Carlo Acutis oltre ad amare l’informatica e la tecnologia, era anche appassionato di videogiochi, un pò come la gran parte dei bambini e degli adolescenti. Ma con i videogiochi aveva un rapporto “lucido”. Che oggi, più che mai, potrebbe insegnare molto ai suoi coetanei che invece sono totalmente dipendenti dai videogiochi, fino ad esserne patologicamente affetti.
Sua madre Antonia Salzano Acutis nel libro “Il segreto di mio figlio” (Piemme), spiega quale era il rapporto tra il beato Carlo Acutis e i videogiochi.
Gameboy e Playstation
Gli strumenti tecnologici piacevano naturalmente a Carlo, come alla gran parte dei suoi coetanei, anche come giochi. Quando era piccolo, cominciarono a uscire nuovi giochi elettronici come il Gameboy, la PlayStation, il Gamecube, l’Xbox. Un Natale i genitori gli regalano un Gamecube che aveva la forma di un cubo nero.
Il presepe “Gamecube”
«Ci facemmo tantissime risate - ricorda mamma Antonia Salzano - perchè proprio quello stesso anno, per Natale, davanti alla Basilica di San Francesco allestirono un presepe a forma di cubo nero con dei gatti disegnati. Sembrava proprio il gioco di Carlo. Pur apprezzando i videogiochi, si impose un tempo massimo di utilizzo che non doveva superare un’ora a settimana».
Il motivo della scelta di Carlo
Il giovanissimo Carlo Acutis aveva letto che molti ragazzi, soprattutto negli Stati Uniti, erano finiti in ospedali specializzati nelle patologie scatenate dall’uso eccessivo di videogiochi. Addirittura ad alcuni erano venute le crisi epilettiche per un eccesso di utilizzo.
In linea con le ricerche sull’uso dei videogiochi
Quello che sosteneva il giovanissimo beato è in linea generale con tutte le ricerche più recenti suggeriscono come l’impatto dell’uso di videogame sullo sviluppo cognitivo sia influenzato anche dall’età del bambino, alla quantità di tempo dedicato, al contenuto del gioco e al contesto sociale. Dunque, sebbene tali strumenti non debbano essere demonizzati, è consigliabileproporli con prudenza: non prima dei sei anni di età, per non più di 30-60 minuti al giorno, e sempre sotto il controllo diretto dei genitori (Aleteia, 16 aprile 2019).
“Uno sguardo spento”
«Mio figlio ha sempre voluto mantenere una libertà interiore rispetto a questi mezzi, computer compreso - ha concluso mamma Antonia Salzano. - Aveva notato che molti di coloro che passano troppe ore davanti a questi mezzi, hanno lo sguardo spento».