Papa Francesco invita a una “visibilità liturgica” dei ministeri, in un messaggio rivolto «ai vescovi, ai preti e ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici» in occasione del 50º anniversario del motu proprio di Paolo VI Ministeria quædam, del 15 agosto 1972, che aveva riformato la disciplina della tonsura, degli ordini minori e del suddiaconato nella Chiesa latina. Dopo aver (l’anno scorso) aperto l’accesso del lettorato e dell’accolitato alle donne, e dopo aver istituito il ministero di catechista, papa Francesco invita gli episcopati locali a condividere le loro esperienze.
Nel suo messaggio papa Francesco sottolinea che il motu proprio di Paolo VI, pubblicato «nel contesto fecondo, ma non privo di tensioni, che aveva seguito il Concilio Vaticano II», può avere «la forza di ispirare ulteriori sviluppi». Il papa argentino aveva modificato, col motu proprio Spiritus Domini, del 10 gennaio 2021, il canone 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico, al fine di permettere «l’accesso delle persone di sesso femminile al ministero istituito del Lettorato e dell’Accolitato», che fino ad allora si applicava automaticamente a seminaristi in cammino verso il sacerdozio. Poi aveva istituito il ministero di catechista col motu proprio Antiquum ministerium, del 10 maggio 2021.
Papa Francesco presenta questo tema come di una «importanza fondamentale per la vita della Chiesa», perché «non c’è comunità cristiana che non esprima ministero». «Ogni ministero è una chiamata di Dio per il bene della comunità», spiega il vescovo di Roma poggiandosi sulla Lettera di san Paolo ai Corinzi e sul racconto degli Atti degli Apostoli, dimostrando che, fin dalle origini del cristianesimo, l’articolazione dei ministeri si presenta sotto una forma «dinamica, vivace, flessibile come l’azione dello Spirito».
Ha dato l’impressione di alludere a certe rivendicazioni del Cammino Sinodale tedesco, ma senza nominarlo esplicitamente, papa Francesco quando ha sottolineato che il discernimento sulle strutture ministeriali deve
Apertura a esperienze di ritorno
La difficoltà nel definire il perimetro di azione degli “assistenti pastorali” era stata uno dei pomi della discordia fra Roma e certi episcopati, dopo il Concilio Vaticano II, specialmente in Svizzera, in Germania e nei Paesi Bassi, dove l’essenza del sacerdozio presbiterale si è talvolta trovata rimessa in discussione.
Papa Francesco giudica tuttavia ancora pertinente la possibilità lasciata da Paolo VI alle conferenze episcopali di «domandare alla Sede Apostolica l’istituzione dei ministeri ritenuti necessari o molto utili nelle loro regioni», una facoltà menzionata nel rito di ordinazione dei vescovi.
Papa Francesco sottolinea in particolare «la complementarietà del sacerdozio comune e del sacerdozio ministeriale», e la necessità di una «visibilità liturgica» dei ministeri per collocarsi nell’«ecclesiologia del Concilio Vaticano II». Egli invita a sperimentare differenti forme ministeriali sperando che alcune esperienze possano giungere a maturità, sottolineando (come fa spesso) che «la realtà è superiore all’idea» e che «il tempo è superiore allo spazio»: altrimenti detto, secondo il pensiero di papa Francesco non è necessario attendere che tutti gli aspetti dei ministeri siano totalmente definiti per aprire la via all’«azione dello Spirito del Signore».
«L’ossessione dei risultati immediati» rischierebbe di «cristallizzare i processi e, talvolta, di pretendere di fermarli» – è la preoccupazione di papa Francesco. Nel «clima del cammino sinodale» vissuto attualmente a livello mondiale, il papa formula voti per un «dialogo su questo tema con le conferenze espicopali» al fine di tornare sulle esperienze vissute nell’ultimo cinquantennio.
Papa Francesco si smarca da Giovanni Paolo II
Questa proposta di dialogo, «secondo modalità che saranno definite» (scrive il Papa senza dire di più), può apparire come una risposta a certe rivendicazioni espresse nel corso del Cammino Sinodale tedesco. Il messaggio del Papa si colloca pure nel lignaggio del Sinodo sull’Amazzonia, durante il quale l’idea di ministeri specifici per i popoli di quella regione era stata abbordata.
Più che sull’ordinazione di uomini sposati, è sulla diversità dei ministeri laicali che il Papa apre la via ad evoluzioni e a sperimentazioni, nel solco di Paolo VI, laddove Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si erano mostrati più guardinghi.
Nella sua esortazione Christifideles laici (1988), che faceva seguito al Sinodo del 1987 sulla vocazione e sulla missione dei laici nella Chiesa, Giovanni Paolo II aveva messo in guardia contro l’uso indiscriminato del termine “ministero”, additando il rischio di confondere e livellare tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale, o ancora la tendenza alla clericalizzazione dei laici. Egli aveva annunciato allora la creazione di una commissione speciale per «studiare in maniera approfondita i diversi problemi teologici, liturgici, giuridici e pastorali sollevati dall’abbondante fioritura attuale dei ministeri affidati ai fedeli laici». La commissione non ha mai pubblicato risultati.
Relativamente discreto sul tema dei ministeri istituiti, Benedetto XVI aveva da parte sua sottolineato, in un messaggio rivolto al Forum internazionale di Azione Cattolica, nel 2012, l’importanza di una «comunità vivente, ministeriale e missionaria», invitando i fedeli laici ad esercitare il loro «contributo specifico alla missione ecclesiale, nel rispetto dei ministeri e dei compiti che ciascuno ha nella vita della Chiesa, e sempre in cordiale comunione con i vescovi».
Segnato dall’esperienza dell’America latina, papa Francesco apre la via ad altri impulsi, ma è probabile che alcuni episcopati restino indietro, come lo sono sulla questione del diaconato permanente, un ordine poco noto in alcuni Paesi (specialmente in Africa), laddove i diaconi sono attori essenziali della vita della Chiesa in altri territori, come in Messico o in Francia. Gli episcopati locali evolveranno dunque sulla questione dei ministeri laicali, probabilmente a velocità molto variabili.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]