, il sanguinolento dell’anima, la lotta contro le passioni, la pazienza dell’amore vissuto nel corso del quotidiano. Sono tornati indietro dalle loro illusioni sulla Chiesa e la amano di un amore più grande, perché più vero, come può amare la propria casa una solida massaia che non si spaventa più della polvere e che ha smesso di esasperarsi quando vede una macchia sulla tovaglia inamidata. 

E basta: finiamola di indignarci! Chi si indigna è generalmente insopportabile e sempre sfiancante! Si rischia l’acufene. A forza di elevare alti lai, ci fanno venire sete!, e di sicuro la loro agitazione frenetica concorre al riscaldamento climatico. Le loro urla contribuiscono largamente alla vanità del mondo. L’indignazione non è sintomo infallibile di conversione. Cominciamo col convertirci, e tutto andrà meglio: le strutture non si riformano che mediante la conversione degli uomini. 

Calma e gesso 

Onore ai grandi dei tempi antichi! Hanno ottenuto questa sapienza! Hanno frantumato l’idolatrico carapace delle loro illusioni di santità, di impeccabilità e di angelica purezza. «Una parrocchia è un affare sporco – scrisse Bernanos –, e ancora di più lo è la cristianità». Si può lottare contro la sporcizia, ma sarebbe vano pretendere di sradicarla. È inevitabile che avvengano degli scandali – dice il Signore –, e i poveri li avremo sempre con noi. 

Cristo non è venuto ad annientare i peccatori, né per impedire gli scandali, né per sradicare la povertà, ma per orientare i nostri cuori verso il Padre. Egli solo renderà nuove tutte le cose. Nell’attesa, camminiamo come dei viandanti, tra consolazioni e desolazioni, tra cadute e riprese, ed è semplice sapienza acconsentire all’imperfezione, pur continuando a dare battaglia alla schiavitù del peccato. Una battaglia calma, però, e determinata – senza eccitazione. I migliori legionari sono calmi, durante la lotta: si affrettano lentamente. Festina lente. «L’uomo imbriglia il cavallo, ma solo a Dio appartiene la vittoria», dice il libro dei Proverbi (Pr 21). E allora, come dicono i giocatori di biliardo: calma e gesso

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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