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L’ombra lunga della fatwa: Salman Rushdie ostaggio dell’odio islamico

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 18/08/22
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Nessun rimpianto per l’attentatore di origine libanese. “Sono sorpreso che sia ancora vivo”. Ecco dove nasce l’intolleranza contro lo scrittore

Si è detto «sorpreso» per non averlo ammazzato: a raccontarlo è Hadi Matar, 24 anni, originario del Libano, che venerdì 12 agosto ha pugnalato lo scrittore Salman Rushdie per dieci volte, ferendolo gravemente.  

“Rispetto l’ayatollah”

In un’intervista esclusiva al New York Post, rilasciata dal carcere di Chautauqua, ha spiegato le ragioni del suo gesto: «Rushdie ha attacco l’Islam, non è una brava persona».

«Non mi piace quell’uomo, ha attaccato le credenze degli islamici, il loro sistema di valori» ha aggiunto. Dopodiché ha affermato di aver letto solo «un paio di pagine» del romanzo «Versi satanici», la sua opera più celebre, che gli è anche costata la fatwa dell’ayatollah Rudollah Khomeini. «Rispetto l’ayatollah. Penso che sia una grande persona» ha commentato Matar al riguardo.

Le conferenze su YouTube

Nel corso dell’intervista ha negato poi di essere in contatto con i pasdaran iraniani, i volontari del corpo paramilitare iraniano. Ha ammesso però di essere «ispirato» per l’attacco guardando video dello scrittore su YouTube. «Ho visto molte delle sue conferenze. Non mi piacciono le persone false come lui» (Corriere della Sera, 17 agosto).

Cosa è una fatwa 

L’atteggiamento rabbioso degli islamici contro Salman Rushdie è legato alla “fatwa” emessa per «Versi satanici», in cui lo scrittore ha svolto una rivisitazione romanzata in chiave onirica dell'episodio dell'ispirazione di Maometto . Ma che cosa è, esattamente, una fatwa? Nel mondo dell’Islam, è una decisione legale riguardo la legge islamica presa da una autorità religiosa riconosciuta per la sua saggezza. Tuttavia, una fatwa non coincide sempre con una condanna penale: queste decisioni servono anche a giudicare i cambiamenti delle società islamiche.

La fatwa contro Rushdie: cosa è accaduto

Nel caso specifico di Salman Rushdie, una fatwa negativa fu emessa dall’ayatollah Khomeini contro di lui nel 1989 ed è in vigore ancora oggi. Il politologo francese Dominique Moïsi ha spiegato al Corriere della Sera che “c’è stato un momento di apertura e moderazione in cui le autorità iraniane volevano sospenderla, ma c’erano divisioni tra gli ayatollah e alla fine ha prevalso l’ala più conservatrice. Nel 1998 il governo iraniano dichiarò che non avrebbe mai appoggiato un tentativo di assassinio verso Rushdie, ma la fatwa non venne comunque ritirata”. 

Immutabile dopo la morte di Khomeini

Il punto è che per gli islamisti radicali essa vale per sempre, a meno che non venga ritirata dall’autorità religiosa che l’ha emessa: “Con la morte di Khomeini nel 1989, l’editto è stato reso immutabile. Ancora nel 2019 la stessa guida suprema, l’ayatollah Khamenei ha definito ‘irrevocabile’ il verdetto di Khomeini perché si basa su ‘versi divini'” (Il Sussidiario, 13 agosto).

“Joseph Anton”

Nel libro “Joseph Anton” (in Italia per i tipi di Mondadori) Salman Rushdie ha provato a chiudere i conti con la fatwa e un passato che lo ha molto tormentato. Per andare oltre una paura durata più di un decennio. Nel libro lo scrittore ha raccontato i terribili anni passati a sfuggire alla fatwa dell'ayatollah Khomeini. Insomma, quel libro non è stato solo un manifesto in difesa della libertà di espressione, ma anche la narrazione definitiva di un pezzo di vita difficile e sofferto, quello passato appunto sotto lo pseudonimo di Joseph Anton.

“Lo guardavo con distacco”

«Per anni mi ha dato fastidio che qualsiasi cosa io scrivessi o facessi, le persone continuassero a riportarmi indietro, a voler discutere solo dei Versi satanici... E poi quello seguito alla condanna da parte del governo iraniano era stato un periodo molto difficile, non ero riuscito a metabolizzarlo a guardarlo con distacco. Ora ad anni di distanza era il momento giusto» (Il Giornale, 2012).

Fantasmi, in realtà, che Rushdie si è trascinato fino ad oggi. E l’attentato subito testimonia che la sua battaglia per la libertà d’espressione e contro le intolleranze (Aleteia, 9 luglio 2020) deve fare ancora molta strada.

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