Gli angeli non sono solo simboli: per il giovane e futuro beato Giacomo Alberione (Fossano, Cuneo 4 aprile 1884 – Roma, 26 novembre 1971), sono soprattutto custodi, guardie spirituali del corpo per chi dedica mente, volontà e cuore a Dio nella missione difficile di annunciare nascita, morte e risurrezione di Cristo come via, verità e vita per l’umanità intera.
Le notti nella tipografia
Nel 1919, si legge su “Gli angeli del beato Giacomo Alberione” (edizioni Segno), non a tutti piacevano le iniziative di don Alberione, allora attivo sacerdote. Alcuni “laici” di allora avevano minacciato di distruggere la tipografia da poco avviata. Per evitare sorprese, il Signor Teologo, come pure veniva ancora rispettosamente chiamato don Alberione, passò diverse notti sveglio nello stabilimento, con due suoi fidati giovani collaboratori.
L’attentato
Fu precisamente nel Natale del 1919 che confidò al giovane chierico Giuseppe Timoteo Giaccardo (che sarà il primo ad essere proclamato beato nella Famiglia paolina): “Bisogna prendere le misure umane e quanto suggerisce la prudenza dai tetti in giù. Del resto, io sono molto tranquillo; l’angelo custode veglia lui...Oh, la Provvidenza! Solo ieri sera ho saputo che la mia vita era in pericolo: avevano deciso di uccidermi nella settimana delle elezioni; eppure noi siamo passati per le vie in tutte le ore della notte: e Dio ci ha protetti”.
La Coroncina
Dagli anni 1920 agli anni 1950, Alberione promuove in tutta la Famiglia Paolina da lui fondata, la devozione agli angeli in generale e in particolare all’angelo custode con la recita settimanale della “Coroncina”, prescritta per il giovedì.
I viaggi con la Famiglia Paolina
Nei due decenni 1945-1965, Alberione sperimentò di persona la presenza e la efficace assistenza degli angeli custodi, durante i suoi spostamenti, sia via terra, in auto, sia via mare e soprattutto in aereo. Accompagnato dalle due Superiore generali, quella delle Figlie di San Paolo e quella delle Pie Discepole, don Alberione si affidava agli angeli custodi, pregandoli sia all’inizio e che nel corso di ogni viaggio.
L’aereo in Marocco
La sera del 1° settembre 1953, i tre religiosi, con l’Air France erano di ritorno a Roma da San Paulo, in Brasile, via Rabat, in Marocco e via Parigi. A Rabat, capitale del Marocco, però perdettero la coincidenza a motivo di un ritardo del taxista. Giunsero a Parigi con il volo successivo, ma quando atterrarono appresero che l’aereo perso a Rabat era precipitato.
“Un qualche grado di questo Essere infinito”
Nel bollettino interno San Paolo, edito dalla Casa generalizia di Roma nel marzo 1953 Alberione scrisse un lungo articolo sugli angeli citando diversi autori spirituali. Scriveva il beato:
L’affidamento della morte agli angeli
Agli angeli don Alberione affida fiducioso anche l’esodo da questo mondo in un suo previsto funerale solenne. Siamo nel 1957. Il cardinale Valerio Valeri, Prefetto della Sacra Congregazione dei Religiosi, mandò una Lettera al “Padre Giacomo Albe- rione, Superiore Generale della Pia Società San Paolo”, in data 22 giugno. La mattina del giorno 29 giugno, Alberione, circondato da una schiera di Paolini e Paoline, celebrò la Messa Giubilare, nel Santuario della Regina degli Apostoli, eretto per sua iniziativa. Per l’occasione pronunziò una meditazione elevata e profonda, realistica e attuale.
Concluse: “Un cinquantenario, in fondo, è uno dei più forti rintocchi di campana che chiama al rendiconto finale. Che gli angeli possano in quel giorno applicarmi il Beati mortui qui in Domino moriuntur (Ap 14, 13). A tutti: in letizia protendersi in avanti! Santità, apostolato paolino, bel paradiso”.
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