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La tragedia delle donne afghane: emigrare per poter vivere

migrantes afganos en España
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Benito Rodríguez - pubblicato il 16/08/22
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Afghane fuggite dai talebani si integrano in Spagna grazie a una rete di volontarie

È passato un anno dal ritorno al potere dei talebani in Afghanistan. Tra i loro primi obiettivi c’erano le donne, soprattutto quelle che lottavano per i loro diritti e le loro libertà.

Fatima ha dovuto fuggire, ed è riuscita a farlo grazie a una rete di volontarie spagnole che hanno già accolto più di 80 Afghani. Helena, una delle volontarie, ci ha raccontato come li aiutano.

Fatima lavorava a Kabul in un’organizzazione che si batteva per i diritti delle donne e dei bambini afghani. Un anno fa, i talebani hanno posto fine da un giorno all’altro ai diritti che le donne avevano ottenuto negli ultimi decenni.

I progetti di vita di Fatima sono cambiati forzatamente. Tutto quello che aveva conseguito con anni di duro lavoro è crollato. “Non potevamo girare per strada, non potevamo lavorare, hanno chiuso le scuole, che erano il nostro unico futuro”, ha riferito.

Donne nel mirino

Le donne più a rischio erano quelle che lavoravano come giudici, procuratori, giornaliste, che si battevano per i diritti delle donne o che erano semplicemente nel mercato del lavoro. I talebani usciti dal carcere con l’ascesa al potere dei terroristi hanno posto come primo obiettivo tutti coloro che lottavano per le libertà.

A Fatima rimaneva solo una strada, e per niente facile: fuggire dal Paese, scappare dall’inferno. Ha ottenuto un visto per il Pakistan, e da lì è partita per la Spagna, dove cerca di costruirsi un nuovo futuro.

Fátima

Tra le lacrime, riconosce però che il suo sogno “è poter tornare un giorno in Afghanistan”, dove la aspettano familiari, amiche e altre donne “che restano nascoste”.

La fuga dall’Afghanistan in Spagna è stata complessa. La prima difficoltà era uscire dal Paese, cosa che ha richiesto 80 giorni. È riuscita ad arrivare in Spagna grazie a Inma Orquí, volontaria di Afghan Women On The Run, e attraverso la ONG Un Gest de Calor.

Rete di volontarie

Una delle volontarie è Helena Ancos, che è diventata “madrina” di una famiglia formata da genitori, nonna, figlia di 18 anni e figlio di 9.

“Siamo un gruppo di volontarie. Quando le famiglie sono giunte in Spagna, abbiamo deciso che dovevamo offrire più sostegno. Abbiamo capito che un buon modo era diventare madrine. Abbiamo creato una specie di ripartizione via WhatsApp a seconda della nostra ubicazione geografica”, ha affermato. Su questa base, cercano di aiutare che provano a ripartire da zero in Spagna.

“Sono famiglie che arrivano in condizioni molto difficili, a livello sia psicologico che personale, e senza risorse. Hanno lasciato assolutamente tutto lì. Fin dal primo momento hanno trovato in noi un piccolo sostegno psicologico, e qualcuno in cui confidare in questo nuovo cammino che iniziano in Spagna”, ha aggiunto.

Impiego e integrazione

“Abbiamo capifamiglia con una notevole formazione – ingegneri, avvocati, dentisti… - e altri che vogliono continuare gli studi qui, ma sarà molto difficile trovare un lavoro dignitoso, e ancor più uno idoneo alla loro qualifica professionale”.

mujeres afganistán

Il lavoro è la richiesta principale, perché sanno bene che il processo di integrazione passa per il fatto di avere un impiego. La vera integrazione richiede molto tempo, “ed è necessario che la cittadinanza e le istituzioni li sostengano”.

L’altro grande problema è la lingua, che per Helena è la prima barriera che incontrano, anche se si può superare con l’aiuto delle ONG.

“Poi, però, viene la parte più difficile: trovare un alloggio, avere indipendenza economica e trovare un lavoro che permetta di far andare avanti la famiglia”.

Per questo, si chiede più collaborazione alle istituzioni: “Come madrine, vediamo molte lacune nei confronti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, come l’accesso all’università, le borse di studio, gli aiuti all’integrazione lavorativa…” Dal canto loro, le

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