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I cappellani delle carceri: detenuti disperati, allentare norme per uso telefoni

ABUSE
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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 16/08/22
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La direzione spirituale è sempre più l’unico svago per molti di loro. E aumentano i suicidi nel 2022

I cappellani delle carceri lanciano un appello alla Giustizia italiana contro la disperazione sempre più crescente tra i detenuti: bisogna allentare le rigide norme sull’utilizzo di telefoni e cellulari dietro le sbarre. 

Record di suicidi nel 2022

Per molti detenuti, oggi, l’unico svago è la direzione spirituale del cappellano. A volte è un vero toccasana. Ma non sempre basta. Così un uso del telefono in cella, maggiore di quello attualmente consentito, potrebbe essere un altro antidoto contro depressioni e suicidi (già 51 nel 2022). Sopratutto nei momenti di gioia o dolore, avvertono i cappellani, le telefonate con i propri cari alleviano la forte sofferenza dei detenuti che non essere presenti a casa in quei momenti.  

Le attività spirituali dei cappellani 

I cappellani fanno quello che possono, dice l’ispettore generale dei cappellani, don Raffaele Grimaldi, «spesso è già tantissimo: le attività spirituali che vengono proposte quasi sempre diventano i momenti di dialogo e di confronto altrimenti assenti. Le persone recluse si nutrono di conforto, di tenerezza». 

Il sostegno della polizia penitenziaria

Una mano sulla spalla, prosegue Grimaldi, «aiuta ad alleviare la sofferenza, può curare la fragilità che senza sfogo porta a scelte anche drammatiche. Questa è la nostra difficile missione: la portano avanti 250 cappellani, aiutati da qualche suora e qualche diacono, a volte supportati dalla polizia penitenziaria che segnala casi particolari, consentendo di creare ponti con la famiglia fuori per esempio. Ma non può bastare».

L’uso dei cellulari: l’appello dei cappellani

Da qui l’appello dell’ispettore generale dei cappellani, per «permettere più telefonate» in carcere, «allungare i tempi delle conversazioni con le famiglie». «Ci sono detenuti - dice don Raffaele Grimaldi - che possono parlare con una sorella, una moglie, o una madre appena 10 minuti. Quando ci sono dei momenti di fragilità, quando a casa succede qualcosa, di bello o di brutto, come un lutto per esempio, queste persone devono avere la possibilità di stare di più a contatto coi familiari. Serve il coraggio di andare oltre la burocrazia» (Avvenire, 14 agosto).

Il videoappello di don Riboldi

Bisogna «gridare, mandare messaggi forti», come ha fatto il cappellano di Busto Arsizio, don David Maria Riboldi, che nei giorni scorsi ha rivolto un videoappello direttamente alla ministra della Giustizia Marta Cartabia perché siano installati dei telefoni fissi nelle celle.

“Una telefonata può salvare la vita”

«Una telefonata può salvare la vita di un detenuto, per questo chiediamo la liberalizzazione delle telefonate in cella, come possibilità di trovare nei legami familiari e affettivi la forza di andare avanti anche nei momenti di disperazione», spiega Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa Giotto, da anni impegnata nel reinserimento lavorativo dei detenuti, e sottoscritto anche da Ristretti Orizzonti – nata nel penitenziario di Padova –, così come da Telefono Azzurro, Antigone Padova, Teatro Carcere per un totale di ben 18 realtà del Terzo settore.

Il controllo delle celle telefoniche 

«In questi anni di pandemia i detenuti hanno potuto chiamare e nella maggior parte dei casi anche videochiamare casa – aggiunge Boscoletto –. Hanno rivisto i genitori, i figli e gli amici. Con il virus che oggi non è più pericoloso per chi sta in carcere grazie al vaccino, telefoni e smartphone stanno sparendo, si sta tornando ai precedenti 10 minuti di telefonata alla settimana». Ma la tecnologia non mette a rischio la sicurezza di chi sta fuori? «Semmai permette un maggior controllo di quello che viene detto, sia durante la chiamata, che a posteriori ricontrollando tutto» (Avvenire, 13 agosto).

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