Crocifissi, kippah ebraica, velo musulmano: in nome della neutralità, nessuno deve esporre simboli religiosi sui luoghi di lavoro. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia Europea con una sentenza che è destinata a far discutere (La Stampa, 13 ottobre).
Il ricorso della donna musulmana belga
A sottoporre la questione al tribunale che ha sede in Lussemburgo, era stata una donna belga di religione musulmana. Che sarebbe stata scartata a un colloquio di lavoro per non aver tolto il velo (AdnKronos, 14 ottobre).
Il caso di una dipendente cattolica e una araba
La sentenza della Corte di Giustizia Europea, stabilisce che il divieto di indossare simboli religiosi nei luoghi di lavoro è legittimo, purché lo stop venga applicato in maniera generale e indiscriminata.
In pratica, un datore di lavoro non può consentire che i cattolici portino la croce e i musulmani non possano indossare i loro simboli: la stessa regola deve essere valida per tutti. Quindi, se una lavoratrice cristiana si presenta con una medaglietta della Madonna di Lourdes, la dipendente araba può andare al lavoro con il velo in testa.
“In maniera generale e indiscriminata”
Secondo la sentenza della Corte, il regolamento di lavoro di un’impresa che vieta ai lavoratori di manifestare verbalmente, con l’abbigliamento o in qualsiasi altro modo, le loro convinzioni religiose o filosofiche, di qualsiasi tipo «non costituisce, nei confronti dei dipendenti che intendono esercitare la loro libertà di religione e di coscienza indossando visibilmente un segno o un indumento con connotazione religiosa, una discriminazione diretta basata sulla religione o sulle convinzioni personali, ai sensi del diritto dell’Unione, a condizione che tale disposizione sia applicata in maniera generale e indiscriminata».
"Non stabilisce una differenza di trattamento"
Dato che ogni persona «può avere una religione o convinzioni religiose, filosofiche o spirituali – continua la sentenza –, una regola di tal genere, a condizione che sia applicata in maniera generale e indiscriminata, non istituisce una differenza di trattamento fondata su un criterio inscindibilmente legato alla religione o a tali convinzioni personali» (www.laleggepertutti.it, 14 ottobre).