Già corrispondente de L’Express a Mosca, autore della prima biografia francese di Gorbačëv (Perrin, 2014), Bernard Lecomte racconta il singolare incontro che nel dicembre 1989 ebbe luogo tra il capo della morente Unione Sovietica e il capo visibile della Chiesa cattolica. Com’è andato l’incontro tra i due? Ce lo racconta lui stesso.
Philippe de Saint-Germain: In cosa la visita di Michail Gorbačëv a Giovanni Paolo II, il 1º dicembre 1989, ha costituito un evento eccezionale? Si può dire che quell’incontro abbia cambiato la faccia della terra?
Bernard Lecomte: Quando arrivò al potere, l’11 marzo 1985, Michail Gorbačëv non sapeva praticamente nulla di temi religiosi. Scoprì quell’universo in occasione del millenario dal battesimo della Rus’, nel 1988, e in quella circostanza scoprì anche il cattolicesimo. Quando gli si presentò l’opportunità di incontrare Giovanni Paolo II lui fu d’accordo, ma fu la data dell’incontro – tre settimane dopo la caduta del Muro di Berlino – che era improponibile. Così un poco per caso, ma forse non del tutto, il segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e il capo visibile della Chiesa cattolica romana si ritrovarono nel palazzo apostolico vaticano. La cosa più stupefacente è che quelle due personalità notevoli si stavano scoprendo. Va da sé che non si conoscessero, le foto parlano: si vede Gorbačëv felice di essere lì, Giovanni Paolo II che non nasconde il suo piacere e anzi lo manifesta salutando il proprio ospite in russo. Già la condivisione di quella gioia fu un evento.
La cosa più importante resta però quello che si dissero: i due uomini si resero conto con sorpresa di essere molto vicini sulla visione dell’Europa. Si sa che Giovanni Paolo II ha lungamente sviluppato la sua immagine dell’“Europa che respira coi due polmoni”, quello orientale e quello occidentale; è noto pure che Gorbačëv sostenesse l’idea di una «casa comune europea». Quel giorno si accorsero che le loro due visioni potevano accordarsi. Per loro, questa Europa doveva aprirsi, aveva bisogno della propria cultura e che questa non fosse dipendente da quella degli Stati Uniti. Entrambi temevano anche che alla fine dello scontro geopolitico e diplomatico ancora in corso gli americani non sbarcassero con i McDonald’s e Walt Disney. Per Gorbačëv e Giovanni Paolo II, l’Europa riconciliata con sé stessa non doveva essere subalterna a nessuno.
Ph. de S.-G.: Questo significa che Gorbačëv ha rotto con l’imperialismo sovietico e col suo materialismo totalitario?
B. L.: Sì. Per Gorbačëv il tempo è scorso veloce, dal suo arrivo al potere nel 1985, all’età di 54 anni. Egli comprese rapidamente che bisognava rompere col passato, con l’operazione glasnost e con la perestroika ha fatto fare passi da gigante al suo paese e alla classe dirigente. Certo, nel 1989, sul piano strettamente politico, il Russo volle conservare il potere al Partito Comunista, ma al tempo stesso volle liberare il Paese dal giogo sovietico, in particolare per quanto concerne la cultura. L’uomo è cambiato. Ciò detto, il suo incontro col Papa è emblematico soprattutto per le promesse che conteneva, per «quel che avrebbe potuto causare». Se i due uomini hanno ottenuto entrambi quel che volevano – il riconoscimento della perestroika uno, la libertà religiosa l’altro –, il peso delle dure realtà politiche avrebbe ripreso il sopravvento. Bisogna ricordarsi che alla fine dell’incontro, quando Gorbačëv si rallegrò per «questo incontro fra due Slavi» si liberò del testo che gli avevano preparato per andare a braccio e invitò il Papa a recarsi a Mosca. Una prospettiva evidentemente impossibile, tanti erano gli ostacoli che permanevano… e che tornano a dispiegarsi oggi nel disegno ideologico di Vladimir Putin.
Ph. de S.-G.: Popolare in Occidente, Gorbačëv è disprezzato in Russia. Come biografo di Gorbačëv, lei direbbe che sia stato un profeta soverchiato dagli eventi, un pragmatico al rimorchio della storia, un genio incompreso?
B. L.: Nulla di tutto questo! Michail Gorbačëv è un UFO nella storia politica d’Europa. Non fu un grande politico come De Gaulle o Churchill, non fu sovrumano. Io ho avuto occasione di incontrarlo più volte, di cenare con lui, di fargli molte domande, e posso affermarlo: era un uomo normale che ascoltava e rispondeva. Il fatto è che nell’universo sovietico delle democrazie popolari questo profilo è improbabile. Il dirigente di una democrazia popolare è più o meno brutale, più o meno colto: non è simpatico e non ascolta. Gorbačëv era semplicemente umano. Inoltre, voleva la pace. Senza abusare della parola, si potrebbe dire che fosse un umanista: faceva entrare l’uomo nei suoi calcoli, nei suoi progetti politici. Ecco perché con Giovanni Paolo II accadde qualcosa.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]