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Figlio abusato in seminario e suicida. Madre perdona l’impensabile

Isabelle Laurent

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Mathilde De Robien - pubblicato il 31/10/22
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Isabelle Laurent ha attraversato sicuramente le peggiori prove che possano essere inflitte a un cuore di madre, ma ha testimoniato della potenza del perdono, il quale solo – a suo avviso – può salvare il mondo e convertire i cuori. L’abbiamo incontrata, restandone profondamente edificati.

La storia di Isabelle Laurent è una delle più potenti testimonianze di fede che mi sia stato dato di raccogliere. Eppure non ha né il timbro della predicatrice né l’aura di una mistica: discreta, avvenente, gli occhi blu e lo sguardo profondo, si definisce semplicemente come una “donna di fede”, fede che le è stata trasmessa fin da piccola e che ella nutre quotidianamente mediante il suo impegno di coppia nella comunità francescana. 

È pure una donna di scrittura – autrice di diverse opere per giovani e di testimonianze personali –, nonché madre di famiglia numerosa. Una madre il cui cuore è stato violentemente e profondamente tramortito, il lunedì di Pentecoste 2019, quando dei poliziotti le hanno annunciato il suicidio dei figlio Yann, che allora aveva 30 anni. 

Avevo letto il suo libro, Maman tu pardonnes toujours [Mamma, tu perdoni sempre, N.d.T.], recentemente comparso per i tipi di Artège, mi ero preparata le domande ma non mi aspettavo un incontro tanto sconvolgente. Isabelle Laurent ha una maniera di concepire l’amore, la giustizia e il perdono che può apparire sconcertante, ma che lascia intravedere il Cielo. Con dolcezza e umiltà questa donna invita all’amore incondizionato, a immagine di quello che Dio riserva ai suoi figli. Isabelle ha fiducia nella giustizia divina e riconosce i limiti di quella umana, necessariamente imperfetta. Infine, ella rende testimonianza al fatto che il perdono può essere integrale, dato ai giusti come anche ai criminali. Quel che colpisce, ascoltandola, è la pace che promana da lei malgrado le prove sostenute, difficilmente sopportabili per un cuore di madre. È la limpidità del suo pensiero, a dispetto dei dubbi e delle numerose domande che potrebbero soverchiarla. È anche la certezza con la quale ella evoca l’amore infinito di Dio per ciascuna delle sue creature, per gli innocenti come per i più miserabili. 

Isabelle e Christian abitano non lontano da Strasbourg ed hanno nove figli, che oggi hanno dai 30 ai 15 anni… e in più sette nipoti. Hanno dato la luce a sei figli e ne hanno adottati tre, tra cui Yann e Raphaël, due fratelli nati nelle Filippine. Yann era quello che vegliava attentamente sul fratellino, quello che sorrideva sempre e che infondeva gioia ovunque passasse; quello che aveva un’intensa sete spirituale. Più tardi sarebbe stato quello che aveva una forte ambizione professionale, quello che si abbigliava con eleganza, quello che contraeva debiti per gli amici squattrinati. Un mattino del giugno 2019, la polizia ha annunciato a Isabelle e Christian il suicidio di Yann, in un cinema parigino – le circostanze parevano oscure. In preda a un’insopportabile sofferenza, Isabelle si è anzitutto murata nell’incomprensione, nella negazione, e quindi è partita alla ricerca della verità. Un cammino che l’ha condotta a una scoperta non meno tragica: quella di abusi commessi su suo figlio quando era convittore in un piccolo seminario nei Vosgi, tra le medie e il liceo. Ira e senso di colpa la ghermirono. Qualche anno dopo, tuttavia, Isabelle mostra che un cammino di perdono e di guarigione è possibile. 

Mathilde de Robien: Nel 1993 voi avevate già tre figlie, oltre alla indistruttibile certezza che un altro figlio vi stesse attendendo da qualche altra parte. Come avete sentito questa vocazione all’adozione? 

Isabelle Laurent: È una certezza che abbiamo avuto, mio marito e io, allo stesso istante. Eravamo in viaggio in Grecia, avevamo sette anni di matrimonio e avevamo l’impressione di avere un po’ tutto: dei figli, una casa… Passeggiando per una strada, ci siamo ritrovati davanti a un’icona della Vergine Maria col Bambino. Vedendo il Bambino, ho immediatamente pensato all’adozione. Mi è proprio “caduto in testa” il pensiero. E mio marito ha vissuto la stessa cosa nello stesso momento. Questo ha trasformato il seguito della nostra vita. Dato che quella certezza ci si imponeva, era evidente che un bambino ci aspettasse da qualche parte. 

M. d.R.: Nel 2019 lei viveva una cosa inconcepibile, eppure ha trovato la pace. La cosa sembra impossibile. Come ha fatto ad avere ragione di tanta sofferenza? 

I. L.: Francamente, non sapevo come se ne sarebbe potuti uscire. Il fatto è che noi siamo guidati. Abbiamo ricevuto delle grazie speciali, soprattutto la grazia della dolcezza. La morte di Yann è stata di una violenza estrema, orribile, ma Dio addolcisce le cose. Questa esperienza è nuova, per me. Non avevo mai vissuto una dolcezza tanto grande, la dolcezza di Dio che si rende presente, la dolcezza di Maria che ci accompagna nel cammino. È una cosa difficilmente comprensibile, dal di fuori: la gente vede una brutta storia, ma non vede le grazie che abbiamo ricevuto in quel momento per attraversare gli eventi. 

A ogni buco in cui cadevo, mi veniva data una grazia che non dipendeva da me. Una delle mie sofferenze più grandi è stata quella del senso di colpa: per non aver visto, per non aver potuto fare qualcosa per Yann, per non essere stata con lui nel momento opportuno… Mi è stata data, allora, questa parola evangelica: «Il Signore vi ha perdonati: fate lo stesso» (Col 3,13). Ciò mi ha condotta a non essere così dura verso me stessa. Un’altra volta, i miei occhi si sono posati su una statua della Vergine, un simulacro di gesso. In quel momento ho avuto la certezza che Yann non sia stato solo nel momento della sua morte – Maria era al suo fianco – e che quello era stato, per lui che era un grande cercatore di Dio, il momento della scoperta e dell’incontro con Cristo. Sì, sono confortata al pensiero di sapere che Yann è presso Colui che per tutta la sua vita ha cercato… e che finalmente ha trovato. 

M. d.R.: Il recente rapporto della Ciase sugli abusi commessi in seno alla Chiesa hanno sicuramente riaperto delle piaghe. Come ha reagito? 

I. L.: Per me, la realtà è talmente orribile che la priorità non è individuare il colpevole, l’innocente, capire che fare… bensì portare della luce. E la luce è Gesù. E Gesù è la Parola, e la sua Parola è il comando di perdonare. Solo quando si perdona possono avvenire delle conversioni: la storia di san Francesco lo mostra bene. Voleva ricostruire la sua chiesa e ha comprato da un prete, a un prezzo esorbitante, delle pietre: non ha detto niente e ha pagato il prezzo richiesto. Più tardi, il prete si è pentito del furto, è tornato verso Francesco e gli ha restituito il denaro e donato le pietre. È stato andando a Lisieux che ho compreso il messaggio di santa Teresa, che pregava per i preti e per i criminali. Mi invitava ad intraprendere un cammino di perdono che implica la preghiera per la conversione dei peccatori e dei criminali. Certamente, questo non vieta alla giustizia umana di continuare a battersi per proteggere future vittime, ed è un dovere farlo, ma posso rendere testimonianza di ciò che il perdono porta nel mondo. Il perdono libera sia la vittima sia il criminale, perché da quel momento può cominciare il suo cammino di conversione. 

All’epoca ci incitarono a testimoniare nel quadro della Ciase, ma non era ciò che dovevamo fare noi: sapevamo dal fratello di Yann che in quella scuola era stato abusato, ma non sapevamo da chi lo fosse stato, e mi spaventava l’ipotesi di accusare un prete a torto. Quante volte mi sono ricordata di quel “Non giudicate!” del Vangelo. Dio, invece, sa. Se gli si dà la nostra fiducia, Dio potrà compiere un’altra giustizia. Una giustizia divina, perfetta, che viene dal suo amore incondizionato. Rinunciare alla giustizia degli uomini può essere anche un atto di abbandono che apre al Cielo e che permette alla potenza divina di agire. Dio si serve della nostra storia, ma questa lotta non è nostra – ci oltrepassa. 

M. d.R.: Sembra che lei alluda a diversi perdoni da dare. Due anni e mezzo dopo, lei è riuscita a perdonare? 

I. L.: Anzitutto, non si può perdonare se non si è vissuto l’odio, la collera… Sono come dei passaggi obbligati per poter perdonare. Con l’immenso senso di colpa che mi ha sommersa, anzitutto ho dovuto imparare a perdonare me stessa. Ce l’avevo anche con Yann: quanto avrei voluto che si fosse aperto con me! Perché non l’ha fatto? Ce l’avevo con mio marito: non rientrava nel suo ruolo di padre il vegliare su di lui? Insomma, ce l’avevo con tutto il mondo. Ma non con Dio. Perché so che Egli è amore incondizionato e che tutto ha un senso. So che tutto concorre al bene, ma che non lo si comprende a vista d’uomo. 

M. d.R.: Ha perdonato l’aggressore di Yann? 

I. L.: Un’esperienza vissuta quando i bambini erano nell’ultima adolescenza ha preparato il mio cuore a perdonare sempre, tutti, perché nessuno può conoscere il vero tesoro di un’anima. E il biglietto ritrovato in cui Yann mi aveva scritto: «Mamma, tu mi aiuti perché tu perdoni sempre». Lo aveva scritto nel periodo in cui veniva abusato. Quel foglietto mi guida tutti i giorni. Vittime e carnefici, tutti sono figli di Dio. Dal punto di vista di Dio, tutti sono perdonabili, analogamente a come una madre perdona i propri figli in maniera incondizionata. In quanto madre, una persona comprende veramente qualcosa dell’amore incondizionato di Dio. Dio conosce il cuore di ciascuno, nonché le circostanze che lo fanno inclinare da una parte o dall’altra. 

Oggi comprendo il messaggio “perdonate”. Yann mi chiede di perdonare semplicemente perché solo il perdono salva. Io ho perdonato, perché così voglio. Ho nel cuore un grande desiderio di perdono, e Dio si occupa del resto. Certo, il perdono non si dà dall’oggi al domani, e non è mai compiuto una volta per tutte. Bisogna sempre ricominciare tutto. Però non voglio mai più dimenticare che il perdono è il solo atto capace di rendere il mondo migliore e di permettergli di progredire.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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