Mani in alto, al cielo
«Arrenditi, sei circondato». L'abbiamo vista mille volte questa scena nei film: le luci delle volanti e le pistole spianate, l'uomo al centro dell'inquadratura a braccia alzate. Può essere la fine della fuga del cattivo di turno, il lieto fine in cui i buoni vincono, disarmando l'azione del male.
Ascoltando e riascoltando la canzone Io mi arrendo presente nell’album “Che Magnifico Nome”, mi si è spalancata davanti agli occhi un'ipotesi più sorprendente.
«Arrenditi, sei circondato» è la trama della nostra vita, il miglior lieto fine che possiamo immaginare e non è scritto da noi. La vita non è forse il paziente assedio con cui Dio tenta di avvicinarci ad ogni angolo, dietro ogni inciampo, dentro ogni lacrima di gioia? Ci circonda ovunque, presente e discreto, in attesa della nostra resa a Lui.
Nella nostra quotidianità siamo stipati di parole e immagini che insinuano la tentazione che sia la frenesia, la proattività, l'intraprendenza egocentrica a riempirci di senso e felicità. Dunque, non c'è storia più bella da raccontare di quella che ogni uomo ha incontrato incontrando Cristo: alzare le mani al Cielo in atto di resa.
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In ginocchio qui
Lo scorso 1o giugno è uscita sulle piattaforme musicali Io mi arrendo, brano interpretato da Francesco Lorenzi dei The Sun che porta in versione italiana il successo I surrender degli Hillsong. E' stato un assaggio dell'album Che magnifico nome, uscito l'8 luglio in cui altri grandi successi del famoso gruppo rock cristiano australiano sono ora disponibili in veste italiana. Questo successo è stato possibile grazie alla collaborazione di molte voci della musica cristiana italiana e al contributo progettuale di Aleteia Italia.
Si potrà mai cominciare qualcosa di buono e interessante, mollando tutto?
Francesco Lorenzi si è tuffato nell'impresa di tradurre I surrender degli Hillsong. L'ha definita la canzone che riassume ogni centimetro del suo cammino. Chi abbia familiarità con la sua storia, sa che si riferisce al grande ribaltamento che stravolge e sistema tutto. Quello di un uomo che si trova il successo in mano, ma non è felice, e poi s'inoltra a verificare l'intuizione che cambiò la vita anche a Zaccheo. Scendi dall'albero, scendi dal palco, perché voglio incontrarti.
In ginocchio davanti a Cristo, non c'è posto in cui ci si senta più liberi, e vivi. La conversione può accadere in certi momenti clamorosi, e poi riaccade in tanti giorni normali della vita. E ci fa scendere in ginocchio, finalmente giù dai piedistalli delle nostre pretese.
Gloria e gioia della resa
Questa esperienza di vita vissuta, Francesco non poteva non tenersela accanto anche nella veste di traduttore di un brano celeberrimo nell'ambito della christian music internazionale. La fedeltà profonda all'originale degli Hillsong c'è proprio lì dove nella versione italiana potremmo, di primo acchito, riconoscere una differenza:
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La mia impressione da semplice ascoltatrice è che la versione originale canta la gloria della resa, quella italiana è la gioia della resa. E le due cose non sono separate. Il traduttore non tradisce l'originale quando l'immedisimazione con il testo (e la musica in questo caso) è così profonda da suggerire un passo nuovo. Un passo che si affianca senza stravolgere.
L'arpeggio della chitarra sembra suggerire quello che il testo dice: lasciamoci suonare da chi conosce lo spartito del nostro destino meglio di noi.
E' una canzone di gioia, cantata in ginocchio. Perché, diciamolo, non c'è gioia in quel trambusto scomposto dei tormentoni estivi, solo euforia momentanea. La gioia, quando è vera, sprofonda nel silenzio. Abbassa la voce per stare all'ascolto di Chi si mostra nel mormorio di un vento leggero.
Un grido di rottura
Cosa significa questa contraddizione? Arrendersi per volere di più è solo una licenza poetica ad effetto? Per avere di più di solito noi usiamo i verbi comprare, afferrare, pagare e simili. In questa canzone il verbo che innesca il bisogno di un di più è "sto lasciando tutto". E basta guardare un bicchiere per accorgersi che solo il vuoto genera l'accoglienza di qualcosa che non fabbrichiamo da soli.
Bisogna fare spazio, fare addirittura vuoto affinché l'acqua fresca di una buona notizia ci riempia. Francesco Lorenzi ha grande esperienza del rock, che è una musica di rottura, di ribellione, di un'inquietudine che può essere addirittura benedetta.
I nostri giorni urlano il bisogno di una rottura con la confusione generale che scambia il bisogno di pienezza con la brama della bulimia, con la botta di un'overdose. L'inquietudine, allora, ci resti addosso, ma per spingere lo sguardo a chi fece il gesto di rottura più grande della storia.
Lo disse Maria a Dio, di fronte all'angelo. Si arrese e fece spazio nel suo corpo. E da allora noi cantiamo la gioia di chi si mette in ginocchio.