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Cosa fece Longino dopo la morte di Gesù?

STATUA DI MARMO DI SAN LONGINO CON LANCIA
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Lucia Graziano - pubblicato il 16/10/22
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Ovviamente, non lo sa nessuno: i Vangeli non ci danno ulteriori informazioni, e gli Atti degli Apostoli non lo citano. Furono i fedeli a lavorare di fantasia, immaginando epiloghi possibili per la bella storia del centurione che, nel Crocifisso, riconobbe il figlio di Dio

I Vangeli, come è loro solito, mantengono il riserbo; neppure ne fanno il nome. Fu la tradizione popolare ad attribuirglielo nei secoli a venire, basandosi su quel passo del Vangelo di Giovanni che, parlando del soldato che stava ai piedi della croce, lo descrive nell’atto di trafiggere con la sua lancia il costato di Gesù, per assicurarsi che fosse morto. Il nome con cui oggi conosciamo il centurione è la latinizzazione del termine greco λόγχη che appunto indica, nel Vangelo di Giovanni, l’arma del soldato: insomma, Longino è – anche etimologicamente – colui che porta la lancia. 

E, per estensione, è anche quel soldato che, stando ai piedi della croce, riconobbe la grandezza di ciò che era appena accaduto pronunciando quel famoso «costui era davvero il figlio di Dio»: i Vangeli sinottici non specificano se avesse anche una lancia in mano, ma la tradizione cattolica si sentì abbastanza sicura di poter ricondurre i due episodi a un unico soldato. 

A questo punto, la domanda sorge quasi spontanea: a quale sorte andò incontro il buon Longino, dopo aver assistito alla morte di Gesù e dopo aver riconosciuto la divinità del crocifisso?

Ovviamente non possiamo saperlo: le tradizioni che stiamo per raccontare sono nulla più che leggende, partorite dalla fantasia di una cristianità che evidentemente era ansiosa di conoscere (o quantomeno immaginare!) le sorti di un personaggio che ebbe un ruolo così importante negli ultimi minuti della vita di Gesù. Ed è appunto con lo spirito con cui si accolta una storia con morale che andranno scorse queste leggende. Vediamone alcune. 

Il discepolo più ardente

Così lo immaginò, nel VI secolo, un anonimo autore che gli studiosi d’occhi hanno etichettato come “pseudo-Esichio”. Non senza ragione, lo scrittore immaginò Longino come il primo di quella vasta schiera di beati «che non hanno visto e hanno creduto», per citare le parole che Gesù rivolse a san Tommaso. Senza esser stato discepolo diretto di Gesù, e dunque senza aver avuto modo di ascoltare le sue parole e toccar con mano i suoi miracoli, Longino fu comunque in grado di riconoscerne la divinità e addirittura di professarla ad alta voce, e in luogo pubblico. Effettivamente, una scelta coraggiosa e (se vogliamo) anche poco prudente, tenuto conto del fatto che Gesù era appena morto davanti ai suoi occhi proprio a causa di quelle affermazioni.

Affascinato dalla coraggiosa testimonianza del centurione, lo pseudo-Esichio lo immaginò come il più ardente e il più entusiasta tra tutti gli evangelizzatori, dipingendolo nell’atto di annunciare la divinità di Gesù e la sua resurrezione anche in quel periodo in cui, prima della Pentecoste, i discepoli si nascondevano per paura.  

Fra i primi testimoni della resurrezione

Nella Lettera di Pilato a Erode, un testo apocrifo del V secolo scritta sottoforma di rapporto con cui il procuratore di Giudea deve rendere conto degli eventi che hanno appena avuto luogo a Gerusalemme, Longino ci viene presentato come un soldato di alto rango al quale, fra le altre cose, fu anche chiesto di comandare quel piccolo gruppo di uomini armati posti a guardia del sepolcro. Se non gli fosse bastata l’esperienza che aveva avuto ai piedi della croce, trovare inspiegabilmente vuoto il sepolcro, che lui stesso aveva sorvegliato con tanta cura, fu per Longino, l’ulteriore conferma della divinità di Cristo. 

La terza conferma arrivò quando il Risorto scelse di manifestarsi proprio al soldato, e non a lui solo: al momento dell’apparizione, Longino si trovava in compagnia della moglie di Pilato, cui stava facendo la scorta. Anche a loro fu dato il compito di annunciare la buona novella; e non c’è nemmeno bisogno di dire che quell’esperienza sconvolgente procurò in loro un’immediata conversione. 

Guarito dalla cecità per aver saputo vedere veramente 

Fa sorridere, il pensiero di un uomo cieco come una talpa che ciò nonostante diventa centurione ricoprendo ruoli di spicco presso il procuratore di Giudea. Ma le agiografie contenute nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine non sempre brillano per realismo; e infatti, in questo caso, la leggenda presenta Longino come un soldato la cui vista era stata annebbiata dalla malattia. Sotto alla croce, il centurione trafisse il costato di Cristo e fu testimone attonito dei prodigi che si manifestarono poco dopo; già convinto di aver assistito alla morte di colui che «era davvero il figlio di Dio», Longino si toccò distrattamente gli occhi con le dita. Ma, senza nemmeno che lui se ne accorgesse, le dita s’erano macchiate del sangue di Gesù, che lentamente era colato giù lungo la lancia. E quel liquido salvifico versato per l’umanità compì su Longino un vero e proprio miracolo, ridandogli la vista: fu così premiato l’uomo che per primo aveva saputo vedere nel Crocifisso ciò che nessun altro, tra i romani, era riuscito a scorgere. 

Seguì, ovviamente, la conversione, l’avvicinamento agli apostoli, il battesimo e infine la decisione di votarsi interamente a Dio. Per ventotto anni, Longino visse come monaco presso Cesarea di Cappadocia, annunciando il Vangelo e procurando innumerevoli conversioni. 

Il santo ammazza-draghi

È bizantina, invece, la tradizione che vede in Longino un potente dragonslayer, che non ha niente da invidiare al più celebre san Giorgio. In questo caso, la leggenda segue le tappe già descritte da Jacopo da Varagine ma introduce un inatteso elemento fantasy mettendo in scena un temibile drago che d’un tratto inizia a seminare morte e distruzione nella città di Cesarea. Numerosi guerrieri scendono in campo per cercare di sconfiggerlo, ma inevitabilmente hanno la peggio; e la popolazione comincia ormai a disperare.

Nessuno dà il minimo credito a quell’anziano monachello, smagrito dall’età e da una vita di penitenze, che improvvisamente arriva in città annunciando di voler uccidere il drago. Ma Longino era pur sempre stato un centurione di grande fama, tra i prediletti di Pilato: armato di quella lancia da cui non s’era mai separato, il monaco scende in campo e uccide il mostro con un colpo netto che porta con sé la maestria esperta di una vita militare mai del tutto dimenticata. Il male era stato sconfitto, una volta ancora, e una volta ancora per mano di un uomo che di certo non aveva l’aria dell’eroe, come spesso capita nelle storie belle. Ma una fede salda permette questo e altro. 

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