Il processo al cardinale Zen è cominciato questo lunedì e dovrebbe concludersi da qui all’inizio del mese di novembre. Esso dovrebbe permettere alla giustizia di audire non soltanto il vescovo emerito, coi suoi 90 anni, ma anche le altre cinque persone che siedono con lui alla testa di un’associazione pro-democrazia dell’enclave di Hong Kong “612 Humanitarian Relief”.
Secondo il sito vaticanista americano The Pillar, il processo al cardinale sarebbe stato rimandato dopo che la magistrata incaricata del caso, Ada Yim, è risultata positiva al Covid. L’informazione non è stata confermata dalla Giustizia di Hong Kong.
Che cosa quest’ultima rimprovera al cardinale Zen, precisamente? È stato arrestato ufficialmente l’11 maggio scorso per «collusione con potenze straniere», prima di essere immediatamente rilasciato sotto cauzione con il divieto di lasciare il territorio di Hong Kong. Quando però si è presentato davanti alla giustizia del territorio amministrativo speciale, questo lunedì, non è stato incolpato che di irregolarità amministrative osservate nella registrazione di “612 Humanitarian Relief”.
L’associazione gestisce un fondo che soccorre i manifestanti arrestati negli assembramenti che si opponevano alla presa di controllo dell’ex colonia britannica da parte della Cina. Secondo la giustizia locale, l’associazione non avrebbe dovuto essere registrata come chiede la nuova legislazione passata da Pechino nel giugno 2020. Se alla fine non venisse che ritenuta questa sola ammenda, da parte della Giustizia, il cardinal Zen – da anni acerrimo avversario del partito comunista cinese – non rischierebbe che una multa di circa 1.300 euro.
Altre accuse più gravi, però, potrebbero essere addotte dalla Giustizia, che stamane ha rivelato come il fondo abbia permesso di raccogliere 34 milioni di euro. Durante il processo, il procuratore ha affermato che una «parte dei fondi è stata utilizzata per attività politiche ed eventi non caritativi», citando militanti stranieri e gruppi politici. La difesa ha ribattuto che non è pertinente interessarsi alle opinioni politiche che orientano la gestione del fondo.
Corruzione e legami coi servizi americani
Non è quel che pensa Tony Kwok, universitario pro-Pechino specializzato in lotta contro la corruzione. In un articolo pubblicato nella stampa di Hong Kong poco tempo dopo l’arresto del cardinal Zen, si è detto convinto della colpevolezza dell’alto prelato.
Il giurista afferma che il cardinale è attualmente sotto inchiesta per aver ricevuto qualcosa come 3,3 milioni di euro da parte di Jimmy Lai, imprenditore cattolico condannato nel 2021 per aver organizzato manifestazioni illegali contro Pechino. Secondo lui, la polizia cercherebbe di sapere se quel denaro sia stato «utilizzato per fini sovversivi» o per corrompere il cardinale, e non avrebbe ancora sporto denuncia perché sarebbe stata colta di sorpresa dal tentativo di fuga di uno dei sospetti.
Nel medesimo articolo, l’universitario sospetta il cardinale Zen di lavorare per i servizi degli Stati Uniti – e dunque contro la Cina. Egli sottolinea il fatto che il cardinale ha incontrato il presidente George W. Bush due volte personalmente, a suo avviso «contro il parere del Vaticano», e che si è recato oltre-Pacifico cinque volte. Se tali accuse venissero prese in considerazione dalla Giustizia di Hong Kong, le pene detentive in cui incorrerebbe il cardinale farebbero pesare su di lui il rischio di una lunga carcerazione.
Nessun chiaro sostegno da parte del Papa
Sul volo di ritorno dal Kazakistan, papa Francesco ha preferito non rispondere direttamente a una domanda dei giornalisti sulla situazione del vescovo emerito di Hong Kong. Ha semplicemente affermato che il cardinal Zen è «una persona anziana che dice quel che pensa», ed ha invitato a non giudicare la Cina, promuovendo un dialogo paziente. Il Papa ha pure rinnovato il proprio sostegno al cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, incaricato in toto della diplomazia con Pechino (nonché uomo pesantemente criticato dal cardinale Zen, in passato).
Una fonte altolocata in seno alla diplomazia vaticana ha affermato a La Croix che il cardinal Zen avrebbe chiesto al Papa in persona di non intervenire. Dopo il suo arresto, il vescovo emerito di Hong Kong ha abbassato il profilo e non ha più criticato pubblicamente Pechino.
Sostegni e critiche tra i cardinali
In seno alla Chiesa, il cardinale Zen ha raccolto negli ultimi giorni numerosi sostegni, soprattutto da parte del cardinale tedesco Gerhard Müller, il quale ha parlato di un «processo ingiusto», oppure dal cardinale birmano Charles Bo, presidente delle conferenze episcopali di Asia, che ha denunciato uno «Stato di polizia». Il cardinal Marcello Semeraro, intervistato il 19 settembre, ha affermato più timidamente di auspicare «che il cardinale Zen ne venga fuori».
Più recentemente, è il cardinale Fernando Filoni, gran maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro, che ha apportato il proprio sostegno al cardinale Zen in una lettera aperta, descrivendolo come un «autentico cinese» che, secondo lui, «rivendica la libertà che ogni sistema politico e civile dovrebbe difendere»·
Uno dei cardinali vicini al Pontefice, Jean-Claude Hollerich, ha da parte sua espresso uno sguardo più critico sul cardinal Zen in un’intervista con la giornalista americana Bree Dail. L’ex missionario in Giappone ha spiegato di aver sentito in quel periodo delle testimonianze di rifugiati cinesi sull’arcipelago nipponico:
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]