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È possibile “passare” dall’Inferno al Paradiso? 

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Philip Kosloski - pubblicato il 03/11/22
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La parabola del povero Lazzaro e del ricco epulone aiuta a illustrare l’abisso invalicabile che esiste tra il Cielo e l’Inferno.

Nei film e nei racconti folkloristici si trova talvolta la storia di qualcuno che va all’inferno per salvare un parente o un amico dannato, e che in un modo o nell’altro lo riporta in vita o direttamente in Paradiso. Questo immaginario popolare non trova un riscontro nelle credenze cristiane circa l’aldilà. 

Gesù lo spiega attraverso la parabola del povero Lazzaro e del ricco epulone, precisando che esiste un “abisso” tra i due regni eterni: 

C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: «Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura». Ma Abramo rispose: «Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi». E quegli replicò: «Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento». Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». E lui: «No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno». Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».

Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega poi come il fatto di andare all’inferno, dopo la morte, sia definitivo e irreversibile

Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: « Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna » (1 Gv 3,14-15). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli. 628 Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola « inferno ».

Quando scegliamo di “andare all’inferno” lo facciamo volontariamente, e non si può tornare su questa scelta. Ci escludiamo dal Cielo, e tale scelta è permanente. Si possono scrivere libri o sceneggiature appassionanti, ma resta impossibile che un dannato torni sui propri passi. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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