Premessa
La presente riflessione si pone in continuità con la precedente (cf La carità della verità per un mondo confuso e disorientato, in Aleteia.org, 31-VII-2022) e vuole molto semplicemente condividere la discussione che tutta la famiglia domenicana (frati, monache, religiose, fraternite presbiterali, laici) sta portando avanti in sede capitolare riguardo la formazione iniziale e permanente. Le varie tematiche sono state affrontate da due specifiche Commissioni: -Vocazione per la missione: vocazioni, Formazione iniziale e permanente e Comunione e Missione.
Tematiche vitali in quanto riguardano il presente e il futuro di persone concrete, quindi non soggette a facili sperimentazioni, perché è in gioco la vita e questa è una sola - una partita che si gioca senza possibilità dei tempi supplementari - e non possiamo permetterci in nessuno modo di sprecarla o che qualcuno permetta che questo avvenga. Per questa ragione i capitolari stanno affrontando le varie problematiche con il lodevole sforzo (anche se le tentazioni contrarie ci sono sempre) di seguire ciò che quasi tutti loro hanno imparato soprattutto alla scuola di san Tommaso d’Aquino: il male, fisico o morale che sia, è sempre e comunque una privazione di un bene dovuto e perciò bisogna guardare prima al positivo, alla ‘fisiologia’ e solo in un secondo momento guardare al negativo, alle ‘patologie’ volendo usare una terminologia medica. Consapevoli allo stesso tempo che “fa sempre più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”.
La fatica di essere realisti e allo stesso tempo di credere nell’azione della grazia di Dio
Affrontando il tema della formazione iniziale (noviziato e studentato) la presa d’atto è che ci troviamo davanti a persone che chiedono di entrare nell’Ordine quando sono già in molti casi adulte e formate. Provenienti dalle più diverse situazioni familiari, dalle più disparate esperienze, persone già impegnate a livello di fede, nel volontariato, ed anche spesso affermate professionalmente, ma anche spesso con poca o nessuna formazione catechetica. Una realtà variegata che non può essere soggetta, oggi più che mai, a rigidi schemi formativi che non tengono conto di queste diversità così profonde. Ciò che però accomuna tutti è la chiamata, reale o meno, a seguire Cristo, sentito come il Signore della propria vita e della storia, secondo il carisma domenicano: la carità della verità (cf Ef 4,15).
La formazione deve allora realizzarsi in una profonda sinergia tra formatore/i e formando/i nell’onesta ricerca della verifica se esiste una vera e reale chiamata da parte di Dio. Da qui la necessità di creare un rapporto di reciproca fiducia che permetta questa verifica evitando di proporre una formazione religiosa che si lascia intendere come un programma da completare o da svolgere per conseguire un obiettivo o, peggio ancora, la prova da superare per ottenere la simpatia e la benevolenza della Comunità formatrice per arrivare a conseguire i ‘traguardi’ della professione o dell’ordinazioni. Cioè il favorire quella che io chiamo ‘mentalità da caserma’, dove l’importante è fare fesso e contento il sergente di turno (= formatori) per poter fare poi alla fine tutt’altro. Quello che bisogna riuscire a trasmettere nella formazione iniziale è che non c’è niente da ‘conquistare’, ma che bisogna onestamente verificare, con un confronto leale con i formatori, in quanto nessuno può essere giudice di se stesso, se è Dio che sta chiamando secondo il carisma di Domenico. Verifica che si dà attraverso segni più eloquenti di quanto di solito si può immaginare: il non mettere il rapporto con Dio al primo posto, il non avere la passione per lo studio come ‘conoscenza’ di Colui che è (santa Caterina da Siena), l’orgoglio, la voglia di emergere e dominare sugli altri, le dipendenze radicate o di fatto la non volontà di vivere i voti, cioè tutto ciò che costituisce l’opposto della sequela di Cristo con cuore indiviso, manifestano una non idoneità della quale, molte volte, l’interessato non riesce a rendersi conto e per questo è basilare il confronto con i formatori. Alla fine il messaggio che deve prima di tutto passare è che se non c’è questa onestà d’intenzione, l’unico che rimarrà ingannato sarò il formando che finirà per vivere una vita infelice per lui e per gli altri, in quanto non era la sua vita. In questo contesto è importante essere realisti e non cadere in un falso buonismo, in una mistificazione della misericordia e tanto meno pretendere da Dio chissà quale miracolo: Dio non potrà mai chiamare a scalare una montagna a chi è senza gambe – sarebbe un mostro - e ugualmente non potrà mai chiamare chi di fatto non può seguirlo per i più svariati motivi, e questo senza nessun giudizio morale. Si tratta semplicemente di riconoscere che non c’è una vera chiamata alla vita religiosa e specificamente a quella domenicana. Ovviamente questo non significa essere perfetti, ma prendere atto che la vita religiosa è una palestra per la santità dove però, nonostante le cadute, i fallimenti, i peccati, c’è la reale capacità e possibilità di andare avanti confidando nella misericordia di Dio e dei fratelli (ciò che ogni domenicano/a chiede entrando nell’Ordine).
Il secondo aspetto che i capitolari hanno iniziato ad affrontare è quello della formazione permanente. Tematica anche questa complessa in quanto riguarda varie età e fasi della vita religiosa e soprattutto deve essere attenta alle diverse situazioni concrete per cultura e sensibilità. La cosa più importante che, a mio sommesso è subito emersa, è l’approccio positivo: favorire prima di tutto e soprattutto gli incontri fraterni in comunità, come occasione di dialogo e confronto nell’onestà e nella trasparenza, parlandosi sentendosi membri della stessa famiglia dove è doveroso condividere le gioie – contro tutte le tentazioni d’invidia e gelosie, forse alcune volte più difficili da partecipare sono proprio i doni del fratello/sorella– e i dolori, i problemi e le sofferenze dell’altro. Quindi il passaggio da quello che una volta era denominato “Il capitolo delle colpe”, dove si puntava il dito su quanto di sbagliato si dava nell’altro, a incontri di fraternità vera per ovviare ai giudizi e ai chiacchiericci di corridoio, e ci si guarda negli occhi senza giudizio, ma nella comune ricerca del bene comune e di ciascuno. Evitando così il pericolo di vivere in comunità come le tre scimmiette delle quali una non vede, una non parla e l’altra non sente! Perché nella vita comunitaria non si può nascondere nulla e in ogni caso questo può darsi solo per un tempo breve, e allora far finta di niente implica sempre una soggettiva responsabilità.
Conclusione
La conclusione è che questa non si darà mai per le problematiche inerenti la formazione in quanto è una realtà vivente che riguarda la persona, che si dà nell’oggi, che è sempre pieno di sorprese positive e occasioni se vissute nella fede. Il Santo curato d’Ars, di cui oggi la Chiesa universale fa memoria, attraverso la sua vita ce lo conferma e per questo confidiamo nella sua intercessione. In questa prospettiva termino con le parole della lettura breve dei Vespri di ieri che mi sembrano un’indicazione da seguire per ciascuno per quanto riguarda la formazione: “Così anche voi, giovani, siate sottomessi agli anziani. E tutti rivestitevi di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi ma dà grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché egli vi innalzi a suo tempo; gettando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi” (1Pt 5,5-7).
Santo Domingo in Tultenango (Messico), 4 agosto 2022 – Memoria di san Giovanni Maria Vianney – Patrono dei parroci
P. Bruno, O.P.