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I preziosi consigli di 3 monaci per vincere malinconia e accidia

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Marzena Wilkanowicz-Devoud - pubblicato il 23/08/22
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Non avete voglia di fare niente? Fatica mista a profonda tristezza? Soffrite forse di accidia, un disturbo spirituale che può colpire ogni cristiano. Ecco i consigli di tre grandi monaci che hanno affrontato e superato questo male

L’accidia è uno strano stato dello spirito, è una sorta di tristezza e malinconia che ha colpito anche i primi monaci cristiani, quelli che avevano scelto di rifugiarsi nel deserto per vivere più intensamente, nella solitudine o in piccole comunità, il proprio ideale di perfezione spirituale.

Questi uomini a volte erano toccati da uno sconforto che li lasciava al contempo preoccupati, insoddisfatti, tristi e stanchi. Il male definito dalla Chiesa accidia è quindi quello che oggi conosciamo come ansia e depressione.

Questo male potrebbe allora assumere forme diverse: irritazione nei confronti dei fratelli e della vita monastica, mancanza di concentrazione nella lettura e nella preghiera, grande affaticamento, fame e sonno improvvisi, desiderio di novità, desiderio incontrollabile di trovarsi in un altro luogo. Il “demone dell’accidia, chiamato anche demone di mezzogiorno, è il più pesante di tutti i demoni”, avvisa Evagrio Pôntico, un monaco del IV secolo che viveva nel deserto egiziano.

“Attacca il monaco verso l’ora quarta e lo circonda fino a verso l’ora ottava. Inizia dandogli l’impressione che il sole sia molto lento nel suo corso, o perfino immobile, e che la giornata sia di cinquanta ore. Poi lo esorta a guardare senza sosta dalla finestra, lo getta fuori dalla sua cella per esaminare il sole e vedere se l'ottava ora si avvicina, infine lo esorta a gettare gli occhi da ogni lato, in attesa della visita di un fratello. Gli fa odiare il suo posto, il suo modo di vivere, l'opera delle mani; gli suggerisce che non c'è più amore tra i fratelli, che non può contare su nessuno... "

L’accidia è una sorta di torpore che paralizza la fede e va combattuto. Sì, ma come? Alcune idee vengono da questi tre grandi monaci che hanno lottato contro questo male.

1 Sant’Antonio abate

Ascetico, come molti anacoreti dei primi secoli del cristianesimo Sant’Antonio si ritirò nel deserto per trovare nel silenzio e nella solitudine le condizioni ideali di unione con Dio. Come Cristo, è stato nel deserto che ha messo alla prova la sua fede. Malgrado la sensazione di esaurimento psichico e perfino di pazzia che lo affliggeva, ha deciso di resistere alle visioni imposte da Satana: “Ho visto tutte le reti del demonio instaurate sulla Terra”.

Il diavolo ha cercato di distrarlo dalle sue preghiere, esortandolo a rinunciare al digiuno a cui si era legato e in un sogno a cedere alla gola. Antonio ha allora capito che l’ascetismo non deve mai essere considerato un fine in sé. La salvezza viene da Dio. Come spiegava dando questo consiglio prezioso,

“Custodisci ciò che ti comando; ovunque andrai, abbi sempre Dio davanti agli occhi; qualunque cosa tu faccia, tieni presente la testimonianza della Sacra Scrittura, e ovunque tu sia, non muoverti facilmente. Fai queste tre cose e sarai salvo”.

2 San Pier Damiani

Il monaco eremita Pier Damiani si dedicò fin da molto giovane alla preghiera, all’ascetismo e allo studio delle Sacre Scritture, alla contemplazione e alla predicazione.

Nelle sue numerose opere che lo hanno reso Dottore della Chiesa, il santo insiste su certe manifestazioni del male. Sorpreso dalla sonnolenza durante la lettura, descrive questo “inevitabile peso delle palpebre a cui neanche un santo dal grande temperamento resiste”. Per lui, il rimedio risiede nella carità, che porta alla vera gioia:

“La speranza vi porti alla gioia! La carità susciti il vostro entusiasmo! E in questa ebbrezza l’anima dimentichi che soffre per fiorire camminando verso ciò che contempla dentro di sé”.

3 San Romualdo 

San Romualdo da Ravenna ammise di aver sofferto di accidia. Il male si era manifestato in lui soprattutto durante l’apprendimento meccanico dei Salmi. Di fronte alla ribellione del corpo nei confronti delle costrizioni della vita monastica a cui era sottoposto, ripeteva che non bisognava cedere, ma al contrario aumentare veglie, preghiere e digiuni.

Per lui, il monaco lavoratore doveva ricordare che non c’è altro riposo se non quello eterno. Visto che le ore del mattino sono quelle in cui l’accidia colpisce con maggiore frequenza, i monaci devono essere occupati con la preghiera.

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