Spesso quando ci si accosta alle ricerche storiche sulla figura di Gesù ci si imbatte in una tale selva di pregiudizi metodologici che si ha l’impressione di essere posti al bivio: “prendere tutto in blocco, acriticamente” oppure “negare tutto in blocco, ipercriticamente”.
Effettivamente c’è una parte di questa letteratura che opera in modo così acre e corrosivo (esponendosi peraltro alle debite contro-requisitorie ermeneutiche) da scoraggiare i lettori, specialmente (ma non soltanto) i neofiti: anche tra le fila di teologi di razza, infatti, e di rango (da Ratzinger in giù), serpeggia ciclicamente un certo scetticismo sulla reale utilità del contributo della ricerca storica su Gesù. Se si nega infatti che i Vangeli abbiano (anche) un contenuto storico, allora bisogna rassegnarsi a dichiarare credibili su Gesù soltanto le non pochissime ma neppure corpose informazioni extrabibliche. Tuttavia, forse non siamo costretti a rigettare in blocco il contributo della critica storica…
È da poco uscito un libro di Adriano Virgili impreziosito dalla prefazione di Gabriele Boccaccini, nella quale si legge, fra l’altro:
L’osservazione di Boccaccini è confermata dallo stesso autore:
Nel mese di luglio ho avuto il piacere personale di intervistare Virgili in merito a questo suo lavoro sulle frequenze di Radio Maria: nel corso del dialogo (il cui audio è disponibile qui sotto), e in particolare rispondendo alla domanda di un ascoltatore, è emerso come la ricerca sul Gesù storico sia stata una delle vie che hanno portato l’autore, ma anzitutto l’uomo, Adriano, da un agnosticismo militante alla gioia della fede.
Virgili è molto serio nell’applicazione del proprio metodo di indagine storica, qualche volta perfino severo (anche agli occhi di persone non del tutto digiune di questi studi): se un fatto è riportato da un’unica fonte o se sa troppo palesemente di costruzione teologica atta a illustrare narrativamente qualche convinzione della nascente comunità cristiana, lui preferisce non assumerlo come elemento per la ricerca storica (senza tuttavia negare con ciò la sua rilevanza dogmatica). Diciamo che preferisce lavorare con qualche strumento in meno anziché con qualcuno “di troppo”.
A fronte di questo, un capitolo sorprendente, nel suo libro, è quello sui miracoli: intanto perché, sì, ha dedicato un capitolo specifico a questo argomento, che spesso invece viene rigettato dagli storici (in base al presupposto positivistico che un evento soprannaturale sia per definizione impossibile, e che dunque nulla di storico possa essere miracoloso). E poi perché, nella fattispecie, la sua trattazione offre importanti spunti per meglio capire la portata dei miracoli narrati nei Vangeli.
Se Gesù non avesse veramente operato miracoli, osserva dunque Virgili, non avrebbe potuto riscuotere quel successo che tradizioni del tutto indipendenti (e perfino in conflitto fra loro quanto agli interni) gli attribuiscono: che Gesù abbia compiuto miracoli non è dunque semplicemente “possibile”, è un postulato della sua storia, è storicamente necessario.
O meglio: è storicamente indubitabile – perché si tratta di un postulato narrativo senza il quale il personaggio del Nazareno non sta in piedi – che attorno a Gesù un grande numero di persone fosse convinto di star assistendo a dei miracoli. Che quelli fossero miracoli o meno, invece, evidentemente non spetta allo storico dirlo, e questo per statuto: l'affermazione “questo è un miracolo!” è appannaggio del singolo individuo e non di una qualsivoglia comunità, perché è privilegio della fede l'emetterla.
A questo punto Virgili osserva che proprio in ragione della loro pubblicità, e dunque del coinvolgimento del popolo in essi, i miracoli vanno distinti in due principali tipi:
Quelli appartenenti al secondo novero sono normalmente narrati in cornici meno ampie di quelle dei primi, solitamente avvengono tra pochi testimoni o addirittura tra i soli discepoli, «il che, come è stato notato da alcuni, non depone molto a favore della loro storicità» (ivi, 204).
Virgili ricorda che nell’evo tardo-antico si predicarono fatti straordinari e poteri taumaturgici anche relativamente ad altri personaggi (è notissimo il caso di Apollonio di Tiana, coevo di Gesù – ma la cui vita fu scritta da Filostrato nel III secolo), però in nessun caso si trova questa peculiarità:
Virgili restituisce in una succinta sintesi il racconto di come, da Karl F. Bahrdt in qua, passando soprattutto per l’opera demitizzatrice contemporanea di Rudolf Bultmann, i miracoli siano stati crivellati di critiche iperrazionalistiche:
Quanto ci sia di razionale in questo “razionalismo” può capirlo da sé chiunque abbia mai visto un mare appena appena mosso: Cristo doveva essere un surfista da oro olimpico, se riusciva a stare in piedi su un relitto alla deriva laddove i suoi amici non erano al sicuro sulla barca. A parziale giustificazione di Bahrdt c’è il fatto che, delle molte città per le quali il suo caratteraccio lo portò a peregrinare (prima di finire la vita come gestore di un biliardo, animatore di società segrete e scrittore pornografico) la più vicina a un qualche mare fu Halle, comunque a svariate centinaia di km dall’acqua marina.
Virgili non infierisce su questi personaggi corrosi dal pregiudizio iperrazionalistico, il che conferisce al suo volume una signorilità e una leggibilità che sarebbero state altrimenti offuscate dal sospetto di intenti apologetici. L’Autore si sofferma poi sulle posizioni (assai distanti) di Bultmann e Verbes, per poi indicare in John P. Meier uno «tra gli studiosi che in tempi recenti hanno dedicato maggiore attenzione alle storie di miracoli con protagonista Gesù»:
Il problema di fondo, quando si parla di miracoli, è sempre la concezione del soprannaturale che vi sta sottesa, ovvero il giudizio previo che ammetta (o neghi) che al mondo possa intervenire qualche fenomeno di sospensione o di superamento delle leggi della natura. Se si dà un’ammissione di questa possibilità, trasformare l’acqua in vino o placare uno specchio d’acqua agitato dal vento non dovrebbe essere più difficile che permettere a un cieco di vedere.
Non a caso anche Virgili, nella presentazione del volume, ha voluto scostarsi un tantino dalla tendenza degli storici a squalificare in blocco i “miracoli sulla natura”.