Da San Francesco a Santa Rita, ecco chi sono i santi più innamorati di Cristo. Quei santi che nel momento in cui sta sopraggiungendo la morte, nel mezzo della loro agonia, rivelano ancor più l'amore incondizionato per il Signore. Padre Antonio Maria Sicari ne traccia il profilo nel libro "Come muoiono i santi" (edizione Ares).
1) Le stimmate di San Francesco d'Assisi
L’esempio di san Francesco d’Assisi è quello più noto e affascinante. Il suo primo biografo, Tommaso da Celano, scrive: «I frati che vissero con lui sanno molto bene come ogni giorno, anzi ogni momento, affiorasse sulle sue labbra il ricordo di Cristo, con quanta soavità e dolcezza gli parlava, con quale tenero amore discorreva con Lui. Era davvero molto occupato con Gesù. Gesù portava sempre nel suo cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra».
Particolarmente caratteristico fu, poi, nel santo di Assisi, il fenomeno delle stigmate, segno di un amore così intenso che, dopo aver impregnato l’anima, ne lacera anche il corpo anche durante la sua agonia terrena.
2) Il Cantico di San Giovanni della Croce
Questo santo, considerato il più grande poeta d’amore della lingua spagnola, in un momento cruciale della storia cristiana, ebbe la missione di «salvare» e rimettere al centro della riflessione teologica e spirituale il biblico "Cantico dei Cantici".
Sappiamo che quando i confratelli, radunati attorno al suo letto, cominciarono a recitare le preghiere per gli agonizzanti, il santo li interruppe dicendo al suo superiore:
- "Padre, non ho bisogno di questo, mi legga qualcosa del Cantico dei Cantici".
E mentre quei versetti d’amore risuonavano nella cella, Giovanni, incantato, sospirò:
- "Che perle preziose!”.
A mezzanotte, quando suonarono le campane del mattutino, esclamò:
- "Gloria a DIo, ando' a cantarlo in cielo!".
Poi guardò fissamente i presenti, come per salutarli, baciò il crocifisso e disse:
- "Affido nelle tue mani il mio spirito".
Così morì a Ubeda il 14 dicembre 1591, e i presenti raccontarono che una luce dolce e un intenso profumo avevano riempito la cella.
3) Santa Teresa Margherita Redi e il Sacro Cuore
Pur avendo scelto una forma di vita claustrale si trovò a essere l’infermiera di tutte, vivendo la sua vocazione contemplativa nel tenere in sé, strettissimamente legati, l’amore per Dio e l’amore per il prossimo (i due amori che si sono unificati nella persona di Gesù, nostro Dio e nostro prossimo).
Quando fu lei ad ammalarsi gravemente, nessuno quasi se ne accorse: il medico chiamato per lei se la sbrigò dicendo che si trattava di «una malattia di scarsa conclusione». In realtà era in atto una peritonite, e la cancrena era già cominciata. Così suor Teresa Margherita Redi morì nel suo letto, cercando di stare rivolta verso la cappella del Santissimo Sacramento e stringendosi al petto un’immagine del Sacro Cuore. Dopo i funerali, il corpo fu deposto in un umido sotterraneo nell’attesa della sepoltura, ma nessuno ebbe il coraggio di seppellirlo, dato che sembrava acquistare, a ogni ora che passava, una nuova giovinezza, e un profumo inatteso aveva invaso la cripta. Il corpo è incorrotto ancor oggi.
4) Santa Maria di Gesù crocifisso
Dio aveva donato alla carmelitana Mariam Baouardy una «vita meravigliosa»: un’esistenza tutta intrisa di miracoli e di prodigi straordinari.
La morte prese la santa a trentatré anni, mentre faticava alla fondazione di un monastero a Nazareth. Diceva di sentirsi sempre più attratta da Dio, «sempre più perseguitata dall’amore». Pregava: «Non posso più vivere, o Dio, non posso più vivere. Chiamami a te!».
Un giorno cadde su una cassetta di gerani fioriti, e si ruppe il braccio in più punti tra il polso e il gomito. Il giorno seguente si era già sviluppata la cancrena.
Allora disse contenta:
– Sono sulla via del cielo. Sto per andare da Gesù.
Soffrì tutto il giorno, ma continuava a ripetere:
– Vieni, Signore Gesù, vieni!
Alle cinque del mattino seguente le sembrò di soffocare venne la chiamata la comunità. Le suggerirono l’ultima preghiera.
– Gesù mio, misericordia!
Ripeté:
– Sì, misericordia!
E morì baciando il crocifisso.
5) "Ti amo!”. Le ultime parole di Santa Teresa di Lisieux
In pochi conoscono l'agonia di Santa Teresa, grande visionaria innamorata di Gesu'. Quando contrasse la tubercolosi, a chi le chiedeva se le sue sofferenze si fossero fatte insopportabili rispondeva:
– No, posso ancora dire al Buon Dio che lo amo e trovo che sia abbastanza... Io amo tutto ciò che il Buon Dio mi manda.
Ebbe una lunga e penosissima agonia. Raccontò la sorella: «Un tremendo rantolo le lacerava il petto. Aveva il viso congestionato, le mani violacee, i piedi freddissimi, e tremava con tutto il corpo. Durò così alcune ore. Verso sera guardò la sua priora e le disse: “Madre mia, non è anco- ra l’agonia? Dunque non sto ancora per morire?”.
La priora le rispose che forse il Buon Dio voleva attendere ancora un poco.
Disse: “E allora, avanti!... avanti! ... Non vorrei soffrir meno a lungo...”.
Poi guardò il suo crocifisso e disse: “Io lo amo! Mio Dio, io ti amo!”». Così morì una donna santa.
6) La felicità di Santa Teresa de Los Andes
Non morì di dolore, ma di «passione» (quella stessa di Cristo) e di amore. La crisi cominciò il Giovedì santo del 1920. Aveva la febbre altissima, e benché si alternassero al suo capezzale almeno sei medici, non riuscirono a diagnosticare in tempo che si trattava di tifo.
Ricevette l’estrema Unzione e, per appagare il suo sogno, la priora le concesse di emettere i voti religiosi in articulo mortis, anche se non aveva ancora completato il noviziato. Così Juana, divenuta suor Teresa di Gesù, emise la sua professione e ne era così felice che volle ripetere la formula per tre volte, anche se non aveva più nemmeno la forza di firmare il testo che aveva appena letto.
Poi venne la pace. Il sorriso tornò sul suo volto e lo sguardo giunto. La udirono esclamare tutta emozionata:
– Il mio Sposo!
E quando morì le consorelle ebbero l’impressione «che s’immergesse in una felicità immensa».
7) Il regalo di Gesù a Santa Rita da Cascia
Santa Rita trascorse molti anni gravemente inferma, sul suo povero giaciglio, attorniata dall’affetto e dalla venerazione delle monache e di tutto il popolo di Cascia. Negli ultimi tempi non aveva nemmeno la forza (e forse neppure la necessità) di nutrirsi: si diceva che ormai le bastasse solo l’Eucaristia. La sua morte fu abbellita da un episodio che ha fatto storia e viene così' raccontato:
«Quindi si compiacque Dio Nostro Signore di dare segni evidenti dell’amore ch’egli portava alla sua diletta sposa. Nel più aspro rigore dell’inverno, essendo ogni cosa ricoperta di neve, una buona parente fu a visitarla; nel partire le richiese se da casa sua voleva cosa alcuna. Rispose Rita che avrebbe desiderato una rosa e due fichi del suo orto. Sorrise la buona donna, credendo ch’ella delirasse per la violenza del male, e se n’andò. Giunta a casa ed entrata ad altro fine nell’orto, vide sulle spine spogliate d’ogni verdura e cariche di neve una bellissima rosa, e sulla pianta due fichi ben maturi; e ben rimasta attonita, per la contrarietà della stagione e per la qualità di quel freddissimo clima, veduti il fiore e i frutti miracolosi, li colse e a Rita li portò».
Non fu solo un miracolo cortese, ma un mistico scambio: per tanti anni Rita aveva portato sulla sua fronte la dolorosa ferita del- la spina; ora al termine di quella passione, Cristo le donava giustamente una rosa.
8) Santa Faustina Kowalska e i messaggi della Misericordia
Gesù la chiamava e la trattava come «una segretaria» che doveva trascrivere e comunicare. Non mancarono evidentemente consorelle e conoscenti che, invece, la definivano «stravagante, isterica e visionaria».
Così quando, a trentatré anni, Faustina si ammalò gravemente, nemmeno i suoi mali vennero presi troppo sul serio. E ci fu chi le fece pesare la sua evidente «inutilità». Ma fu così che Faustina poté sperimentare, nella carne viva, l’incontro tra la miseria delle creature e la tenerezza del Creatore, divenendo anche lei «tutta misericordia».
Il più bel ricordo che resta di lei – e che risale a quando non aveva ancora avuto alcuna rivelazione – è la testimonianza di una giovane consorella che così la descrive: «Qualunque cosa facesse avevamo l’impressione che lo facesse per qualcuno di unico. Amava il Signore Gesù così teneramente come gli sposi, o piuttosto i fidanzati si amano in questo mondo. Non so come esprimerlo...Pensava solo a Lui».
9) Il martirio di Oscar Romero
Struggente e carico di significato eucaristico è il martirio dell’arcivescovo di San Salvador, Oscar Romero, descritto con le mani ancora aggrappate al corporale (il quadrato di tela di lino, dove vengono poggiate le specie eucaristiche del corpo e sangue di Cristo), e il vino e le ostie, che avrebbe dovuto consacrare, intrise del suo sangue. «Tutti i martiri – commenta Padre Sicari – mescolano il loro sangue con quello di Gesù: muoiono della sua Morte e risuscitano per la sua Vita. Ma quelli che muoiono fisicamente abbracciati all’Eucaristia, e quasi stringendosela sul cuore, o addirittura celebrando il Sacrificio eucaristico sono dei privilegiati. Diventare eucaristia per i propri fratelli, infatti, è il compito chiesto a tutti i cristiani, ma realizzarlo con “evidenza fisica” è il dono straordinario che la Chiesa intera ha ricevuto dal Vescovo Romero» (La Stampa).