I cristiani di Iraq, ma anche quelli dei paesi vicini, rischiano di scomparire dal Medio Oriente. Questa possibilità è stata evocata già a più riprese, nel corso delle guerre e delle violenze che non hanno cessato di mortificare la regione negli ultimi decenni, specialmente da parte del cardinale Louis Raphael Sako. Il patriarca iracheno ha reiterato la messa in guardia durante l’apertura dell’annuale sinodo dei vescovi caldei, il 21 agosto scorso, a Baghdad.
Al termine di un discorso introduttivo imperniato su più punti essenziali della vita della Chiesa – ruolo dell’episcopato e collegialità, accompagnamento paterno dei preti, vocazioni sacerdotali e religiose, liturgia –, il cardinale ha additato la necessità di un cambio di mentalità e del “sistema nazionale” del suo paese in cui «l’eredità islamica ha fatto dei cristiani dei cittadini di serie B e permette l’usurpazione dei loro beni», ha ricordato.
Mentre il settarismo e la prevalenza di interessi partigiani hanno lasciato prosperare la corruzione e minato l’efficacia delle istituzioni, il patriarca ha perorato con vigore la causa di una rifondazione delle leggi e della Costituzione «lungi dal nepotismo e dal favoritismo», perché a tutti gli Iracheni possa essere garantita la piena cittadinanza, quale che sia la loro appartenenza religiosa. L’avvenire dell’Iraq e la permanenza dei cristiani su quel suolo dipendono dal cambiamento che papa Francesco ha invocato nel marzo 2021, quando è venuto nel Paese.
Cristiani radicati ma sempre provati
Quello storico viaggio resta come un momento-cerniera per i cristiani, che rappresentano circa l’1% della popolazione. Da 1,5 milioni nel 2003, i fedeli sarebbero oggi poco sopra la soglia dei 400mila – l’Œuvre d’Orient cita una forchetta che oscilla fra i 300mila e i 500mila. Il caos dell’invasione americana e gli anni di instabilità che le hanno fatto seguito hanno favorito un clima di marginalizzazione e di violenze quotidiane di cui sono stati l’obiettivo. A partire dal 2014, le terribili persecuzioni dello Stato Islamico hanno colmano la misura dello sgomento delle comunità martirizzate e costrette, nella gran parte dei casi, all’esilio.
Dopo questi decenni di terrore, la visita storica compiuta dal successore di Pietro è stata vissuta come una consolazione; rendendo omaggio al loro coraggio in mezzo alle rovine di Mosul, salutandoli con affetto a Qaraqosh, papa Francesco ha reso tangibile la prossimità della Chiesa universale riguardo a loro, e li ha incoraggiati a restare nel loro paese per costruirvi un avvenire di pace con i loro compatrioti musulmani.
Inquietudini che permangono
Le parole del Papa hanno fatto spostare le linee sul terreno interreligioso. Numerose testimonianze lo affermano: sono state aperte brecce nei muri della diffidenza, gli sguardi sono cambiati, i cristiani sono considerati ora con più rispetto. Altro segno di concordia in tal senso: i beni sottratti durante l’occupazione dell’ISIS sono stati a poco a poco restituiti ai cristiani, in virtù di una legge votata nel 2021 e sostenuta dalle autorità sciite.
Ci sono dunque piccoli passi in avanti, ma che non bastano a cancellare le inquietudini dei cristiani sul loro avvenire in Iraq, dove le logiche comunicati restano ancora ben ancorate e in cui le estorsioni degli jihadisti – talvolta sostenute da parte della popolazione – hanno lasciato profonde ferite. La situazione attuale non è tale da placare i timori. I partiti politici non sono ancora riusciti a intendersi per formare un governo, laddove le elezioni hanno avuto luogo nell’ottobre 2021. Manifestazioni e confronti tra fazioni rivali ritmano la vita della capitale e congelano la paralisi istituzionale, economica e sociale del Paese.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]