Non è la prima volta che viene segnalata una community dove minorenni messaggiano, scambiano e diffondono materiale di un orrore indicibile, dalla pedopornografia anche con neonati; inni e ostentazione nazifascista e qualsivoglia di materiale che neanche la più elaborata fantasia horror riuscirebbe a elaborare per una fiction. Ma quei video e quelle immagini sono reali: vittime abusate, vessate, torturate, eliminate.
Prima di “Poison” (2022) c’è stata "Dangerous Images" (2020), poi "Utistici" (2021), e "The Shoah Party" (2019), centinaia di minorenni che gestivano ‘community’ dai contenuti disgustosi e orripilanti che coinvolgevano minori di età inferiore.
L’operazione della Polizia Postale chiamata “Poison", ha portato alla luce una “community” composta di circa 700 preadolescenti e giovanissimi che si scambiavano immagini di corpi mutilati, abusi sessuali su minori, cadaveri, Hitler e Mussolini, oltre a video raccapriccianti con atti di crudeltà verso gli uomini e gli animali. Il tutto era spalmato in cinque gruppi Whatsapp e Instagram.
Un movimento “tossico”, “disgustoso”, di parole e immagini basato sullo scambio di oltre 85mila messaggi. L’operazione Poison è partita dalla denuncia di una mamma, il cui figlio, all’interno di tali gruppi, aveva subito un’estorsione. Le chat dei ragazzi erano suddivise per filoni tematici: Zoofilo, Splat, Necrofilo, Pedopornografico e Porno.
Basta una segnalazione (alla Polizia Postale o a Meter) che può salvare la vita di tanti minori e rompere questo abisso infernale dove tra l’imbecillita e la pseudo consapevolezza che alimenta la cultura del male e del banale, riducendo a oggetti e cose chi è rappresentato e ponendo in essere tutte le strategie di estorsione e ricatto.
Come aiutare i minori sui social? non saranno mai sufficienti gli incontri nelle scuole e nelle parrocchie, come le Campagne annuali di informazione e formazione (In riga su Internet, Le Regole per un uso consapevole dei social, Laboratori a scuola su Bambini e tecnologia)1
Qui bisogna mettere in campo nuovi percorsi di ‘umanizzazione’, di rispetto e tolleranza, di dignità umana e protezione di essa.
Due domande dobbiamo farle:cosa significa condividere, oggi, nell’ambiente digitale?2
Considerato lo sviluppo del digitale, fino ad oggi, dobbiamo rilevare che la condivisione presuppone comunque una relazione, un legame di amicizia, una graduale e intima conoscenza di se è dell'altro. Non tutto, anche nella conoscenza reciproca si rivela, si comunica, ed è ingannevole pensare che nella realtà ci riveliamo tutto. Condividere presuppone anche una relazione di chi ama, chi protegge, chi sostiene di chi non tradisce. Condividere è quel dono in cui c'è la possibilità di trasmettere una verità. Ovviamente negli scambi digitali spesso emerge il rischio della frantumazione della propria identità: una grande povertà che favorisce anche il naufragio presso le “periferie digitali”, concerto che coniai negli anni ’90, dove si perde nella vita ci si illude di poter amare ed essere amati senza un legame. Le periferie, a volte, restano inabitate e insolitamente vuote e infelici: una rete di vincoli senza autenticità di promesse stabili. Questo ovviamente favorisce una grande depressione personale e sociale, oltre a una rilevante solitudine digitale. Un click non aiuta a fare comunità anzi, sono convinto e lo ripeto per esperienza, disperde. La felicità la si cerca anche nei contatti digitali ma spesso questa mediazione ci rende più deboli, più soli, inquieti, ripiegati sulla tastiera senza guardare negli occhi l'altro. Se noi dovessimo pensare a un hub nella logica del Vangelo, l’hub potrebbe essere la Rete e Gesù Cristo conosceva uno per uno i soggetti della Rete: la conoscenza personale favoriva anche la trasmissione di un’eredità religiosa e spirituale.
Come possiamo scorgere i segni di disagio nei minori o sintomi di abusi?
Innanzitutto dobbiamo sempre sottolineare, anche nel digitale, che l'abuso nei riguardi di bambini è una cancellazione della propria infanzia. Ogni tipo di abuso, che può essere variegato nelle sue forme abiette, invadenti e soprattutto corrosive della dignità dei bambini, provoca ovviamente non solo un danno personale ma anche danni collaterali, spesso non visibili nell’immediatezza ma che emergono a posteriori. Se dovessi stilare un elenco di segnali che i bambini possono manifestare probabilmente, dopo la lettura, potremmo averne una percezione negativa perché il disagio di un bambino non corrisponde direttamente a un abuso; potrebbe essere anche correlato a deprivazioni affettive. Una cosa è certa: i bambini si rifugiano nel mondo online che un mondo facile, accessibile, non controllato, non vigilato. Questo è il grande problema: di fronte alla necessità di vigilanza e controllo molti storcono il naso, invece dovrebbe esserci la capacità da parte dei genitori e di quanti hanno rapporti diretti con i bambini di contrastare la sovraesposizione che già, di per sé, è un abuso. L’eccesso di immissione di immagini o video non filtrati né tantomeno indirizzati è un altro abuso. La possibilità di accedere nei social indiscriminatamente senza un minimo di piccole regole è ancora un abuso. I mezzi sono strumenti, quello che risulta più pericoloso è che i bambini non abbiano punti di rifermento affettivi, regole, riferimenti. Nuovi linguaggi nuovi modi educativi nuovi attenzioni: questi piccoli probabilmente scopriranno il Metaverso senza che nessuno lo abiti insieme a loro. Credo sia fondamentale alzare il livello di prossimità e punti di riferimento anche nel digitale, in modo che chi si trova in pericolo online, e non soltanto, possa trovare dove poter bussare ed essere aiutato.
A volte basta poco, ma non possiamo dire che questa non è una emergenza che coinvolge i minori e le loto famiglie. Si auspica di non banalizzare quello che emerge.
Quali percorsi educativi e di riparazione saranno attuati su questi minori?
Li porterei in visita nei campi di concentramento e gli farei leggere una serie di libri testimonianza dei sopravvissuti, li fare assistere nei Gruppi di ascolto delle vittime di abuso, gli fare comprendere la reale vita dell’online, che non è un gioco, anzi è la vera realtà, gli vieterei per un tempo l’accesso ai social e proporrei una modalità che faccia comprendere l’opportunità e i rischi del web. Ci sono sempre persone e non solo byte e macchine tecnologicamente avanzate.
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1 si consulti www.associazionemeter.org e altre fonti di informazione che per fortuna ce ne sono ma restano sconosciute ai molti e ai tanti.
2 cfr. Articolo su Vita Pastorale, ottobre 2022 a don Fortunato Di Noto, Aiutare i minori sui social (a cura di Marco Sanavio)