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Di quando san Michele, secondo la leggenda, divenne un angelo custode

SAINT MICHAEL THE ARCHANGEL
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Lucia Graziano - pubblicato il 28/09/22
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Una dolcissima leggenda custodita in un testo duecentesco ci mostra san Michele nelle vesti inedite di angelo custode, nell’atto di proteggere una neo-mamma e il suo bimbo appena nato

Riuscireste a immaginare san Michele arcangelo nell’atto di cullare amorevolmente un neonatino?

Probabilmente no: quella di baby sitter non è esattamente la prima attività professionale che ci verrebbe in mente di associare a san Michele, meglio noto per essere il principe delle milizie celesti, il glorioso condottiero che sconfisse Satana, il campione che sgominò la sedizione degli angeli ribelli e che li cacciò via dal Paradiso. Insomma: non esattamente quel tipo di angelo che ci vien da immaginare nell’atto di sorvegliare un bimbo che dorme sereno nella culla. Certo, esistono gli angeli custodi… ma avete mai letto una storia in cui san Michele smette i panni di condottiero per diventare il guardiano di un neonatino?!

Se la risposta è no… beh, state per farlo adesso: la dolcissima leggenda che stiamo per raccontare è tratta dal South English Legendary, una raccolta di testi agiografici composti in Inghilterra negli anni ’60 del Duecento. E, per dare alla leggenda i toni fiabeschi che ben le si addicono, verrebbe da cominciare questa storia con l’immancabile “’era una volta, tanto tempo fa”… il santuario di Mont Saint-Michel. 

Un santuario che, con ogni evidenza, l’autore del South English Legendary non aveva mai visto di persona. L’isolotto che diventa inaccessibile quando l’alta marea sommerge la passerella che lo collega alla terraferma, nell’immaginazione dell’agiografo si trasforma in uno scoglio che sorge in mezzo al mare aperto e che si mostra ai pellegrini solamente una volta all’anno, nella festa di san Michele, quando le acque miracolosamente si ritraggono per consentire il transito dei devoti. Sembra una scena degna dell’attraversamento del Mar Rosso, ma va pur concessa un po’ di indulgenza a quel povero agiografo medievale che, evidentemente, scriveva per sentito dire basandosi su chissà quali resoconti fantasiosi. 

E poi, diciamolo: l’intento del nostro autore non era quello di comporre un testo storico. Il South English Legendary è per l’appunto una raccolta di leggende: storie edificanti da raccontare per trasmettere insegnamenti morali, e nulla più. 

Sospendiamo dunque l’incredulità e immaginiamo questa grandiosa chiesa che affiora sulle acque ergendosi maestosa su uno scoglio in mezzo al mare. E immagiamo dunque i pellegrini che, emozionati per quell’incredibile avventura, camminano in mezzo alle acque ansiosi di raggiungere quella meta che solamente pochi valorosi hanno la chance di visitare.

Tutto procedeva per il meglio, fino a quando: la tragedia.

Il narratore non ci spiega cosa sia stato a causarla, lasciandoci lavorare di fantasia: forse uno tsunami causato da un maremoto? Oppure, una trappola ordita da Satana per intimorire i pellegrini? O, al contrario, una misteriosa ma incontestabile manifestazione della Divina Provvidenza?

Fatto sta che, all’improvviso, mentre i pellegrini procedevano sereni lungo il corridoio asciutto venutosi a creare tra le due ali d’acqua, inaspettatamente iniziò a piovere su di loro.

Prima fu un lento gocciolio, cui nessuno diede troppo peso. Poi il gocciolio si trasformò in pioggia vera e propria, che cadeva a secchiate addosso ai viaggiatori. 

A un certo punto, qualcuno guardò in alto e realizzò con orrore che, no, non si trattava di un acquazzone: il mare si stava richiudendo su di loro, presto il corridoio sarebbe stato sommerso!

Comprensibilmente, scoppiò il panico. Chi viaggiava a dorso di cavallo spronò al galoppo il suo destriero; i viandanti che erano appiedati cominciarono a correre forsennatamente e i monaci che vivevano a Mont Saint-Michel spalancarono le porte per dare rifugio ai pellegrini. La tragedia fu sfiorata, ma si concretizzò in un nulla: in un modo o nell’altro, tutti i viaggiatori riuscirono a mettersi in salvo.

Tutti tranne uno.

O, per meglio dire, una: una donna in avanzato stato di gravidanza che, appesantita dal suo dolce carico, era rimasta indietro e aveva finito con l’essere trascinata via dai flutti; il marito (che evidentemente s’era messo in salvo senza restare al suo fianco: un vero gentleman!) fu il primo a dare l’allarme. La si cercò a lungo, e disperatamente, e i monaci misero a disposizione le loro barchette a remi per permettere ai viandanti di perlustrare la zona; ma quelle ricerche non ebbero fortuna, e infine la donna fu pianta per morta. 

Naturalmente, la nostra amica non era morta affatto. Era semplicemente naufraga, sospinta dalle onde in un punto così remoto da non essere visibile agli occhi di chi la cercava disperatamente; e proprio mentre la donna sentiva le forze venir meno, san Michele arcangelo scese in suo soccorso.

Nessun cavaliere resterebbe indifferente alle grida di una donzella in pericolo; e l’arcangelo guerriero non volle essere da meno. Alla stregua di un custode premuroso, salvò la donna dai flutti, la mise al sicuro e le restò vicino per tutta la durata del travaglio (ché la poverina, per lo spavento, era stata colta dalle doglie). Dopodiché, l’arcangelo strinse a sé la madre e il bambino e li condusse in volo… no, non a Mont Saint-Michel, dove c’era un padre disperato che piangeva tutte le sue lacrime convinto d’essere rimasto vedovo. Li condusse su un’altra isoletta non lontana, dove la famigliola visse per un lungo anno, affettuosamente assistita da san Michele che (trasformatosi a tutti gli effetti nell’angelo custode del bambinetto) vegliava su di lui e sfamava la madre portandole ogni giorno pesci, acqua potabile e frutta prelibata.

Immaginate lo stupore generale quando, il 29 settembre dell’anno successivo, san Michele calò dal cielo sull’isolotto di Mont Saint-Michel portando con sé quella donna e quel bimbo che tutti ormai davano per morti. Di quel prodigio si parlò a lungo, e l’incredibile storia servì a confermare nei fedeli la confortante certezza di non essere mai soli: persino nelle circostanze più disperate, quando tutto sembra essere perduto, gli angeli del cielo sono al nostro fianco.

E probabilmente a san Michele non dispiacerà essere ritratto, di tanto in tanto, nelle vesti di angelo guardiano. Verrebbe chiedersi quale sia il bisogno di trasformare in angelo custode il principe delle milizie celesti, se il calendario liturgico ci offre al 2 ottobre una data appositamente dedicata a festeggiare i nostri celesti protettori; in effetti, esiste una risposta a questa domanda, e – come spesso capita – è la Storia a fornircela.

L’idea che ogni fedele goda della custodia di un angelo è, ovviamente, di vecchia data; ma è relativamente recente la consuetudine di festeggiare gli angeli custodi il 2 ottobre. La festa cominciò a svilupparsi nel corso del XVI secolo in seno alla famiglia francescana e solo nel 1607 fu ufficializzata dal papa Paolo V, che la estese a tutta la cristianità. Fino a quel momento, tutti gli angeli erano festeggiati il 29 settembre assieme al loro principe, indipendentemente dalla loro “specializzazione”: fu sicuramente questa sovrapposizione ad aver ispirato, nell’autore del South English Legendary, la storia che rappresenta san Michele nell’inconsueta veste di angelo custode.

Una veste inconsueta, ma non per questo poco adatta. E poi, diciamolo: chi di noi non esulterebbe, nello scoprire di avere un custode così tosto?

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